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INDICE ALFABETICO / INDEX
Le voci elencate qui sotto senza il nome dell'autore sono state scritte da Roberto Bertoni. Foto di Marzia Poerio / Entries listed below without the name of the author were written by Roberto Bertoni. Pictures by Marzia Poerio.
- ACCERBONI, Laura, LEI È PAZZA? (TRE POESIE). Testi, 13-9-10.
- BAUMAN, Zygmunt, LIQUID MODERNITY. Riletture, 21-9-10.
- BENNI AND EASTERN ANTIQUITY. Rilettura, 7-9-10.
- BURKE, Peter, CULTURAL HYBRIDITY. Note di lettura, 3-9-10.
- DIĀO XIÁ LU (THE RETURN OF CONDOR HEROES). Storie di film di Renato Persòli, 19-9-10.
- DAWE, Gerald, DISTRACTION. Testo con traduzione, 23-9-10.
- FERRAMOSCA, Annamaria, UN'ARIA DI FORESTA, tradotta da Anamaría CROWE SERRANO. Testo con traduzione, 27-9-10.
- MIGNANI, Gabriella, EFFETTI INDESIDERATI. Note di lettura, 15-9-10.
- MONTOBBIO, Santiago, L'OBLIO E IL NON SCRITTO (TRE POESIE), . Testi tradotti da Valerio NARDONI, 5-9-10.
- PIZZI, Marina, L’INVADENZA DEL RELITTO, 2009 [81-90]. Testo, 9-9-10.
- RAGNOLI, Gian Paolo, I ME MINE. Testo, 17-9-10.
- REDMOND, Sean, STUDYING CHUNGKING EXPRESS. Storie di film di Renato Persòli, 25-9-10.
- SOGYAL RIMPOCHE, THE TIBETAN BOOK OF LIVING AND DYING. Note di lettura, 11-9-10.
Rivista in rete di scritti sotto le 2.200 parole: recensioni, testi narrativi, poesie, saggi. Invia commenti e contributi a cartallineate@gmail.com. / This on-line journal includes texts below 2,200 words: reviews, narrative texts, poems and essays. Send comments and contributions to cartallineate@gmail.com.
A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
Address (place of publication): Italian Dept, Trinity College, Dublin 2, Ireland. Tel. 087 719 8225.
ISSN 2009-7123
29/09/10
27/09/10
Annamaria Ferramosca, UN'ARIA DI FORESTA, tradotta da Anamaría Crowe Serrano
[The city through the forest (Hong Kong again). Foto di Marzia Poerio]
UN’ARIA DI FORESTA MI BATTE SULLE GUANCE
un’aria di foresta mi batte sulle guance
sto volando
a braccia distese esploro un sogno
siamo voci in stormo
come in cammino su un sentiero d’aria
con la conchiglia la veste monacale
la sera irradia pulsazioni di canto
sto scrivendo
della mia stanza dell’incertezza
nel bagliore tenue dello schermo
che sottrae voce, emoticons
a surrogare parole-carezze sulla pelle
pelle
che almeno scorticasse
della superbia della competizione
della frazione ormai plasmatica del male
oh quanti siamo in astinenza
e la dose d’amore intravista
è materia immigrante, flusso peligroso
frutto ibridato - era mela divina -
a marcire negli angoli
sorvolo l’area desertica, le oasi antropiche
della distanza
anche l’area temperata, antropofaga
a macchie urbane
sto scrivendo
della mia illusione sulle fondamenta
molle cemento in lenta subsidenza del desiderio
sentirmi lambire da lingue -
incendio
lingue
a parlarsi, poi
solo scintille
buio
il risveglio sarà per-voce, ancora
voce
canto battesimale, onda di madre
scalderà d’accoglienza sangue, cellule
cellule
cresceranno ancora nel timore di spegnersi
nella tragedia che ancora accade
l’odio l’incendio il trasporto dei padri sulle spalle
Enea in cammino fino all’Antartide
sto guardando
la foresta giù che lampeggia
il verde corpo disteso beneaugurante
a vegliare sui flussi naturali, sui nuovi nati
- potrebbero tecnomorire - o puri
tornare a correre sulla pianura
salvarsi
di diluvio in diluvio
A FOREST BREEZE BLOWS ON MY CHEEKS
a forest breeze blows on my cheeks
I’m flying
exploring a dream arms splayed
we are voices flocking
as if en route on a path of air
with our shell our pilgrim’s robe
evening radiating the pulse of song
I’m writing
about my room, its uncertainty
in the soft glow of the screen
that steals the voice, emoticons
replacing word-caresses on my skin
skin
if only it would shed
pride competition
the now plasmatic fraction of evil
oh how many of us are deprived
and the dose of love we glimpse
is immigrant stuff, a perilous flux
hybrid fruit - apple that once was divine -
rotting in a corner
I hover over desert ground, the anthropic oasis
of distance
over temperate anthropophagous ground too
dappled with towns
I’m writing
about the foundations having deceived me
soft cement subsiding slowly with my desire
to feel fire-tongues licking me
tongues
speaking to each other, then
mere sparks
darkness
we’ll be woken by the voice, once more
baptismal song, a maternal wave
will warmly welcome blood, cells
cells
will grow again afraid of being extinguished
in the tragedy that is still unfolding
hatred fire fathers carried on our backs
Aeneas en route to Antarctica
I’m looking
at the forest flickering below
its green body auspiciously outstretched
watching over the natural flow, over the newborn
- they could die a technodeath - or remain pure
running through the plain once more
be saved
between one deluge and the next
Testi tratti da OTHER SIGNS, OTHER CIRCLES, SELECTED POEMS 1990-2009, New York, Chelsea, 2009 .
25/09/10
Sean Redmond, STUDYING CHUNGKING EXPRESS
[Thinking of memory (Detail from Hong Kong). Foto di Marzia Poerio]
Sean Redmond, STUDYING CHUNGKING EXPRESS. Leighton Buzzard (GB), Auteur, 2008
Si tratta di un libro agile e didattico sul film di Von Kar-Wai recensito su “Carte Allineate” in data 1-11-2009.
Ha ragione Redmond a inserire CHUNGKING EXPRESS tra i capolavori del cinema d’autore. Le ragioni che adduce sono le immagini in parte sperimentali e in parte legate alla cultura popolare mentre i protagonisti “sembrano fluttuare all’interno e all’esterno dell’azione cinematografica come spettri” (p. 7).
Il film è ricco di metafore, tra le quali Redford segnala “i significanti della perdita e del rimpianto” (p. 8).
Frattanto si delineano i simboli allegorici della società in transizione (Hong Kong sulla soglia del passaggio all’amministrazione cinse, di cui il riflesso anche nell’incertezza esistenziale dei protagonisti): visioni di “commerci, alimenti, traffico velocizzato e congestionato, folle di persone colte in perpetuo movimento” (p. 8).
Il film è giustamente collocato tra le influenze subite dalla nouvelle vague e soprattutto da Godard e il new wave di Hong Kong che comprendeva negli anni Settanta registi quali Tsui Hark, Ann Hui, John Woo, Ringo Lam e Patrick Tam (p. 17).
La struttura narrativa è aperta, nondimeno i motivi che si ripetono legano le azioni. Per le azioni rapide e la colonna sonora si può al contempo parlare di elementi commerciali, siamo dunque all’interno di un caso di ibridazione proveniente dalla città per eccellenza delle commistioni, almeno come la sperimentava Won Kar-Wai negli anni Novanta.
Il tema, nonostante l’ironia e l’umanità del film, è quello struggente della perdita e della delusione amorosa, che potrebbe anche concludersi positivamente dato che il finale, col ritorno della seconda assistente di volo della seconda storia potrebbe convertirsi in un viaggio a due verso un qualche futuro.
Resta tuttavia al centro della poetica di questa pellicola più la presenza che la soddisfazione del desiderio (p. 40), accompagnata da una tendenza all’assunzione non solo di emozioni sentimentali frustrate ma anche di cibi e altre sensazioni (p. 42).
Si tratta in definitiva di un contesto allegorico della crisi di identità individuale sullo sfondo della tarda modernità come pure di una crisi delle relazioni sociali e di una rappresentazione delle loro impermanenza nel quadro specifico di Hong Kong (p. 48).
Accompagnato da un’analisi testuale e da un’utile bibliografia, si tratta di un libro tanto esile per numero di pagine (circa ottanta), quanto mirante a penetrare la densità dell’opera di Won Kar-Wai.
[Renato Persòli]
23/09/10
Gerald Dawe, DISTRACTION
DISTRACTION
Homage to J M Synge
I wander around the last place I had –
the private gardens I could look out on,
awaiting proofs or a letter.
My poor mother who misunderstood it all.
Paris was fun. I knocked about a bit
but deep in my heart of hearts
I knew all along that I had to get back
to the valleys of an imagined people:
the twists and turns of their language,
the girl whose shoulder brushed mine
and whose undisclosed body drove me
to distraction when I sat on the rocks,
the black edge of the north island
in front, the bay almost too blue.
*
In the early hours I walk by the quays
and yards of the Steamship Company.
A dog ferrets through the hotel’s rubbish
the local lad, pale as a ghost, dumped
last night out of sight, betwixt and between
my leaving and my return
to the south county districts
where it’s neither night nor yet quite day.
Kids talk to themselves
in doorways full of cartons and cans,
Pages of newspapers wrap about their feet
but they don’t notice. A fawn-like girl
hunched and jiggy, empties a white vial
and tosses it aside.
*
The shopping centre is floodlit like a stadium
and the chimneys of the generating station flash red.
The streetlights are bright tonight
as night falls on the piers, on the coal harbour,
on the urban villas and on the dimmed descent
of the last flight home
to the terraces, parks and avenues
in the shadows of all these years.
Listen hard enough and you will just about
make out in the gathering breeze
a wrought-iron gate clunk by the stone steps
which lead up towards my old flat
where a black cat halts and stares
at whatever it imagines is there.
TURBAMENTO
Omaggio a J M Synge
Mi aggiro nell’ultimo posto in cui ho vissuto
- i giardini privati visibili dai vetri,
in attesa di bozze o di una lettera -.
Povera madre mia che non capiva.
Parigi: divertente. Ho fatto in parte
il vagabondo, ma in fondo al cuore
ho sempre saputo di dover tornare
tra le valli di un popolo immaginato:
giri di parole, allusioni della lingua,
la ragazza che mi sfiorava le spalle
il corpo non rivelato che mi ha portato
turbamento mentre sedevo sugli scogli,
il bordo nero dell’isola nordica
era lì di fronte, quasi fin troppo blu la baia.
*
Mattina presto, cammino lungo le banchine
e i cantieri della Steamship Company.
Il cane che rovista tra i rifiuti dell’albergo
buttati fuori della portata degli occhi
da un tipo di qui, pallido come un fantasma,
a metà tra la partenza e il mio ritorno
nei quartieri della città sud
dove né è notte né è ancora giorno.
Ragazzi che parlano da soli
su soglie colme di lattine e cartoni,
nemmeno notano pagine di giornali
ravvoltolate sui piedi. Una ragazza,
simile a una cerbiatta, tremante, curva,
svuota una fiala bianca, la getta via.
*
Il centro acquisti inondato di luce come uno stadio;
ciminiere della centrale elettrica: lampeggiano di rosso.
Vividi i lampioni, stasera,
mentre la notte cala sulle banchine, sul porto del carbone,
sulle ville urbane e sull’ultimo aereo in discesa
a luci smorzate verso casa
fino a terrazze, parchi, viali
dentro le ombre di tutti questi anni.
Ascolta con l’attenzione dovuta, riuscirai
a distinguere appena, nella brezza che si raccoglie,
suoni sordi del cancello di ferro battuto
contro i gradini di pietra che salgono
al mio vecchio appartamento, dove si arresta
un gatto nero e fissa quanto immagina che ci sia.
(Traduzione di Roberto Bertoni)
NOTE BY THE AUTHOR
I wrote ‘Distraction’ for a book on John Millington Synge, which was the brain-child of Nicholas Grene, the distinguished professor of literature at Trinity College. The book, INTERPRETING SYNGE (2000), was a collection of essays and poems by various hands brought together to mark ten years of the Synge Summer School of which Nicky had been a founding director.
Synge has always been a fascination to me, and by a pure fluke when I moved from Galway to teach in Trinity in the late 1980s I spent a year staying in rooms literally a step or two away from the house in Crosswaithe Park in which Synge had lived before succumbing to Hodgkin’s disease a few weeks before his thirty-eighth birthday.
I had been a fan of his THE ARAN ISLANDS since I read it as an undergraduate in a windy sea-sprayed rented house on the coast of Portstewart where I dreamed myself into a kind of Syngean beguilement with the west of Ireland - which is where I ended up in the early seventies. It was Galway before the developers and town planners had taken over and recast the town and its hinterlands; a Galway that I felt in many ways resembled the place Synge had known.
So the chance to bring both parts of Synge’s story together – the west of Ireland with his Glenageary self - found a root in the pre- Celtic Tiger dawn of south county Dublin. I imagined him recording his ghostly return to the old apartment and walking around Dun Laoghaire while thinking back on his trips to Aran, standing on the Galway quayside. And I quote one or two lines from THE ARAN ISLANDS and put, in his recounting voice, a couple of titles of my own, just for the hell of it.
The poem is dedicated to Nicky Grene because without his request it wouldn’t have been written.
October 2010
Homage to J M Synge
I wander around the last place I had –
the private gardens I could look out on,
awaiting proofs or a letter.
My poor mother who misunderstood it all.
Paris was fun. I knocked about a bit
but deep in my heart of hearts
I knew all along that I had to get back
to the valleys of an imagined people:
the twists and turns of their language,
the girl whose shoulder brushed mine
and whose undisclosed body drove me
to distraction when I sat on the rocks,
the black edge of the north island
in front, the bay almost too blue.
*
In the early hours I walk by the quays
and yards of the Steamship Company.
A dog ferrets through the hotel’s rubbish
the local lad, pale as a ghost, dumped
last night out of sight, betwixt and between
my leaving and my return
to the south county districts
where it’s neither night nor yet quite day.
Kids talk to themselves
in doorways full of cartons and cans,
Pages of newspapers wrap about their feet
but they don’t notice. A fawn-like girl
hunched and jiggy, empties a white vial
and tosses it aside.
*
The shopping centre is floodlit like a stadium
and the chimneys of the generating station flash red.
The streetlights are bright tonight
as night falls on the piers, on the coal harbour,
on the urban villas and on the dimmed descent
of the last flight home
to the terraces, parks and avenues
in the shadows of all these years.
Listen hard enough and you will just about
make out in the gathering breeze
a wrought-iron gate clunk by the stone steps
which lead up towards my old flat
where a black cat halts and stares
at whatever it imagines is there.
TURBAMENTO
Omaggio a J M Synge
Mi aggiro nell’ultimo posto in cui ho vissuto
- i giardini privati visibili dai vetri,
in attesa di bozze o di una lettera -.
Povera madre mia che non capiva.
Parigi: divertente. Ho fatto in parte
il vagabondo, ma in fondo al cuore
ho sempre saputo di dover tornare
tra le valli di un popolo immaginato:
giri di parole, allusioni della lingua,
la ragazza che mi sfiorava le spalle
il corpo non rivelato che mi ha portato
turbamento mentre sedevo sugli scogli,
il bordo nero dell’isola nordica
era lì di fronte, quasi fin troppo blu la baia.
*
Mattina presto, cammino lungo le banchine
e i cantieri della Steamship Company.
Il cane che rovista tra i rifiuti dell’albergo
buttati fuori della portata degli occhi
da un tipo di qui, pallido come un fantasma,
a metà tra la partenza e il mio ritorno
nei quartieri della città sud
dove né è notte né è ancora giorno.
Ragazzi che parlano da soli
su soglie colme di lattine e cartoni,
nemmeno notano pagine di giornali
ravvoltolate sui piedi. Una ragazza,
simile a una cerbiatta, tremante, curva,
svuota una fiala bianca, la getta via.
*
Il centro acquisti inondato di luce come uno stadio;
ciminiere della centrale elettrica: lampeggiano di rosso.
Vividi i lampioni, stasera,
mentre la notte cala sulle banchine, sul porto del carbone,
sulle ville urbane e sull’ultimo aereo in discesa
a luci smorzate verso casa
fino a terrazze, parchi, viali
dentro le ombre di tutti questi anni.
Ascolta con l’attenzione dovuta, riuscirai
a distinguere appena, nella brezza che si raccoglie,
suoni sordi del cancello di ferro battuto
contro i gradini di pietra che salgono
al mio vecchio appartamento, dove si arresta
un gatto nero e fissa quanto immagina che ci sia.
(Traduzione di Roberto Bertoni)
NOTE BY THE AUTHOR
I wrote ‘Distraction’ for a book on John Millington Synge, which was the brain-child of Nicholas Grene, the distinguished professor of literature at Trinity College. The book, INTERPRETING SYNGE (2000), was a collection of essays and poems by various hands brought together to mark ten years of the Synge Summer School of which Nicky had been a founding director.
Synge has always been a fascination to me, and by a pure fluke when I moved from Galway to teach in Trinity in the late 1980s I spent a year staying in rooms literally a step or two away from the house in Crosswaithe Park in which Synge had lived before succumbing to Hodgkin’s disease a few weeks before his thirty-eighth birthday.
I had been a fan of his THE ARAN ISLANDS since I read it as an undergraduate in a windy sea-sprayed rented house on the coast of Portstewart where I dreamed myself into a kind of Syngean beguilement with the west of Ireland - which is where I ended up in the early seventies. It was Galway before the developers and town planners had taken over and recast the town and its hinterlands; a Galway that I felt in many ways resembled the place Synge had known.
So the chance to bring both parts of Synge’s story together – the west of Ireland with his Glenageary self - found a root in the pre- Celtic Tiger dawn of south county Dublin. I imagined him recording his ghostly return to the old apartment and walking around Dun Laoghaire while thinking back on his trips to Aran, standing on the Galway quayside. And I quote one or two lines from THE ARAN ISLANDS and put, in his recounting voice, a couple of titles of my own, just for the hell of it.
The poem is dedicated to Nicky Grene because without his request it wouldn’t have been written.
October 2010
21/09/10
Zygmunt Bauman, LIQUID MODERNITY
[Yin liquidity digged into what used to be yang rock. Foto di Marzia Poerio]
Zygmunt Barman, LIQUID MODERNITY. Oxford, Polity, 2000
Abbiamo riletto questo volume di Bauman nell'edizione originale inglese (da cui sono tratte le citazioni che si è preferito non tradurre). Se su certi piani ci è parso non prefigurare tutto quello che oggi esiste nella società, soprattutto sul piano politico, e sebbene sia stato scritto prima dell’11 settembre 2001, una data che ha aperto elementi di guerra (un tema qui non trattato) e ulteriori aspetti di conflitto, rappresenta tuttavia, a molti livelli, soprattutto quello del ruolo dell’individuo nella società dei consumi, una descrizione di ciò che siamo in effetti, che va di pari passo con le ricerche di altri come Beck, Giddens e Sennett.
La prefazione, intitolata ON BEING LIGHT AND LIQUID, applica questi due concetti alla società tardomoderna, “late modern or postmodern society, Ulrick Beck’s society of ‘second modernity’ or, as I prefer to call it, the ‘society of fluid modernity’” (p. 23). Se è vero che, come si dichiarava nel Manifesto Comunista, già dall’Ottocento, con la frase nota di Marx, “all that is solid melts into air”, è però anche vero, secondo Bauman, che le istituzioni sociali e politiche divennero a loro volta, col passare del tempo, solide nel senso di stantie e rigide, ingabbiandosi in una serie di abitudini familiari e personali statiche, classi sociali stabili, atteggiamenti economici e convenzioni sociali fondate sul peso e sulla solidità piuttosto che sulla leggerezza e sulla liquidità che invece caratterizzano la fase più recente della società globalizzata, dagli anni Ottanta in poi. Si tratta di una modernità computerizzata, sottratta alla localizzazione in un unico luogo, impersonale nelle strutture di potere. Pertanto, scrive Barman, “there are reasons to consider ‘fluidity’ or ‘liquidity’ as fitting metaphors when we wish to grasp the nature of the present, in many ways novel, phase in the history of modernity” (p. 2).
“The liquidizing powers have moved from the ‘system’ to ‘society’, from ‘politics’ to ‘life policies’ - or have descended from the ‘macro’ to the ‘micro’ level of social cohabitation.
Ours is, as a result, an individualized, privatized version of modernity, with the burden of pattern-weaving and the responsibility for failure falling primarily on the individual’s shoulders” (p. 8).
Il potere è diventato “extraterritorial” e controlla non più, come nel Panopticon di Bentham ripreso da Foucault, tramite la presenza continua e costante, bensì per mezzo dell’essere “beyond reach”, secondo le leggi di una “sheer inaccessibility” (p. 11). Secondo Bauman si è passati dal Panopticon a una situazione in cui, come osserva Mathiesen, “it is now the many who watch the few” e “obedience to standards […] tends to be achieved nowadays through enticement and seduction rather than by coercion” (p. 86). Questa, però, pare la parte più debole dell’argomentazione di Bauman, perché la nuova destra, se si serve delle strategie della “seduzione”, è al contempo decisa a controllare la società in modo autoritario, mentre le gerarchie delle istituzioni hanno ridotto la democrazia; su questi piani sono più d’accordo con chi parla di postdemocrazia e involuzione autoritaria della democrazia. Tuttavia sul piano del privato, della flessibilità in generale, delle mode culturali e dell’individualismo e del nomadismo, l’analisi di Bauman sembra ancora attuale.
Contemporaneamente, è prevalso il “nomadism” rispetto al “sedentarism” e ai principi di “territorialità and settlement” (p. 13). Proprio la mobilità è utile al potere per dominare nella nuova società (p. 14).
Sul piano del tessuto sociale si è assistito alla “disintegration of the social network” e a un “ falling apart of effective agencies of collective action” (p. 14).
Per mettere in evidenza queste problematiche, il volume esamina cinque aspetti: “emancipation, individuality, time/space, work and community” (p. 8).
EMANCIPATION
Uno degli elementi di questo capitolo è il rapporto tra desideri e libertà, il cui equilibrio può essere creato o “by cutting down the desires and/or imagination”, o “by expanding one’s ability to act” (p. 17). Esistono una libertà soggettiva e una libertà oggettiva con la loro dinamica reciproca per cui anche iin condizioni di libertà oggettiva ci si può sentire non liberti e viceversa.
Ci sono riferimenti a Marcuse e in generale alla teoria critica della scuola di Francoforte, ma l’idea chiave di questi pensatori, cioè la schiavitù dell’individuo al sistema sociale, è “outdated, in quanto l’individuo ha ormai la libertà personale, anzi “social institutions are only too willing to cede the worries of definitions and identities to the individual initiative, while universal principles to rebel against are hard to findd” (p. 22). La teoria critica si orientava contro una “totalitarian tendency” (p. 26) della società e difendeva l’autonomia, la libertà di scelta e l’autodeterminazione dell’individuo, ma i modelli di società del tipo di Orwell e Huxley sono superati dalle nuove forme della modernità, e principalmente la crisi dell’idea di progresso, “of the belief that there is an end to the road along which we proceed, an attainable telos of historical change”; e la “deregulation and privatization of the modernizing tasks and duties” (p. 29).
Quanto alle norme sociali in relazione alla libertà, esse “enable as they disable”, o, citando Giddens: “to imagine a life of momentary impulses, of short-term action, devoid of sustainable routines, a life without habits, is to imagine indeed a mindless existence”. Secondo Bauman le regole sono diminuite in certi casi proprio al punto di una “mindless existence” (p. 21).
Riguardo alle identità, “human beings are no longer ‘born into’ their identities” (p. 32), ma le formano in narrative di vita molteplici.
L’individualizzazione è fondata sulla corrosione dell’idea di cittadinanza; le comunità sono fragili e di breve durata; “individualization is here to stay” (p. 37). “The task is now to defend the vanished public realm” (p. 39). “The job with which human beings are charged today remains much the same as it has been since the beginning of modern times: the self-constitution of individual life and the weaving as well as the servicing of the networks of bonds with other self-constituting individuals” (p. 49).
INDIVIDUALITY
Enuncia due prefigurazioni della società contemporanea: Brave New World di Huxley, che mette in rilievo una società integrata, dimentica dei problemi politici, “carefree and playful”; e 1984 di Orwell, la società controllata e totalitaria “of individual freedom not just reduced to a sham or naught, bu keenly resented by people drilled to obey commands and to follow set routines” (p. 53). Ciò che hanno in comune è la convinzione che “the future held in sotre less freedom, more control, supervision and oppression” (p. 54), mentre il mondo odeirno si è alleggerito sebbene esistano le strutture del potere.
Il modello fordista di produzione e integrazione è stato superato. La predizione weberiana dello sviluppo della burocrazia a livelli esagerati non si è verificato (Weber è discusso alle pp. 59-60). Si è assistito al “passage from heavy to light capitalism” con la “dissipation of invisible ‘politburos’” (p. 60). In una frase, “everything, so to speak, is now down to the individual” (p. 62).
“Authorities no longer command; they ingratiate themselves with the chooser; they tempt and seduce” (p. 64). La politica con la P maiuscola è stata sostituita dal modello proposto dalle figure pubbliche. “The life conditions in question propmpt men andd women to seek examples, not leaders” (p. 71).
Ciò che secondo Bauman ha sostituito le autorità tradizionali (“law-giver, norm-setter, preacher or teacher”, p. 67) nel mondo consumista e liquido è l’esempio fornito da individui specifici; così per esempio nei chat-show e questo spiega anche perché sono tanto seguiti, inoltre si collega alla pubblicizazione del privato: “Chat-shows legitimize public discourse about private affairs. They render the unspeakable speakable, the shameful decent, and transform the ugly secret into a matter of pride”, il pubblico si riconosce nei problem presentati dai partecipanti ai chat-shows: “they are reconfirmed as private and will emerge from their public exposure reinforced in their privacy” (p. 69).
L’attività dell’acquisto (“shopping”), basata sullo “scanning the assortment of possibilities” (p. 73) è una delle metafore della società liquida e caratterizza il nostro atteggiamento in tutte le fasi della vita, anche quando non facciamo acquisti propriamente detti: “shopping is not just about food, shoes, cars or furniture items. The avid, never-ending search for new and improved examples and recipes for life is also a variety of shopping” (p. 74), come pure gli atteggiamenti con cui ci accostiamo al fare amicizie, cercare lavoro, migliorare l’immagine personale, ecc.
Somiglia ai procedimenti dell’acquisto anche l’identità: “given the intrinsic valatility and unfixity of all or most identities, it is the ability to ‘shop around’ in the supermarket of identities, the degree of genuine or putative consumer freedom to select one’s identity and to hold to it as long as desired, that becomes the royal road to the fulfillment of identity fantasies” (p. 83). “The mobility and flexibility of identification which characterize the ‘shopping around’ type of life are not so much vehicles of emancipation as the instruments of the redistribution of freedoms” (p. 90).
Il consumismo attuale è basato non tanto sul bisogno (“need”) quanto sul desiderio (“desire”) (p. 74) e sulla scelta vasta dei prodotti, con un risvolto anche psicologico della differenza tra abbienti e meno abbienti: “the more choices the rich seem to have, the less bearable to all is a life without choosing” (p. 88).
TIME/SPACE
La riduzione del tempo e dello spazio favorita dalle comunicazioni veloci e dagli strumenti elettronici ha ridotto i fenomeni di permanenza, producendo quello cche Baumaan definisce “instant living” (p. 123); e ha influito sul senso di comunità, provocando “separation in lieu of the negotiation of life in common” (p. 94).
L’incontro con gli altri è spesso un “event without a past” e molte volte anche “without a future” (p. 95). Similmente liquidificati sono i rapporti interpersonali come il matrimonio, traformato in coabitazione, spesso anche solo temporanea. Anche i rapproti personali vengono rapidamente consumati e dispersi (p. 163).
Lo spazio pubblico è raramente anche “civil space” (p. 105) e si è trasformato con frequenza nel non luogo (“non-place”, p. 102), fondato sul consumo.
Tempo e spazio mutati, oltre ai meccanismi economici contemporanei, hanno provocato spostamenti di popolazione; e la presenza degli stranieri ha a sua volta creato sentimenti di insicurezza, la paura dell’altro, la reinvenzione dell’identità etnica (p. 107).
WORK
L’insicurezza domina i rapporti di lavoro con la precarietà (“precariousness”, p. 161) e l’impermanenza dei contratti, la facilità con cui la forza lavoro viene espulsa dal posto fisso o temporaneo, il mutamento delle aspettative e delle possibilità in assenza di “long-term secutiry” (p. 162).
COMMUNITY
Come in altre parti del volume, anche in questo capitolo si mette in evidenza quanto sostiene Eric Hobsbawn: “Never was the word ‘community’ used more indiscriminately and emptily than in the decades when communities in sociological sense became hard to find in real life” (p. 171).
In quest'ultimo capitolo si esaminano anche il rapporto tra stato-nazione e altre forme di comunità emerse.
[Roberto Bertoni]
19/09/10
SHÉN DIĀO XIÁ LU (THE RETURN OF CONDOR HEROES)
[The water pavilion (Chandeokgung, Seoul). Foto di Marzia Poerio]
Serie televisiva cinese in 40 puntate, 2006, diretta da Yu Min. Basata sul romanzo di Jin Yong (pseudonimo di Louis Cha), 1959. Con Kenny Bee, Dingdang, Kong Li, Jessey Meng, Yang Mi, Liu Yifei, Wang Luoyong.
Anche questo mese uno sceneggiato del genere Wuxià, con trama più lineare di altre, ma non certo priva di diramazioni, ritardi del finale, complicazioni psicologiche.
Il bambino Yang Guo ha perso il padre Yang Kang in circostanze che resteranno segrete per larga parte di questa storia ambientata nel XIII secolo lungo un arco di circa trent’anni, e quando saranno rivelate provocheranno prima un malinteso che porterà Yang Guo a ritenere autori del delitto del padre gli zii che l’hanno adottato, fino al chiarimento intervenuto dopo varie traversie.
Yang Guo viene assegnato dagli zii a un tempio taoista da cui, maltrattato, se ne va, risedendo in seguito in una caverna denominata la “tomba” con un’adolescente, Xiaolongnü, appartenente alla setta dei “morti viventi”, la quale, oltre ad allevarlo, lo educa nelle arti marziali. Il divario di età tra i due non è troppo elevato, tanto che, quando il giovane eroe cresce, si innamorano l’uno dell’altra in un rapporto platonico che nondimeno subisce lo stigma sociale del mondo delle arti marziali, risultando una relazione sconveniente in quanto è tra maestra e allievo.
Nonostante i pregiudizi e i numerosi ostacoli che si frappongono sul loro cammino, i due infine riusciranno a sposarsi e a vivere uniti. Non prima di essere stati separati per vari mesi da un equivoco: lei viene violentata da un monaco che la benda e a cui non si oppone credendo che sia il fidanzato; e quando questi, a cose fatte, nega, lo abbandona fino a quando lui, anche se inconsapevole dell’accaduto, le chiede di sposarlo. L’equivoco si chiarirà solo molti anni dopo, al che la ragazza punirà il violentatore uccidendolo. Una seconda separazione è dovuta alla decisione di Xiaolongnü di allontanarsi per non offuscare col fidanzamento il buon nome dell’amato, ma gli anni di separazione non servono che a rafforzare questo amore. Infine lei si allontana per ulteriori dodici anni perché teme di essere ferita mortalmente e lui ha promesso di suicidarsi se lei morirà. Xiaolongnü sopravvive alla ferita, ma è finita in un’altra caverna da cui non c’è via d’uscita, apparentemente, e non riesce a far capire a Yang Guo dove si trova nonostante abbia scritto un messaggio allusivo sulle ali delle api che alleva e che volano in superficie dove lui passa. Yang Guo la trova lo stesso, fortuitamente; scoprono una via d’uscita; partecipano a una guerra vincendola per i cinesi. Yang Guo ha frattanto perso un braccio, tagliato dalla cugina impulsiva e arrogante, che tutta la vita lo detesta fino a quando, divenuto abile praticante del Kung Fu ed eroe nazionale, le salva il marito.
Come in altre opere ispirate ai romanzi di Louis Cha, autore anche di saggi sulla storia cinese, lo sfondo degli eventi è il rischio del crollo della Cina sotto le invasioni straniere, la transizione tra una dinastia e la successiva, il momento in cui “il mondo è immerso nel caos”, come ripetono qui e altrove i suoi personaggi, quasi le sue narrazioni avessero come sostrato allegorico la misura del potere esistente, la sua decadenza, il rinnovamento e il superamento.
L’etica confuciana produce eroi ed eroine che dicono la verità, operano in funzione del bene ideale e non delle trame e delle astuzie che caratterizzano invece il sottomondo narrativo dei coinvolti attivamente nella politica tra i corridoi del potere. Non è tanto il bene in astratto a trionfare, quanto l’esempio positivo, la dimostrazione, con la testimonianza personale, che si può vivere in accordo con la natura profonda, col Sé junghiano si potrebbe dire, o più propriamente, nell’arco di ideologie disponibili storicamente ai personaggi, col nucleo della coscienza che più corrisponde alle positività.
La critica non risparmia il ceto clericale, soprattutto taoista; e in questa storia, forse più che in altre tratte dallo stesso autore, la spontaneità è vista come valore dominante.
Tali pure il perdono, la moderazione, l’autocontrollo, che arriva al punto di evitare la vendetta, da parte di Yang Guo, anche quando viene mutilato dalla cugina. Ciò non significa che egli demorda dalla contestazione della malvagità, o che assuma atteggiamenti monastici, ma piuttosto che segue un codice di comportamento etico fondato sui principi e che non può cedere alle emozioni negative se non vuole corrompersi, deviare, interrompere il cammino dell’evoluzione interiore.
Colpisce il motivo della caverna, che è a più livelli: il fondo oscuro dell’inconscio simbolizzato in un ambiente geografico che congrega il gelo, il buio, la protezione, le tane e i ricettacoli, la tomba come morte al mondo e rifugio rispetto al fuori indisciplinato, turbolento, sconvolgente.
La recitazione atarassica di Liu Yufei, astro ascendente del cinema cinese, i suoi costumi di scena bianchi e vaporosi, i movimenti armoniosi aggiungono elementi di grazia (foscoliana) al testo.
[Renato Persòli]
17/09/10
Gian Paolo Ragnoli, I ME MINE
Non ho vagato per l’America in lungo e in largo
con pochi dollari da spendere, un paio
di Levi’s stracciati e un coltello a serramanico come Bobby McGee..
Ho vissuto la mia vita, come ho saputo fare, tra i compagni..
Non ho camminato con passo felpato per il Taj Mahal
a piedi nudi, ascoltando l’intervallo tra i miei pensieri,
la mia India l’ho cercata qui, in fondo a un cilum che mi diede Alfredo,
nelle notti al curvone, nelle albe in riva al mare.
ho fatto saltare sassi piatti sul mare di Levanto un giorno,
così immobile da udirne ogni respiro, da immaginare che arrivassero in Africa
a giacere su una calda sponda senza dissiparsi sull’acqua,
liberati dal destino di affondare.
Ho amato e sono stato amato, ho tradito e sono stato tradito,
sono stato stupido, a volte ridicolo, ma ogni volta pensavo ne valesse la pena.
Ho cercato di essere Bogart o Marlowe, o una specie di Jean Pierre Leaud.
In qualche momento, esaurite le maschere, sono riuscito ad essere me stesso.
E allora penso che quel groppo in gola che mi rimane,
quel sentire che c’è un discorso interrotto, mai portato a termine
dentro di me siano parte di quel senso d’inquietudine che mi accompagna
da sempre, una cicatrice interiore che copre un sentimento ferito.
“Quando i sentimenti sono feriti
Io sto dalla loro parte, quella dei sentimenti feriti,
schiacciati da martelli insensibili,
fatti sanguinare da chiodi arrugginiti” [1].
NOTE
[1]Bob Dylan, 11 OUTLINED EPITAPHS.
Della poesia nel suo complesso, l'autore scrive: "Questo testo, in cui fingo di togliermi tutte le maschere indossando quella di chi si toglie tutte le maschere, prende il titolo da una canzone di George Harrison sulle miserie dell'ego, una delle ultime canzoni registrate dai Beatles prima di sciogliersi per problemi di ego".
con pochi dollari da spendere, un paio
di Levi’s stracciati e un coltello a serramanico come Bobby McGee..
Ho vissuto la mia vita, come ho saputo fare, tra i compagni..
Non ho camminato con passo felpato per il Taj Mahal
a piedi nudi, ascoltando l’intervallo tra i miei pensieri,
la mia India l’ho cercata qui, in fondo a un cilum che mi diede Alfredo,
nelle notti al curvone, nelle albe in riva al mare.
ho fatto saltare sassi piatti sul mare di Levanto un giorno,
così immobile da udirne ogni respiro, da immaginare che arrivassero in Africa
a giacere su una calda sponda senza dissiparsi sull’acqua,
liberati dal destino di affondare.
Ho amato e sono stato amato, ho tradito e sono stato tradito,
sono stato stupido, a volte ridicolo, ma ogni volta pensavo ne valesse la pena.
Ho cercato di essere Bogart o Marlowe, o una specie di Jean Pierre Leaud.
In qualche momento, esaurite le maschere, sono riuscito ad essere me stesso.
E allora penso che quel groppo in gola che mi rimane,
quel sentire che c’è un discorso interrotto, mai portato a termine
dentro di me siano parte di quel senso d’inquietudine che mi accompagna
da sempre, una cicatrice interiore che copre un sentimento ferito.
“Quando i sentimenti sono feriti
Io sto dalla loro parte, quella dei sentimenti feriti,
schiacciati da martelli insensibili,
fatti sanguinare da chiodi arrugginiti” [1].
NOTE
[1]Bob Dylan, 11 OUTLINED EPITAPHS.
Della poesia nel suo complesso, l'autore scrive: "Questo testo, in cui fingo di togliermi tutte le maschere indossando quella di chi si toglie tutte le maschere, prende il titolo da una canzone di George Harrison sulle miserie dell'ego, una delle ultime canzoni registrate dai Beatles prima di sciogliersi per problemi di ego".
15/09/10
Gabriella Mignani, EFFETTI INDESIDERATI
[The Tulip (Insadong, Seoul). Foto di Marzia Poerio]
Gabriella Mignani, EFFETTI INDESIDERATI. La Spezia, Cinqueterre editore, 2010
Leggibile e agile è la prosa di Gabriella Mignani, giornalista che ha lavorato presso “La Nazione” e il “Secolo XIX”, autrice di un saggio sui rapporti tra Dante e Mazzini e di monografie di artisti.
Nel volumetto di racconti EFFETTI INDESIDERATI, delinea situazioni che variano dalla crisi dei rapporti interpersonali di amicizia e d’amore, alla presenza del caso e dei confini anche del magico e dell’inquietante nella vita quotidiana.
In GIOCHI DI BIMBE, il lato oscuro emerge dietro una normalità apparente, tramite il gioco che sconfina in una sfida psicologica tra due amiche d’infanzia, una delle quali potrebbe condurre l’altra a rischiare la vita: per invidia, forse, e comunque per un’ostilità latente, non confessata in modo aperto. Fin da questo racconto su un’età che precede quella adulta, il gioco della vita appare pericoloso ed esposto alla possibilità di travalicare i confini della cosiddetta “normalità”.
I comportamenti estremi si delineano come se fossero la risultante di una serie di eventi accumulati e apparentemente semplici e comuni, che in realtà provocano conseguenze ampie e spingono in direzioni che all’inizio di queste storie non erano necessariamente prevedibili, fino all’orlo della malattia mentale, come nel racconto conclusivo, intitolato DISFATTA.
Talora è una rivelazione inopinata che dà la chiave di volta di atteggiamenti tali da proporsi inizialmente come inspiegabili; si veda, in QUESTIONE DI STILE, la gentilezza accompagnata da freddezza di un marito che si allontana dalla moglie e delle cui motivazioni al distacco solo all’ultimo capoverso il lettore viene a conoscenza.
La vita che viviamo è resa come una routine inficiata dal disamore e dall’incomunicabilità, in storie i cui protagonisti femminili attraversano crisi sentimentali ed esistenziali; e da cui escono con riti di passaggio come uno strano rituale dei tarocchi in VIA DEL POGGIO, in cui la liberazione dal passato non arriva tanto per via del concreto contenuto magico adottato, bensì del corrispettivo psicologico nella mente della protagonista.
La magia compare anche in SPIRITI INQUIETI, in cui una seduta spiritica dà luogo a comportamenti nuovi e inattesi da parte di due partecipanti che finiscono per essere spinti l’uno verso l’altra a formare una coppia, non tanto, ancora una volta, per credenza nel contenuto specifico dello spiritismo, ma per l’effetto inconscio che esso scatena.
Le spiegazioni di queste situazioni, che qui non descrivo nei particolari concreti per non togliere la suspense alla lettura, potrebbero essere tanto razionali quanto irrazionali. Si resta in sospeso, si insinua il fantastico come in GIRO DI VITE, uno dei testi di Henry James citati da Mignani; mentre il James più realista e di interni e vite borghesi viene citato, in modo ancora più impegnativo fin nel titolo di uno dei racconti, RITRATTO DI SIGNORA, la cui protagonista sta leggendo appunto questo romanzo e riflettendo soprattutto su una frase jamesiana che pare adattarsi a vari racconti di Mignani: “Le cose sono sempre diverse da quello che potrebbero essere” (p. 50).
Una serie di coincidenze determinano “effetti indesiderati”, per richiamarsi al titolo del volume. La vita, scrive Mignani, è “spesso insipida”; ma è possibile, nel passarvi in mezzo, “scherzare col fuoco”, ovvero trovarsi al confine periclitante tra il vissuto delle sicurezze e quello dell’investimento sulle possibilità che potrebbero modificare la monotonia, ma anche condurre all’estremo opposto, non necessariamente piacevole.
Dotati di una misura di brevità e asciuttezza, questi racconti indicano quanto la condizione di tarda modernità attuale sia caratterizzata da alienazione e scollamento tra pensieri e atti.
[Roberto Bertoni]
13/09/10
Laura Accerboni, LEI È PAZZA? (TRE POESIE)
[Arrow pointing towards a poet. (Lerici, 2010). Foto di Marzia Poerio]
1.
Lei è pazza?
Così di tanto in tanto
si rallegravano
con una semplice scommessa.
E io continuavo
a portare
le mie porte sulle spalle
e migravo
come migrano gli insetti
dall’uomo.
Di tanto in tanto amici
avvicinavano
il fondo
e domandavano
“come stanno i tavoli
su cui dormi?”
Così mi dicevo
“sono pazzi”
e mi rallegravo
come ci si rallegra
per una semplice
scommessa.
2.
Poter essere
donna fra le donne,
quando il volto
si fa adulto,
quando il padre
spiega la sua lezione
in un plurale maschile,
quando ti modellano
il corpo e la mente
per farti essere modello
di piacere,
modello economico
senza spalle.
Quando ti vietano
la libertà
di svolta,
perché sarai madre
perché sarai figlia
perché sarai casa
senza uscita.
3.
Avrei potuto alzarmi,
guardarmi
collezionare
tutti i fossi
che mi avevano regalato
ognuno rigorosamente
accompagnato da
“Con i nostri migliori auguri”.
Strinsi
a ognuno la mano
chinando il capo
e sorridendo
come sorride
chi già non esiste
mi strinsi in me
nel più freddo degli abbracci.
Riscaldai mani e piedi
per sentirmi
in un pomeriggio
estivo
11/09/10
Sogyal Rimpoche, THE TIBETAN BOOK OF LIVING AND DYING
[Statue. (Private Buddhist Art Museum, Seoul). Foto di Marzia Poerio]
Sogyal Rimpoche, THE TIBETAN BOOK OF LIVING AND DYING. Londra, Rider, 1992
Sogyal ha vissuto nel Tibet prima di uscirne profugo e studiare e insegnare in occidente (si è laureato a Cambridge). C'è una prefazione del Dalai Lama.
Il concetto fondamentale è la vita come preparazione alla morte. La morte verrà e non ci colga impreparati. Poco nell'impermanenza in fondo resta da vivere prima delle prossime vite. Se non ci saranno cambiamenti fondamentali, la rinascita avverrà in condizioni sfavorevoli. Questa parrebbe la motivazione fondamentale per dedicarsi all'evoluzione interiore.
Gran parte del libro è dedicata alla morte e ai rituali tibetani al riguardo, in particolare al BARDO TÖDROL CHEMNO (TIBETAN BOOK OF THE DEAD, letteralmente il titolo tibetano significa "The Great Liberation through the Hearing of the Bardo", p. 102; bardo significa transizione).
Essendo ogni stato dell'essere impermanente, i bardo sono vari: non solo la transizione tra vita e morte, ma anche il bardo naturale della vita come la viviamo tra nascita e morte.
Si tratta di comprendere la vera natura della mente e riposare in essa (uno spazio ampio come il cielo, dice Sogyal, p. 59), lasciandosi alle spalle l'attaccamento, il desiderio, la brama, ma anche la speranza. "Rather than suppressing emotions or indulging in them, [...] it is important to view them" e "defuse them" per mezzo della pratica della meditazione e con l'altruismo e la compassione per gli altri, annullando l'io. Respinge rituali particolari, l'idea di arrivare ad altro che alla normalità e alla modestia, fare il vuoto anche dell'idea che si sta meditando (p. 72).
Per fermare il pensiero negativo, suggerisce di ampliare infinitamente lo spazio tra un pensiero e l'altro, "bringing the mind home", p. 59):
"In the ordinary mind, we perceive the stream of thoughts as continuous; but in reality this is not the case. You will discover for yourself that there is a gap between each thought. When the past thought is past, and the future thought not yet arisen, you will always find a gap in which the Rigpa, the nature of mind, is revealed. So the work of meditation is to allow thoughts to slow down, to make the gap become more and more apparent", prolungare il gap e questa è la meditazione (p. 75).
La realtà è vuoto e sogno. Tutto è nella mente, non nella realtà come la percepiamo di solito.
[Aurelio Devanagari]
09/09/10
Marina Pizzi, L’INVADENZA DEL RELITTO, 2009 [81-90]
81.
sono l’impaccio della notte fonda
con la fionda straluno all’abitacolo
del nulla. amami alla foce di chi sono
ultimo enigma di una statua piena
di chissà quale sabbia magica.
raccontami di te che fosti equanime
bambino che spartisce i giochi
nulla piangendo giammai la rotta.
incollami la vita in una fossa di nuvola,
incollami in soffitta dove ne muoia
la scatola che infante mi contenne.
parlottami di venia e di sciagura
quando non basta una vita intera
né l’elemosina si serbarmi viva.
militare di sciagura il tuo sguardo
dove si avvampa la gru di non procedere
verso il cielo. è un limite il pane
che ho da tagliare.
82.
qui l’aceto sul grano
vuole le donne chiuse
le serre soltanto per le fusa
di gatti. è noto al pubblico
lo schianto del sudario dell’impalcatura.
all’alba si lavora con la bara sulla schiena.
un almanacco qualsiasi fa da asciugamano
alla gara di piangere sotto il secco
stranuto di un chicco di agonia. le mille
beffe dell’aria del padrone consacrano
l’ispezione. già da domani non piangerò
la sorte del dio disamato alquanto.
83.
la vaga canotta dell’infante
ricorda consuetudini di rigore
la madre che ciabatta per la beltà
del figlio. non un eremo d’armonia
questa mente posata sul costato
del morente. in codice verrò
senza più darti il seme. l’occaso
smunto delle vene patirà le ceneri.
in mano alla gaiezza di chi non visse
imparo le raucedini del dado tratto
le valenze contratte della cena fredda.
84.
in quel giorno che resta
la mappa è la vendetta
di non trovare le verità
del varo per l’alto mare
della gioia. tu scosceso
documento lacero gridi
di te le ragioni della faccia
e la bravura del sogno di fa roca.
me pestifera ansia di diamante
vo la festa della rotta gaia
che finalmente intendo. so
la cima di una rotta in grande
che non turba al pianto.
85.
le frescure del timone le ho donate alle sirene
così la favola s’intona alla maretta
di perdere la voce per la gioia
di gridare l’alluce nel porto.
indagine col monarca sto sotto tiro
ma non mi fermo ad un inchino servile
né verso prua né verso poppa.
almeno le gesta del comignolo divergono
per un agone di stoppie senza fuoco
la noia impietosa senza ossigeno.
dove sei tu anonima avventura
del tarlo che sperimenta la natura
del bacio senza fan ormai da molto.
86.
l’ilarità del senso il seno azzurro
quando veniva il ciondolo di giostra
lo strapotere d’ordine del pane
così la gioia si faceva iato.
in te che giochi le frottole del trono
dimmi perché nelle nomee del vaglio
c’è la cicuta al posto della rendita.
imbalsamato orefice credente
bastò una fionda a sbilanciarti l’anima.
87.
acquitrini di nostalgie
questi gitanti d’abaco
con i dì contanti.
in mano alla cresima dell’onda
inizia il male della risacca
la calca assidua della riva
senza pace né attracco.
tutti i colori dell’iride fan barbara
la rotta della scoria di morire.
albino il muro fioco della non grazia
carezza i pipistrelli più avvertiti
quelli che portano al coma della resa.
abitudine e conclave starti accanto
quasi un pagliaccio dalla giostra vuota
dove nessuno peni la riscossa.
88.
attore di steccato dove stare
postino senza messaggio da annunciare
stele del milite che ignoto e proverbiale
avanzi sotto pesi di rancori.
avverbio di cometa la ragione
disinvoltamente audace.
convento di elemosine la rondine
disdetta sotto smacco ormai per sempre.
invece di brevetti di orizzonti paghi
qui la gramigna della daga al sangue
dove si porge l’ultimo seguace.
in coda alla fandonia la darsena materna
inventa la tormenta del senza senno.
in mare se mi guardi in riva darsena
sarò lo stereo di sgridare lune
fin dove avvenga l’apice del ceduo.
89.
addio alla ruggine del porto
grigiore di nuvole infelici
dove ristagna l’arbitro
muffa fannullona lode del fato
nella bugia del muro che non dà casa.
90.
cipressi d’ermo soleggiare il mondo
quando la scoria della vena vuota
scora laddove non si vede modo
dal giogo dell’origine verbale.
Le sezioni 1-80 dell'INVADENZA DEL RELITTO sono state pubblicate su "Carte allineate" in data 3-11-2009, 15-12-2009, 19-1-2010, 3-2-2010, 3-3-2010, 7-4-2010, 9-5-2010, 23-6-2010, 3-7-2010.
sono l’impaccio della notte fonda
con la fionda straluno all’abitacolo
del nulla. amami alla foce di chi sono
ultimo enigma di una statua piena
di chissà quale sabbia magica.
raccontami di te che fosti equanime
bambino che spartisce i giochi
nulla piangendo giammai la rotta.
incollami la vita in una fossa di nuvola,
incollami in soffitta dove ne muoia
la scatola che infante mi contenne.
parlottami di venia e di sciagura
quando non basta una vita intera
né l’elemosina si serbarmi viva.
militare di sciagura il tuo sguardo
dove si avvampa la gru di non procedere
verso il cielo. è un limite il pane
che ho da tagliare.
82.
qui l’aceto sul grano
vuole le donne chiuse
le serre soltanto per le fusa
di gatti. è noto al pubblico
lo schianto del sudario dell’impalcatura.
all’alba si lavora con la bara sulla schiena.
un almanacco qualsiasi fa da asciugamano
alla gara di piangere sotto il secco
stranuto di un chicco di agonia. le mille
beffe dell’aria del padrone consacrano
l’ispezione. già da domani non piangerò
la sorte del dio disamato alquanto.
83.
la vaga canotta dell’infante
ricorda consuetudini di rigore
la madre che ciabatta per la beltà
del figlio. non un eremo d’armonia
questa mente posata sul costato
del morente. in codice verrò
senza più darti il seme. l’occaso
smunto delle vene patirà le ceneri.
in mano alla gaiezza di chi non visse
imparo le raucedini del dado tratto
le valenze contratte della cena fredda.
84.
in quel giorno che resta
la mappa è la vendetta
di non trovare le verità
del varo per l’alto mare
della gioia. tu scosceso
documento lacero gridi
di te le ragioni della faccia
e la bravura del sogno di fa roca.
me pestifera ansia di diamante
vo la festa della rotta gaia
che finalmente intendo. so
la cima di una rotta in grande
che non turba al pianto.
85.
le frescure del timone le ho donate alle sirene
così la favola s’intona alla maretta
di perdere la voce per la gioia
di gridare l’alluce nel porto.
indagine col monarca sto sotto tiro
ma non mi fermo ad un inchino servile
né verso prua né verso poppa.
almeno le gesta del comignolo divergono
per un agone di stoppie senza fuoco
la noia impietosa senza ossigeno.
dove sei tu anonima avventura
del tarlo che sperimenta la natura
del bacio senza fan ormai da molto.
86.
l’ilarità del senso il seno azzurro
quando veniva il ciondolo di giostra
lo strapotere d’ordine del pane
così la gioia si faceva iato.
in te che giochi le frottole del trono
dimmi perché nelle nomee del vaglio
c’è la cicuta al posto della rendita.
imbalsamato orefice credente
bastò una fionda a sbilanciarti l’anima.
87.
acquitrini di nostalgie
questi gitanti d’abaco
con i dì contanti.
in mano alla cresima dell’onda
inizia il male della risacca
la calca assidua della riva
senza pace né attracco.
tutti i colori dell’iride fan barbara
la rotta della scoria di morire.
albino il muro fioco della non grazia
carezza i pipistrelli più avvertiti
quelli che portano al coma della resa.
abitudine e conclave starti accanto
quasi un pagliaccio dalla giostra vuota
dove nessuno peni la riscossa.
88.
attore di steccato dove stare
postino senza messaggio da annunciare
stele del milite che ignoto e proverbiale
avanzi sotto pesi di rancori.
avverbio di cometa la ragione
disinvoltamente audace.
convento di elemosine la rondine
disdetta sotto smacco ormai per sempre.
invece di brevetti di orizzonti paghi
qui la gramigna della daga al sangue
dove si porge l’ultimo seguace.
in coda alla fandonia la darsena materna
inventa la tormenta del senza senno.
in mare se mi guardi in riva darsena
sarò lo stereo di sgridare lune
fin dove avvenga l’apice del ceduo.
89.
addio alla ruggine del porto
grigiore di nuvole infelici
dove ristagna l’arbitro
muffa fannullona lode del fato
nella bugia del muro che non dà casa.
90.
cipressi d’ermo soleggiare il mondo
quando la scoria della vena vuota
scora laddove non si vede modo
dal giogo dell’origine verbale.
Le sezioni 1-80 dell'INVADENZA DEL RELITTO sono state pubblicate su "Carte allineate" in data 3-11-2009, 15-12-2009, 19-1-2010, 3-2-2010, 3-3-2010, 7-4-2010, 9-5-2010, 23-6-2010, 3-7-2010.
07/09/10
BENNI AND EASTERN ANTIQUITY
[Extraterrestrial light among the old pine trees in Deoksugung (Seoul). Foto di Marzia Poerio]
Antiquity survives in modernity. Classics are chosen for diverse reasons and mixed with other sources by modern writers both in reverential and irreverent ways, within a context of literary continuities and discontinuities. This short article is concerned with the ways in which some Eastern sources have been hybridized, integrated and reinterpreted in Stefano Benni’s novel TERRA! (1983) [1].
In this science fiction novel the Earth, in a far future, is buried under ice following a number of nuclear wars. Energy is very limited but a new planet where Earthlings could live in a better climatic situation is discovered in outer space, so three different expeditions are sent - one is organized by the Aramerussians (a coalition of Arabs, Americans and Russians), the second one by the European and Chinese Federation, and the third one the Japanese. Meanwhile excavation brings to light a source of energy hidden where the Peruvian city of Cuzco used to be. Eventually the two strands of quest are unified, and the mystery of an underground labyrinth in Peru links up with the exploration of the outer space planet. It was the Sino-European spaceship that, caught in time-warp, travelled to Inca times and organized from that era the solution to future energy problems for the Earthlings of the historical period when the mainline story is set.
This work might appear on the surface removed from antiquity and the classics, whereas in reality it refers to them through parody within a network of eclectic intertextuality. The undercurrent of literary tribute paid to classical authors is one of the ways in which Benni confers ethical significance to his jocular stories.
Benni integrates aspects of Oriental cultures from antiquity into his novels and mixes them with modern sources, borrowing at times even from cinema or tv. We find a soothsayer called Al-Dabih. Two of the characters are a Chinese philosopher-telepath called Fang and another telepath called Mei who adopt Taoist and Confucian views. Benni quotes some Chinese poems, for examples one by Emperor Wu Ti [T, 64].
Benni’s own variety of eclectic integration of Western and Eastern, high brow and low brow, and old and new literary references is somehow akin to Kraidy’s concept of hybridity within the framework of globalization. Since ‘traces of other cultures exist in every culture’ [2], Benni borrows simultaneously from different times in a globalized space where a variety of cultures cohabit. However his purpose goes against what Kraidy sees as the logic of capitalism based on ‘offering foreign media and marketers transcultural wedges for forging affective links between their commodities and local communities’ [3]. Benni’s mixtures of literary genres found in mass produced literature are easily read, thus accessible to his readers, but also thought provoking. In TERRA!, while entertaining and eliciting laughter, he warns against the insanity of war and the risk of running out of energy sources.
In TERRA! the future cultures derived from contemporary Eastern cultures are partly parodied but also partly stereotyped. For instance, derived from Japanese micro-technologies, we find a Japanese spaceship reduced to minimum size and manned by a group of intelligent mice. He mocks what he sees as Western, and especially European traits, such as inefficiency and aptitude to rationalization and philosophising.
In Swiftean mode, Benni appears to be mocking humankind as a whole, he also asserts cultural relativity in a number of passages. However his reference to classical literature and ideologies, despite hybridity and apparent irreverence to the sources, is rather respectful of the archaic world, and cultures other than European (in particular Inca and Chinese traditions). It is in fact from a combination of Inca quipu knots and Chinese I Ching patterns that the mystery of the missing source of energy is solved. His recycling of the archaic into postmodernism would seem to be a way of facilitating its absorption by a modern readership.
In TERRA! there is contrast between a European view of science understood as technological and hyper-rational, even accompanied by a sense of superiority, and a Chinese traditional outlook based on the observation of natural phenomena and philosophy. In another passage, in order to object to Fang’s view, based on persuasions from antiquity, that “agriculture depends on the sun, the lunar phases, and the rain”, a character called Einstein (a European child-prodigy) says: “Agriculture is one thing, magic another, and science yet a third”, and Fang replies: “Magic [...] is related to the earth, its cycles, its changes, magicians study these with great attention, just as scientists do” (T, 197). Some integration between traditional Eastern and Western philosophies, however, is suggested when we discover that Einstein’s background is partly Chinese (he was born as a lab experiment performed by a Chinese scientist, and his full name is Frank Ling Ti Einstein).
Philosophy, magic and science co-operate in Benni’s mentality since they are seen as different faces of the interpretation of the real world and nature, and this is ascribed implicitly by the author to Chinese influence, thus his orientalism would appear to be of a constructive and non euro-centred type, even though it does not constitute a philologically literal variety of text. With regards to antiquity, in Benni’s work the modern inherit the ideas of the ancient. In brief, it would seem that classical sources do not die in late modernity, even though at times they are distorted in order to be revived as it is the case with TERRA!
NOTES
[1] Stefano Benni, TERRA!, Milan, Feltrinelli, 1983. English transl. [T] by Annapaola Cancogni, London and Sydney, Pluto Press, 1985.
[2] Marwan M. Kraidy, HYBRIDITY, OR THE CULTURAL LOGIC OF GLOBALIZATION, Philadelphia, Temple University Press, 2005, p. 148.
[3] http://dictionary.sensagent.com/hybridity/en-en/.
[Roberto Bertoni]
05/09/10
Santiago Montobbio, L'OBLIO E IL NON SCRITTO (TRE POESIE)
["Those two crossed out letters, the two languages... And what about what was not written but just suggested by drawings and symbols in that street sign?" (Sanremo 2009). Foto di Marzia Poerio]
1.
LA UNIVERSIDAD DE LOS ESTUDIANTES QUE NO APRENDEN.
Está en el centro de la ciudad, en el mejor
sitio. Desde allí se pueden dar paseos o meterse
en los bares, los billares, coleccionar
horas muertas dentro de ellos y sus cigarrillos y cervezas,
cultivar con libertad la soledad y también
crecer y abandonarse en el calor de alguna charla.
La juventud es para esto. La juventud
persigue una verdad tras las palabras y sueña
con que al mundo lo haga nuevo el arte,
este arte que acaso luego se limita, resulta más cerrado,
no consigue traspasar las fronteras de uno mismo
y no tiene así tantos posibles caminos, tantos
misteriosos sentidos. No es tan pleno ni tan rico.
Es más pobre en su destino, como pobre
es uno mismo. Esto se empieza a aprender
en la Universidad de los estudiantes que no aprenden,
quiero decir que no aprenden en ella, que a ella
no van nunca, porque la vida es suficiente escuela
y nada importa más que el arte
y el arte no se aprende
sino que sólo se siembra, germina, madura y se recoge.
El arte anda ligero y también se hunde en el abismo.
El único estudiante que él admite es aquél
que en la Universidad no aprende y lo busca y lo persigue
por los misterios oscuros de sí mismo y los vendavales
imprevisibles de la vida.
L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDENTI CHE NON IMPARANO.
Si trova proprio nel centro della città, nel migliore
dei posti. Da lì si possono fare passeggiate o mettersi
nei bar, sale biliardo, collezionare
ore morte là dentro, fra birre e sigarette,
coltivare la solitudine in tutta libertà e perfino
crescere e abbandonarsi al calore d’una chiacchierata.
A questo serve la giovinezza. La giovinezza
persegue una verità attraverso le parole e sogna
che l’arte possa rinnovare il mondo,
quest’arte che dopo forse si limita, risulta più chiusa,
non riesce ad oltrepassare le frontiere di noi stessi
e non hai poi così tante strade possibili, tanti
misteriosi significati. Non è più così piena e così ricca.
È più povera nel suo destino, come povero
è ognuno di noi. Questo si inizia a capire
all’Università degli studenti che non imparano,
intendo che non imparano lì, e che
non la frequentano proprio, perché per scuola basta la vita
e non importa altro che l’arte
e l’arte non si impara
ma soltanto si semina, germina, matura e si raccoglie.
L’arte viaggia leggera, ma anche sprofonda nell’abisso.
L’unico studente che ammette è quello
che all’Università non impara e che la cerca e la persegue
attraverso i misteri occulti di se stesso e i gli uragani
imprevedibili della vita.
2.
TÍTULOS DE LIBROS PERDIDOS Y NO ESCRITOS
que en estos años cultivó el olvido. Desde su oscuridad
les dio forma, en ella germinaron, nacieron de su impulso,
de su misterioso latido. Los cercó y los compuso.
En él se escribieron sus páginas por fluencia y por espera,
en barranco y dique seco y también como torrente
o meandro sinuoso de un gran río
o pájaro perdido
o aire triste
u hoja que silba a su caricia en el camino.
Títulos de libros densos y apretados, voluminosos
algunos y otros sucintos pero
de sutil y penetrante contenido.
Títulos de libros que necesitan sólo el título
porque tras él ya se adivinan, el título del todo
los contiene, los conforma íntegros, en todos
sus posibles sentidos y a la vez en ellos
puros como enigmas. Títulos de libros
perdidos y no escritos que en estos años
cultivó el olvido y en los que mi vida
de verdad ha sucedido. Sí. En ellos
es realmente donde vivo.
TITOLI DI LIBRI PERDUTI E NON SCRITTI
in questi anni coltivati dall’oblio. Dalla sua oscurità
dette loro forma, in essa germinarono, nacquero dal suo impulso,
dal suo palpito misterioso. Li circondò e li compose.
In lui si scrissero le loro pagine per fluidità e per attesa,
come un precipizio e una diga secchi e come un torrente
o un meandro sinuoso di un grande fiume
un uccello sperduto
un’aria triste
una foglia che stormisce alla sua carezza lungo il cammino.
Titoli di libri densi e stipati, voluminosi
alcuni ed altri succinti ma
di sottile e penetrante contenuto.
Titoli di libri che hanno bisogno che del titolo
perché già in esso s’indovinano, il titolo del tutto
li contiene, li conforma integralmente, in tutti
i loro sensi possibili e a un tempo in essi
puri come enigmi. Titoli di libri
perduti e non scritti in questi anni
coltivati dall’oblio e dove la mia vita
è successa davvero. Sì. In essi
è dove realmente vivo.
3.
LA PIZARRA EN QUE NO SE LOGRA ESCRIBIR NADA.
Es la del arte falso. En el arte sólo se puede
escribir con convicción, desde lo más hondo de uno mismo,
pozo profundo donde se remansa el alma y brota su agua.
Las palabras del arte implican y exigen una vida.
Toda la vida de quien escribe ha de estar tras
cada una de ellas, ha de sostenerlas. Sólo así
en la pizarra del arte se escribe y por ello es la pizarra
en la que tantos fabricantes no logran nunca escribir nada.
O escriben, pero parece que la tiza o la tinta se borra,
o que resulta esmirriado, o pequeñito, o simple copia
de una voz que sí era verdadera y allí sí quedó fijada.
En otro tiempo, u otro día. La pizarra del arte
exige su vida. Por ello hay sujetos tercos que se empeñan
en entregarse a ella, pero para su música no han nacido,
no tienen nada propio que decir, manantial distinto
o verdad nueva, y así escriben y escriben y fabrican
pero en la pizarra no queda escrito nada.
La pizarra del arte implica un alma.
LA LAVAGNA DOVE NON SI RIESCE A SCRIVER NULLA.
È quella dell’arte falsa. Solo nell’arte si può
scrivere con convinzione, dal più profondo di noi,
pozzo profondo dove l’anima si acquieta e sgorga la sua acqua.
Le parole dell’arte implicano ed esigono una vita.
Tutta la vita di chi scrive deve star dietro
ognuna di loro, le deve sostenere. Solo così
si scrive nella lavagna dell’arte e per questo è la lavagna
dove tanti fabbricanti non riescono mai a scriver nulla.
O scrivono, ma sembra che il gesso o l’inchiostro si cancelli,
o risulti smunto, o minuscolo, o una semplice copia
di una voce che sì che era stata vera e vi è rimasta incisa.
In un altro tempo, o un altro giorno. La lavagna dell’artista
esige la sua vita. Per questo ci sono degli ostinati che si impegnano
di consegnarsi a lei, ma che non son nati per la sua musica,
non hanno proprio nulla da dire, una sorgente diversa
o nuova verità, e così scrivono e scrivono e fabbricano
ma nella lavagna non resta scritto nulla.
La lavagna dell’arte implica un’anima.
[Traduzioni di Valerio Nardoni]
03/09/10
Peter Burke, CULTURAL HYBRIDITY
["There was uncertainty on its shape as well as meaning. I am referring to the hybrid nature of that fresco on the forest log". Foto di Marzia Poerio]
Peter Burke, CULTURAL HYBRIDITY. Cambridge, Polity, 2009
Prende le mosse dalla descrizione del postmoderno da parte di Perry Anderson in quanto “cross-over, the hybrid, the pot-pourri” (1998, ORIGINS OF POSTMODERNITY) (p. 1), e segue le posizioni a favore e a sfavore dell’ibridismo.
Tra i teorici dell’ibridismo cita Homi Bhabha, Stuart Hall, Paul Gilroy ed Edward Said tra gli altri. Le critiche principali contro l’ibridismo si riassumono nel fatto che pare esso proponga “a harmonious image of what is obviously disjointed and confrontational” (come scrive Antonio Connejo Polar) (p. 7).
L’ibridismo si estende agli artefatti, all’architettura, come pure ai testi. Tra gli autori dell’ibridismo, Burke cita la narrativa moderna di paesi come il Giappone, o certi paesi dell’Africa e dell’America latina, in cui gli influssi occidentali si sono integrati con quelli locali.
Si può però parlare di ibridismo anche in casi di pratiche antropologiche, come i culti che assommano religioni provenienti da culture diverse, o certe situazioni come il Carnevale brasiliano, nato da quello occidentale, poi stabilizzatosi con una fisionomia propria e riesportato in altri paesi dove aspetti dei suoi codici si frammischiano con quelli locali.
Ibridismo significa “mixing, sincretism, fusion” (p. 45); in tal senso si applica anche alla lingua che parliamo, alla cucina, alla musica nell’ambito della globalizzazione.
Uno degli aspetti è quello di “cultural translation” (p. 55), termine adoperato per primo da Bronislaw Malinowski, ovvero passaggi da una cultura ad un’altra in cui si generano equivalenti della prima adattandosi ai parametri della seconda e viceversa.
Teorie dell’ibridismo possono ance essere applicate ai rapporti tra le classi sociali, per esempio nel caso di aspetti di integrazione tra classe media e proletariato.
La moda di ciò che è straniero (in Italia si potrebbe pensare alla predilezione per i termini provenienti dalla lingua inglese) si accompagna al rigetto entro una dinamica di tolleranza e intransigenza, armonia e conflitto.
Chi scrive queste note concorda con Burke che, al di là di se sia o meno auspicabile, pare inevitabile che il futuro del pianeta Terra, nei suoi artefatti artistici e letterari, come nella più vasta congerie di prodotti culturali in senso antropologico, sia caratterizzato da un ibridismo crescente e inevitabile. Il futuro non è della purezza. In ciò si intravedono anche vantaggi di perdita delle supremazie e delle vanità nazionali? O si determinerà soltanto il pastiche privo di identità specifica e di definizione netta?
[Roberto Bertoni]
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