27/02/11

CARTE ALLINEATE. Numero 48, Febbraio 2011 / Issue 48, February 2011

Per gli articoli del mese, vai a "febbraio 2011" in ARCHIVIO BLOG, o consulta l'INDICE ALFABETICO qui sotto. Per gli arretrati vai a ARCHIVIO BLOG e a "Di cosa si parla su 'Carte allineate': Indici". Cerca nomi e titoli specifici con il SEARCH BLOG / Find the entries in the current month at "febbraio 2011" in ARCHIVIO BLOG or in the INDEX below. Find past issues in ARCHIVIO BLOG and in 'Di cosa si parla su Carte allineate: Indici'. Look for specific names and titles by using the SEARCH BLOG.

INDICE ALFABETICO / INDEX

Le voci elencate qui sotto senza il nome dell'autore sono state scritte da Roberto Bertoni. Foto di Marzia Poerio / Entries listed below without the name of the author were written by Roberto Bertoni. Pictures by Marzia Poerio.

- CLASTRES, Pierre, ARCHÉOLOGIE DE LA VIOLENCE. Note di lettura, 7-2-2011.
- FRISA, Lucetta, LES AMUSEMENTS. Testo, 15-2-2011.
- Lama Anagarika GOVINDA, LA MÉDITATION CRÉATRICE. Note di lettura di Aurelio DEVANAGARI, 17-2-2011.
- FERRAMOSCA, Annamaria, RILKE E LE CURVE DI LIVELLO. Testi con traduzione, 21-2-2011.
- HWANG, Sok-Yong, 손님 (SONNIM). L'INVITÉ. Note di lettura, 23-2-2011.
- LOW, Setha M., TOWARDS AND ANTHROPOLOGICAL THEORY OF SPACE AND PLACE. Note di lettura, 11-2-2011.
- MONTOBBIO, Santiago, TAXI, PALABRAS Y POETA.TRE TESTI. 9-2-2011.
- NO, Sang Hun, 오페라가 끝나면 (OPERAGA KKEUTNAMION). AFTER THE OPERA. Storie di film di Renato PERSÒLI, 19-2-2011.
- NOLFI, George, THE ADJUSTMENT BUREAU. Storie di film di Renato PERSÒLI, 25-2-2011.
- RAGNOLI, Gian Paolo, UN MODO DI VIVERE. Testo, 13-2-2011.
- RAIMONDI, Ezio, NOVECENTO E DOPO. Note di lettura, 3-2-2011.
- VILLENEUVE, Denis, INCENDIES. Storie di film di Renato PERSÒLI, 5-2-2011.

25/02/11

George Nolfi, THE ADJUSTMENT BUREAU


[From the walls of Brussels, 2010. Foto di Marzia Poerio]

George Nolfi, THE ADJUSTMENT BUREAU. USA 2011. Sceneggiatura orientata dal racconto ADJUSTMENT TEAM di Philip K. Dick. Con Emily Blunt e Matt Damon

Solo per il meccanismo delle "correzioni", ma non per l'intreccio, basato sul racconto di Dick, si tratta di un film visualmente interessante con spunti surrealisti nelle finestre che danno su vuoti, paesaggi urbani ed esterni, e per la presenza di un gruppo di operatori con cappelli di feltro che potrebbero essere un richiamo, pur nella diversità della forma, a Magritte. Ben congegnato e lieve il tono, col contrasto tra i compassati "correttori" e gli esagitati terrestri.

La storia, che tra parentesi contesta anche l'eccessiva ambizione personale e la oppone all'amore, mentre mette in gioco le due grandi forze del caso e della necessità, ovvero gli elementi fondanti del destino, è quella propria di una fiaba agiornata ai nostri giorni. Per un errore commesso dai rappresentanti dell'adjustment bureau, l'ufficio correzioni (se traduciamo letteralmente), Norris, un giovane candidato alle elezioni statunitensi, rincontra per un errore del disegno universale, una ballerina già conosciuta per caso: ciò non è consentito dal piano cosmico, di cui i correttori sono gli esecutori, in quanto Norris è destinato a una brillante carriera politica che egli metterebbe a repentaglio se vivesse una distraente relazione sentimentale troppo impegnativa. Da qui si dipana la necessità di correggere la catena di eventi che per un minimo scarto cambierebbe il fato di Norris; si dipana così una serie di avventure, che sarebbe ingiusto raccontare nei particolari togliendo al film il gusto del dettaglio episodico e che si conclude col trionfo della volontà sul caso, addirittura con un cambio di rotta da parte dell'Architetto cosmico, Dio immaginato come invisibile e onnipresente, impietosito dalla costanza dell'amore.

Beh, siamo dunque noi preda di questo destino? Ci sono angeli che solo certuni possono vedere in determinate cicostanze come già in film precedenti, per ricordarne due IL CIELO SOPRA BERLINO di Wim Wenders e LA CITTÀ DEGLI ANGELI di Brad Simberling? Domande così e il gusto del colore e del balzano ci accompagnano all'uscita dal cinematografo in cui si proiettava questo film...

[Renato Persòli]

23/02/11

Hwang Sok-Yong, 손님 (SONNIM). L'INVITÉ


[Ritual, or rather theatrical, mask (From the walls of Brussels, 2011). Foto di Marzia Poerio]

Traduzione in lingua francese di Choi Myk-Yung e Jean-Noël Juttet. Saint-Amand-Montrond, Zulma, 2004

L'"invitato", o forse meglio l'"ospite" che dà il titolo a questo romanzo è Ryu Yosop, un pastore protestante nord-coreano immigrato negli Stati Uniti ai tempi della guerra di Corea e che si reca per la prima volta nel paese natale nel ventunesimo secolo, assieme a un gruppo di esuli cui viene concesso il permesso di rivedere le famiglie originarie, poco dopo la morte di suo fratello Ryu Yohan, il quale ultimo, organizzatore dei cristiani nel primo anno di guerra, si era reso responsabile di delitti efferati, guidando alcuni cristiani armati all'uccisione di parecchi comunisti nel villaggio in cui abitava ed era fuggito negli Stati Uniti lasciando alle spalle, per necessità degli eventi, la moglie e il figlio appena nato, poi risposandosi in America.

La crudezza della guerra di Corea, che già ci aveva colpito in altre narrazioni ambientate nel medesimo periodo, tra cui il romanzo breve che avevamo recensito su "Carte allineate" nella versione francese intitolata MONSIEUR HAN, viene espressa tragicamente ed epicamente anche in questo romanzo, il cui autore punta l'attenzione piuttosto sulla componente di guerra civile che su quella di intervento straniero, indicando quanto di violenza sia stato presente in quel conflitto tra fazioni coreane avverse.

La motivazioni, nella ricostruzione memoriale, frammentata volutamente e raccontata da diverse voci ein prima persona incorniciate da quella del narratore in terza persona, vengono rese sia in termini sociali che personali, inserite nella composizione sociale del tempo e nell'esplosione passionale ed emotiva che caratterizzarono il conflitto.

Tra le voci narranti, in un andamento di realismo magico, alcuni sono viventi, altri fantasmi. L'autore avverte che i capitoli, nei titoli e sottotitoli, sono articolati come i momenti successivi di un rito sciamanico (lo sciamanesimo è una delle religioni coreane): dall'ESORCISMO (Ciò che resta dopo la morte) fino alla RINASCITA (nel capitolo sette dei dodici di cui si compone il libro, dunque circa a metà), alla PROCESSIONE DELLE ANIME (nel penultimo capitolo), al CONGEDO dell'ultimo capitolo.

L'elemento fantastico e quello sciamanico connotano di tratti di mondo arcaico la storia contemporanea, istituendo una continuità con l'identità rituale antica. Si muove oltre il conflitto tra cristianesimo e comunismo, infine, per andare verso un ricongiungimento tra i morti e i vivi, tra il passato e il presente, tra le ferite inferte da Yohan e la riparazione che propongono la visita dell'ospite, l'incontro coi familiari rimasti e la comunità ferita, i difficili dialoghi coi parenti, infine il seppellimento di uno dei resti del corpo di Yohan cremato dopo il decesso.

Abbiamo trovato ben costruito, storicamente presente, emotivamente coinvolgente, sospeso tra simbolo e rappresentazionme realista, tra sogno e flusso di quotidianità, questo romanzo in cui l'autore si ricollega a un tempo in cui "si uccideva per odio come pure per dimostrare agli altri la propria capacità di decisione" (p. 254), ma nel quale i fantasmi si manifestano perché "per coloro che vennero implicati nella tragedia, il tempo ha fatto il suo corso" ed "è venuto il momento del perdono" (p. 203).

[Roberto Bertoni]

21/02/11

Annamaria Ferramosca, RILKE E LE CURVE DI LIVELLO


["I came across some lines which did not bend but took up colour" (Brussels 2011). Foto di Marzia Poerio]

1.

SULL’OTTAVA ELEGIA DI RILKE

La casa ha finestre sul mare
per ricordare l’origine
il vortice la calma le vele millenarie
i ritorni che volgono in commiati
partenze per altri oceani

Il giardino ha pini d’aleppo e olivi
per ospitare chi non sa della morte:
insetti e uccelli, volpi
notturne, a volte - immobili-
guardano anch’esse il mare
come per un abbaglio misterioso
- gli animali mai fissano
la morte negli occhi -
noi l’abbiamo a fianco e miopi
vediamo il cielo accendersi di fuochi
e i luoghi dove
lei ciecamente piove

La rosa veloce sfoglia
in silenzio le spine si preparano
a penetrarci le carni
il mare a sommergere il disordine
gli abbracci misti a spari nonostante
l’angoscia suonata a stormo
dalle cicale sui rami

Dai pini volano
rondini al sud, imperturbate


AFTER RILKE’S EIGHTH ELEGY

The house has windows to the ocean
so as to recall the beginning
the ancient vortex, calm, millennial sails
returns that turn to farewells
odysseys bound for other seas

In the garden aleppo pines and olive trees
welcome those who know nothing of death:
insects and birds, sometimes
nocturnal foxes - motionless -
also look out to sea
as if mysteriously dazzled
- animals never look
death in the eye -
we live with it by our side, shortsighted
see the sky light up with flames
and the places where
death blindly rains

The rose soon loses its leaves
in silence its thorns make ready
to pierce our flesh
the sea to submerge disorder
hugs are mixed with gunshots despite
the unease of cicadas
swarming in the trees

From the pines, swallows fly
south, undaunted


**********


2.

CURVE DI LIVELLO

Sebbene la mia carta sia disposta
col margine superiore volto a nord
non ritrovo né oriente né occidente
La carta sembra ormai dis-orientata

Nulla, della fissità cartografica, tranne
un’attitudine incerta, tremula
resistenza alla deriva
Ondeggiano le isoipse - eppure sono sobria -
scosse, come su di una faglia in atto
si slacciano i punti dalle linee
non più obbedienti all’ordine
- tutti in riga, allo stesso livello sul mare -

Una nuova linea si ricompone, lucida
s’allunga, veloce
saetta sulla carta, la perfora
transfuga scia di luce vola
sul nostro cerchio, lieve
ci tocca in fronte, in petto
Allineati, ci stringiamo le mani
bruciamo di limpida invasione
Fugge, caricata di luce, pellegrina
dei continenti. Si ricercano
punti - allo stesso - livello - d’amore


CONTOUR LINES

Despite my map being laid out
with the upper edge facing North
I can find neither East nor West
By now the map seems dis-orientated

Not a trace of cartographic fixity except
for an uncertain ability, a quivering
resistance to being adrift
The contour lines wobble - even though I’m sober-
shaken, as if on an active fault
Points unfasten from the lines
no longer obeying order
- all in a row, at the same level over the sea -

A new line is drawn, brightly
stretches, swift
as an arrow on paper, piercing it
like a fugitive wake of light it flies
over our circle, softly
touches our brow, our breast

We hold hands in a row
burning with joy at the invasion
The line flees, laden with light, a pilgrim
of the continents. The search goes on
for points - on the same - level - as love


NOTA

Testi tratti da CURVE DI LIVELLO, in A. Ferramosca, OTHER SIGNS, OTHER CIRCLES: A SELECTION OF POEMS (1990-2009). Traduzione e introduzione di A. Crowe Serrano, New York, Chelsea Editions, 2009.

19/02/11

No Sang Hun, 오페라가 끝나면 (OPERAGA KKEUTNAMION). AFTER THE OPERA


["How often does love not declare itself at dinner?" (Korean kimbap). Foto di Marzia Poerio]

Corea, 2010. Sceneggiatura: Pak Eun Yong. Con Choi Won Yong, Kim Bo Kyung, Kim Gab Su

Chun Hi, una fiorista trentenne, è corteggiata dal manager cinquantenne, divorziato, di una ditta, il Direttore Han, che una sera le presenta un giovane collega col quale egli è in amicizia oltre che in rapporti di lavoro, Jung Do. Il caso vuole che Jung Do fosse stato il fidanzato di Chun Hi e non si vedessero da vari anni.

Si dipana una serie di situazioni comiche e potenzialmente imbarazzanti, tenute in bilico sulla leggerezza dalla recitazione dei notevoli tre attori: equivoci, tentativi dell’ex fidanzato di riconquistare l’amata e così via.

Il fondo è amaro: Han è cosciente della difficoltà di amare una donna più giovane e i suoi sentimenti sono sinceri. Jung Do sembra comportarsi in modo più egoista. Chun Hi non illude né l’uno, né l’altro.

E, stupore in questo tipo di commedia sentimentale, la situazione si risolve senza una conclusione: Han, visitando una sera la casa della ragazza, scopre da un dettaglio che anche il rivale vi si è recato; a insaputa di Han e della stessa Chun Hi, è anzi nascosto all’interno dell’appartamento; e i due uomini, senza che l’uno sappia della presenza dell’altro, si ritrovano nella medesima stanza, mentre Chun Hi osserva in cucina con attenzione e con un sorriso enigmatico i fiori di crisantemo del tè che ha preparato per Han. Sipario.

Piuttosto teatrale nello stile di recitazione, ma aperto anche sugli esterni di Seul, resa tramite le strade dritte e i grattacieli nella modernità e, negli interni, con luminosità pronunciata, vetrate ampie, quasi un diaframma tra i sentimenti non tutti dichiarati e il mondo esterno, questo film televisivo si caratterizza per la delicatezza non retorica con cui rappresenta i sentimenti positivi e negativi.

[Renato Persòli]

17/02/11

Lama Anagarika Govinda, LA MÉDITATION CRÉATRICE


[Delusory landscape (Magritte mirror in Brussels, 2011). Foto di Marzia Poerio]


Lama Anagarika Govinda, LA MÉDITATION CRÉATRICE. Titolo dell'opera in lingua inglese: CREATIVE MEDITATIONS AND MULTI-DIMENSIONAL CONSCIOUSNESS (1976). Parigi, Albin Michel, 1993

Lama Anagarika Govinda è il nome assunto nel percorso buddhista, dapprima theravada, poi tibetano, da Ernst Lothar Hoffman (1885-1989).

In questo libro, l'accento cade principalmente sull'esperienza intuitiva rispetto a quella intellettiva, sebbene la seconda sia ancillare alla prima e di importanza nell'itinerario che conduce al risveglio o presa di coscienza della buddità: "l'intelletto è anch'esso necessario per sormontare l'emotività pura e semplicee la confusione mentale che spetta all'intuizionbe superare, andando oltre i limiti e le discriminazioni messe in atto dall'intelletto" (p. 34). Si tratta di "coordinare e armonizzare pensieri e intuizioni" (p. 47).

Vengono adottati metodi tanto dell'esperienza tantrica tibetana quanto di quella Zen.

Viene messa in rilievo la necessità di superamento dei dualismi: "Occorre vincere sul dualismo, facendo leva sulla polarizzazione degli opposti, all'interno della quale sono presenti allo stesso modo l'unità e la differenziazione" (p. 55).

L'individuo si riconosce come parte del cosmo, nonché come aspetto personale.

Viene assegnata importanza all'esperienza interiore in quanto forza dell'immaginazione capace di trasformare anche il mondo esterno.

Il momento presente è il tempo su cui appuntare la concentrazione, mentre la consapevolezza del passato determina la possibilità di liberazione dal peso della memoria, ma non cadendo nell'oblio.

[Aurelio Devanagari]

15/02/11

Lucetta Frisa, LES AMUSEMENTS

(François Couperin)

tu che apri la tastiera elettrica
come Michelangeli il suo Steinway
la notte estiva entra dal balcone
con la sua luna umida
e nella prima nota si solleva
un soffio fresco sul falso pianoforte
schiacci un tasto ma non è il clavicembalo
scegli il vibraphone per riportare qui
nella stanza accaldata Couperin

fuori c’è il mare ordinato e piatto
e noi vogliamo una piccola follia
in questa stanza basta un piccolo vento
tremblement lié sans être appuyé
e poi tremblement appuyé et lié
ci slacciamo i sandali e la sabbia
ci solletica i piedi
inventi i tempi tutti a modo tuo
come non li aveva scritti Couperin

chi siamo? due ombre riflesse
dalle ombre di padre e madre
anche loro nelle stanze dell’estate
guardavano il soffitto confondersi
di disegni stregati.
Siamo un quadro di Fragonard?
solo le immagini ci fanno ballare
Allemande Gavotte Minuet
di nuovo i gerani si ammalano e la casa
invecchia nel soffitto.
Noi non abbiamo neppure un figlio

tra una nuvola e l’altra la solita luna
cade sul cristallo nero del tavolo
che occupa tutta la stanza ma chi lo smuove di lì?

Hai ripreso a fumare: note suonate parole scritte
girano intorno a un buco d’aria ferma
L’Enfantine L’Adolescente Les Délices Les Amusements
suonami Les Barricades mystérieuses Les Baccanales
Tendresses bachiques Fureurs bachiques
e verso il vino mi sfilo la t-shirt
tu cominci a battere il tamburo
- Africa nera insieme a Couperin -
come si fa a imitare il bàttito
della terra antica e reale
che viene dalla luna ma non da questa.

13/02/11

Gian Paolo Ragnoli, UN MODO DI VIVERE


[Trees in winter. Foto di Marzia Poerio]


Tentammo un giorno di trovare un modo
Di vivere che non si risolvesse nella negazione
Del desiderio, nella sopravvivenza nuda.

Altri ancora, dopo di noi, hanno affannosamente provato
A riaprire quella via che, percorrendola ingenui,
C’era crollata sotto ai piedi.

Ora è tardi per noi ricominciare: li guardiamo
Correre avanti, come sapessero dove sia la meta,
Ci auguriamo per loro un futuro diverso dal nostro.

Poi di nuovo il presente ci afferra.



NOTA DELL'AUTORE

Pensavo ai giovani compagni che conosco, alla tranquilla sicurezza con cui li vedo affrontare questi tempi difficili, e pensavo anche ai miei vecchi compagni, alla fierezza e all'amarezza insieme che proviamo per aver vissuto allora "tempi dissennati", essere andati in giro di notte col cuore pieno di profezie che non si sono poi avverate.

Alla fine mi è venuta questa cosa che vorrebbe essere, temo presuntuosamente, montaliana.

"A R." non sta per andata e ritorno, è una dedica a Rudi, l'amico di sempre, con cui ho diviso giorni, notti, albe e arcobaleni quando il cielo cadde sulla terra.

11/02/11

Setha M. Low, TOWARDS AN ANTHROPOLOGICAL THEORY OF SPACE AND PLACE


[Illusory spatial proportions (Brussels, 2011). Foto di Marzia Poerio]

“Semiotica”, CLXXV.1-4, 2009, pp. 21-38

Low pone l’accento sulla corporalizzazione dello spazio, sostenendo che appare necessario “to acknowledge that place and space are always embodied” (p. 22).

Il corpo è una dimensione che si estende a seconda delle emozioni e degli stati mentali dell’individuo oltre che a predisposizioni culturali e relazioni sociali. Il corpo, dunque, “conceptualized as embodied space, incorporates metaphors, ideology, and language, as well as behavior, habits, skills, and spatial orientations derived from global discourses and far away places – especially for the migrant – and yet is grounded at any one moment in a specific geographical location. I argue it is through embodied space that the global is integrated into the inscribed space of everyday life where attachment, emotion, and morality come into play”, il che si propone di affrontare il problema dello sradicamento attraverso una teoria che appunto tenga conto tanto dello spazio “translocal” e “transnational”, quanto dell’esperienza personale (p. 22) nell’ambito della globalizzazione.

La “reformulation of transnational space as fluid and fragmented, produced by people on the move, complements studies of the sovereignity and citizenship and the reconsideration of the nation-state as a spatial entity or territory”, secondo gli studi di Sassen; mentre “diaspora and refugee studies of the displaced, uprooted, and homeless have also brought attention to the analytical consequences of territorializing concepts of identity” (p. 33). L’individuo, all’interno di questa situazione, riformula il concetto di spazio e di luogo al di là dello stato-nazione.

Nella conclusione, Low concorda con Alberto Corsin Jimenez sull’idea che “space is no longer a category of fixed and ontological attributes, but a becoming, an emergent property of social relationship” (p. 34).

La teoria generale su cui si basa Low, per propria dichiarazione, proviene da Foucault e de Certeau tra altri; citati anche Appadurai, Casey, Harvey e Lefebvre tra i molti riferimenti teorici.

[RB]

09/02/11

Santiago Montobbio, TAXI, PALABRAS Y POETA (TRE TESTI)


[Yellow taxi (From the walls of Brussels, 2011). Foto di Marzia Poerio]

1.

EL TAXISTA QUE NOS
lleva hoy a mi madre y a mí a su rehabilitación diaria
tiene en el asiento delantero y al lado suyo
un libro de poesía de la editorial Lumen:
Viaje al amor, de William Carlos Williams.
Estos días yo me siento delante, porque mi madre
se ha caído y se ha roto de mala manera del brazo y la han operado
y tiene difíciles aún sus movimientos y así le ayudo
a entrar y salir, abrir y cerrar la puerta.
Pero esta vez no me atrevo a que el taxista
vacíe su asiento delantero. Porque la poesía,
aun en los peores momentos, siempre
ha de respetarse. La poesía no puede tocarse.
No puede tocársele ni una coma, ni un suspiro.
William Carlos Williams es un poeta que me gusta, y este taxista
tiene todas mis simpatías. Pero lo que digo es general.
La poesía siempre es sagrada y no podemos vulnerarla.
En su verdad es como está más pura la vida.

***

2.

MANA LA FUENTE DE LAS PALABRAS
y destilan mi sustancia. La vida
es una araña. No sé porqué lo digo,
porque la vida es sobre todo esa fuente,
esas palabras. Pero en los versos aparecen
cosas impensadas. Me paro un momento
y me siento en un café. Miro a través
de sus grandes ventanales. (Qué suerte.
Esto es ser un buen café). Quiero
decir limpio, decir sencillo. Es un deseo
muy hondo y verdadero este que tengo
y ya lo he dicho. Ahora tomo café,
descanso. Será sólo un rato.
La fuente volverá a manar
con sus palabras. A cada momento
en ellas me asalto, me adivino. La vida es esta araña que dije
y que me pareció no tener mucho sentido.
Me teje silenciosa tras mis palabras
y –no sé si lo digo bien- al final
de la muerte está la espera.

***

3.

PARA UN VERDADERO POETA TODO MOMENTO DEBERÍA
ser poético, dice Borges en un libro de Diálogos.
Me parece añade que no sabe si esto es posible o si sería
sencillamente soportable. En estos días de marzo
así están siendo todos mis momentos.
De modo continuo, sin descanso. El alma
y la mano trabajan, es una manera de decir,
porque el arte es un destino y no un trabajo.
El alma, la mano, el corazón y la mirada
se entrelazan los dedos en los versos
y los ven en las esquinas y los adivinan
más allá de las ventanas y en el árbol
y en la nube y en el pájaro y así
en todo momento, que es poético. La vida
puede tener esta intensidad, este misterio.
Estos días de marzo son el acta
que de ellos levanta. Los poemas están,
no engañan.

07/02/11

Pierre Clastres, ARCHÉOLOGIE DE LA VIOLENCE


["Was that a totem revamped from a remote past?" (Brussels, 2011). Foto di Marzia Poerio]

Sottotitolo: LA GUERRE DANS LES SOCIÉTÉS PRIMITIVES (1977), La Tour-D’Aigues, Éditions de l’Aube, 2010

Clastres si trovò, negli anni Settanta, in una posizione di insoddisfazione nei confronti delle due scuole antropologiche dominanti all’epoca: quella strutturalista, soprattutto impersonata da Lévi-Strauss, e quella marxista. Di quest’ultima metteva in rilievo un limite nell’individuare la società arcaica come caratterizzata dalla penuria, indicando al contrario che le comunità primitive, proprio perché autonome l’una dall’altra e prevalentemente autosufficienti, provvedevano il necessario per i loro appartenenti, dunque si sarebbe dovuto parlare, a suo parere, piuttosto di abbondanza che di miseria.

Rispetto al problema specifico della guerra, notatane l’onnipresenza nel mondo preistorico, negava che essa derivasse da una necessità di conquista per l’appropriazione delle risorse, come pure che la guerra, come parevano sostenere gli strutturalisti, non fosse caratteristica di quella fase, bensì dovuta alle necessità dello scambio.

Provvedendo un modello sociologico più variegato, vedeva le comunità preistoriche come entità politiche, in quanto disposte su un territorio geografico e organizzate in modo da individuare ciascuna di se stesse come universo particolare. La guerra sarebbe dunque connaturata a questa necessità particolaristica, frutto della logica centrifuga, necessità che protegge tale logica, mentre lo scambio, soprattutto di rapporti matrimoniali con le tribù prossime, era necessario ai rapporti di alleanza in vista delle guerre col nemico.

Si tratta di uno studio che, a parere di chi scrive queste note, è più integrabile con le teorie che critica che separabile da esse, nondimeno un’inchiesta di notevole interesse nelle strutture sociali e nella mentalità del periodo che prende in esame. Gradita dunque la riedizione di Aube.

[Roberto Bertoni]

05/02/11

Denis Villeneuve, INCENDIES

Quebec, 2010. Adattamento cinematografico del testo teatrale di Wajdi Mouawad. Con Allen Altman, Lubna Azabal, Melissa Desormaux-Poulin, Maxim Gaudette, Rémy Girard

Tre elementi si coaugulano in questo film di impegno e ad alta intensità emotiva: la violenza della guerra, la posizione della donna, riferimenti alla tragedia greca e al contempo freudiani.

L’intreccio è reso in sequenze non cronologiche, come un’inchiesta, o meglio una ricerca che conduce su varie piste fino a che i frammenti si unificano e formano un quadro d'insieme con la complessa risoluzione finale.

All’inizio Nawal Mirwan, residente in Canada, morendo all’improvviso, lascia nel testamento ai figli gemelli Jeanne e Simon il compito di trovare rispettivamente il padre e il fratello che i due giovani non hanno mai conosciuto. La ricerca si avvia nel luogo di origine di Nawal, un paese non identificato del Medio Oriente, che pare ricalcato sul Libano degli anni Settanta per i conflitti sociali e politici che mette in rilievo. Alcuni flashback informano gli spettatori, ora prima, ora dopo le scoperte di Jeanne, cui in seguito di aggrega Simon, degli avvenimenti del passato di Nawal. Veniamo a sapere poco per volta, tramite un coerente meccanismo a episodi, che il figlio che la protagonista da giovane aveva partorito le era stato tolto appena nato dalla propria famiglia mentre il fidanzato era stato ucciso dai fratelli. Emigrata in città, al sorgere di un conflitto armato, Nawal aveva cercato di recuperare il figlio, ma l’orfanotrofio in cui si trovava era stato bombardato. Costretta a fuggire, si era trovata al centro di un massacro ad opera di estremisti cristiani, da cui lei era stata risparmiata al contrario dei suoi compagni di viaggio tutti massacrati. Esterefatta da quella carneficina, infine non avendo più nulla da perdere, Nawal, cristiana, aveva deciso di punire il capo dei cristiani di destra, lo aveva ucciso, era stata rinchiusa in carcere subendo una violenza carnale da parte di un carceriere giovane, che i gemelli, nel corso della loro inchiesta, scoprono infine essere il loro stesso fratello e dunque il padre, cui consegnano le ultime due lettere della madre, che da un segno distintivo inequivocabile lo aveva riconosciuto senza essere riconosciuta una ventina d’anni dopo e questo riconoscimento era stato la causa scatenante del collasso che l’aveva condotta alla morte. Nelle due lettere, da un lato Nawal depreca la violenza del giovane, dall’altro conferma il proprio inevitabile amore di madre.

Ciò che impera è il dolore. Si resta per tutto il film al di là del giudizio positivo o negativo, avvolti in una temperie da tragedia classica in cui gli eventi si verificano per il manovrare del caso e della necessità. L’odio e la violenza vengono logicamente e chiaramente identificati ed esecrati attraverso le azioni, non attraverso parole di condanna.

Wajdi Mouawad, l’autore del testo teatrale da cui è tratto il film, oltre a rivelare il proprio interesse per Sofocle e Kafka, chiaramente due tracce presenti anche nel film, dichiara che quella del Libano “è stata una guerra vergognosa, in cui i padri hanno ucciso i figli, i figli hanno ucciso i fratelli, i figli hanno violentato le madri” e spiega che i familiari “non hanno voluto spiegare alla mia generazione quel che era accaduto. Degli estranei hanno dovuto narrarmi la loro storia”. Rivela inoltre che la figura di Nawal è in parte modellata su una donna che tentò di uccidere un militare libanese e venne imprigionata per questo [1].

Il film si avvale di una recitazione di ottimo livello, soprattutto da parte dell’attrice belga, di origine marocchina, Lubna Azabal nella parte di Niwal Marwan.


NOTA

[1] L’intervista è tradotta dall’inglese. Il testo originale è in M. Morrow, WAJDI MOUAWAD DISCUSSES SCORCHED, HIS SEARING PLAY ABOUT THE LEBANESE WAR, CBC News, 22-9-2008.


[Renato Persòli]

03/02/11

Ezio Raimondi, NOVECENTO E DOPO

Sottotitolo: CONSIDERAZIONI SU UN SECOLO DI LETTERATURA. Roma, Carocci, 2003

Raimondi illustrates how in modernity the sublime manifests itself within a framework of “dilettoso orrore”:

“[…] la luce è insidiata dal caos delle tenebre e la bellezza si incrocia con la dissonanza e l’informe, con l’essere nudo dell’uomo tra natura e storia, istinto e cultura, quanto più egli discopre nel flusso discontinuo della temporalità, anche in ciò che è domestico e quotidiano, la fatalità vertiginosa del proprio vuoto senza parola” (p. 28).

Discontinuity rather than linear chronology characterizes literature in the 20th century: “l”avventura letteraria del Novecento assomiglia a un fascio di segmenti discontinui, renitenti all”ordine univoco della linearità cronologica” (p. 35).

He mentions Curtius’ views on the sense of tradition in European literature until the 18th century. In agreement with Curtius, Raimondi, too, sees Goethe as the last traditional and the first modern author. Modernity is articulated in a new literary system by fragmentation and mannerism as it may be seen in Joyce’s and T.S. Eliot’s work.

Multiplicity, as defined by Calvino in LEZIONI AMERICANE, is another important aspect of modern literature which tends to be encyclopedic in an open way.ù

History and experiments are interrelated:

“Più la parola letteraria scava in se stessa, nelle fibre segrete della sua figura sonora, e più si apre al movimento sfaccettato della temporalità, alle forze in atto di una situazione storica. La presenza del tempo umano e del suo travaglio è sempre avvertibile nelle parole della letteratura, purché esse rechino al fondo l’ansia e quasi l’ossessione delle superfici dure della vita” (p. 59-60).

Prophetic authors as wells as heroic characters disappeared or changed connotations in the 20th century:

“Come l’ermeneutica a soluzioni multiple dell’atto di narrare impone allo scrittore la rinuncia al ruolo del legislatore o del profeta, così, lungo una via parallela, nel Novecento si consuma o si trasforma l’idea tradizionale dell’eroismo. Nel labirinto del secolo, sotto il segno sinistro dell’atrocità e della catastrofe, alla parola della letteratura riesce sempre più difficile raffigurare nei suoi accenti il pathos dell’eroismo. O forse il ricordo dell’eroismo può sopravvivere solo in un’immagine stravolta di degradazione e di angoscia, come scoprono, dopo l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, tanto Kafka quanto Céline” (p. 99).

Minimalism, and the relationship between unity and diversity, but also a still important role of literature, and especially of the novel, are aspects of the most recent phase of globalization when literature is based on a “pluralismo autentico” (p. 143), and, even more than previously, “inevitabilmente una Weltliteratur” (p. 142).

On literature as communication between the author and the reader, Raimondi writes:

“Il linguaggio della pagina scritta consente quello che potremmo chiamare il transito dell’esperienza, la sua trasmissione entro un ambito comunicativo che in sé costituisce già un superamento della solitudine verso una comunità potenziale, la quale però assume contorni non convenzionali, perché si dà proprio a partire dalla solitudine, nel suo senso pieno. Come è stato scritto, noi siamo sempre in cammino dentro il linguaggio: poiché esso si correla a ciò che è accaduto o poteva accadere, secondo i nostri ricordi, ci immerge quindi in un universo multiplo, fatto di altre esperienze, che nelle sfaccettature delle circostanze danno il senso della vita, capace di sorprendere, nel momento stesso in cui ferisce, anche fisicamente, nella vivezza corporea del nostro sentire. L’esperienza che si può compiere nella parola consiste precisamente in una trasmissione a un altro che contemporaneamente implica anche la ricezione di qualcosa di nuovo” (p. 127).

[Roberto Bertoni]