03/09/10

Peter Burke, CULTURAL HYBRIDITY


["There was uncertainty on its shape as well as meaning. I am referring to the hybrid nature of that fresco on the forest log". Foto di Marzia Poerio]

Peter Burke, CULTURAL HYBRIDITY. Cambridge, Polity, 2009

Prende le mosse dalla descrizione del postmoderno da parte di Perry Anderson in quanto “cross-over, the hybrid, the pot-pourri” (1998, ORIGINS OF POSTMODERNITY) (p. 1), e segue le posizioni a favore e a sfavore dell’ibridismo.

Tra i teorici dell’ibridismo cita Homi Bhabha, Stuart Hall, Paul Gilroy ed Edward Said tra gli altri. Le critiche principali contro l’ibridismo si riassumono nel fatto che pare esso proponga “a harmonious image of what is obviously disjointed and confrontational” (come scrive Antonio Connejo Polar) (p. 7).

L’ibridismo si estende agli artefatti, all’architettura, come pure ai testi. Tra gli autori dell’ibridismo, Burke cita la narrativa moderna di paesi come il Giappone, o certi paesi dell’Africa e dell’America latina, in cui gli influssi occidentali si sono integrati con quelli locali.

Si può però parlare di ibridismo anche in casi di pratiche antropologiche, come i culti che assommano religioni provenienti da culture diverse, o certe situazioni come il Carnevale brasiliano, nato da quello occidentale, poi stabilizzatosi con una fisionomia propria e riesportato in altri paesi dove aspetti dei suoi codici si frammischiano con quelli locali.

Ibridismo significa “mixing, sincretism, fusion” (p. 45); in tal senso si applica anche alla lingua che parliamo, alla cucina, alla musica nell’ambito della globalizzazione.

Uno degli aspetti è quello di “cultural translation” (p. 55), termine adoperato per primo da Bronislaw Malinowski, ovvero passaggi da una cultura ad un’altra in cui si generano equivalenti della prima adattandosi ai parametri della seconda e viceversa.

Teorie dell’ibridismo possono ance essere applicate ai rapporti tra le classi sociali, per esempio nel caso di aspetti di integrazione tra classe media e proletariato.

La moda di ciò che è straniero (in Italia si potrebbe pensare alla predilezione per i termini provenienti dalla lingua inglese) si accompagna al rigetto entro una dinamica di tolleranza e intransigenza, armonia e conflitto.

Chi scrive queste note concorda con Burke che, al di là di se sia o meno auspicabile, pare inevitabile che il futuro del pianeta Terra, nei suoi artefatti artistici e letterari, come nella più vasta congerie di prodotti culturali in senso antropologico, sia caratterizzato da un ibridismo crescente e inevitabile. Il futuro non è della purezza. In ciò si intravedono anche vantaggi di perdita delle supremazie e delle vanità nazionali? O si determinerà soltanto il pastiche privo di identità specifica e di definizione netta?

[Roberto Bertoni]