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09/05/19

Cao Cixin, DEATH’S END

[Multiple frames and an intrusive light (St Vincent's Private Hospital, Dublin, 2019). Foto Rb]


Traduzione dal cinese di Ken Liu. New York, Tor Books, 2016



Su Carte allineate, Chiara Cigarini si è occupata di The Three-Body Problem, primo volume della trilogia Remembrance of Earth’s Past (titolo originale cinese 地球往) di Cao Cixin. Si veda anche la recensione del secondo volume, The Dark Forest, sul numero di marzo 2019.

Il terzo volume conclude questa narrazione epica, ampliando il panorama galattico con l’inserimento di altre civiltà extraterrestri e un arco temporale di parecchi millenni.

L’ideologia anticoloniale si manifesta in forma allegorica nella figurazione di Sophon, un robot avanzatissimo con fisico di forma umana, agente dei trisolariani oppressori dei terrestri, che ora si rivela come una gentile e tradizionale dama giapponese che si muove con delicatezza nel rituale della cerimonia de tè, ora invece come ninja spietata che decapita senza esitare gli oppositori; chiaramente un’allegoria dell’occupazione giapponese della Cina, qui ripresentata sotto le spoglie della civiltà trisolariana, che a un certo punto della narrazione tenta di compiere il genocidio del genere umano, confinandone solo una minima parte, come in uno zoo, in Australia.

Nella vasta galleria di protagonisti, il personaggio principale pare l’umanitaria Cheng Xin, che esita a ordinare l’invio nell'universo di un messaggio che comunichi la presenza dei trisolariani nel sistema solare per evitare la comune distruzione di entrambe le culture, trisolariana e terrestre, da parte di altre forme di vita con tecnologie più avanzate. 

Tentativo piuttosto vano, perché in questo terzo volume della trilogia si impone la concezione machiavellica che il più forte schiaccia il più debole non appena lo veda come minaccia, o abbia bisogno di espandersi sul suo territorio.

Dalla distruzione totale dell’universo, tuttavia, c’è una via di salvezza in extremis, nella creazione di mini-mondi protetti che consentano un rifugio nei millenni a venire.

Questo terzo volume, nonostante il suo pur interessante respiro di fantascienza epica alla Heinlein, ci è sembrato meno ideologicamente e stilisticamente innovativo dei primi due. La lunghezza di circa seicento pagine e una certa ripetitività negli avvenimenti ostacolano a nostro parere la completa fluidità del racconto.

Se è forse realista la concezione dell’Homo homini lupus, noi, da irrimediabili e donchisciotteschi utopisti che siamo, preferiremmo configurare un futuro di pace e collaborazione universale.

“Che sarà della neve, che sarà di noi”, scriveva Andrea Zanzotto nella Beltà. È la domanda, in definitiva, che questo tipo di fantascienza lascia aperta al lettore.

[Roberto Bertoni]

27/03/19

Cao Cixin, THE DARK FOREST




["The forest was not all that dark that day..." (Wicklow 2017) Foto Rb]

Cao Cixin, The Dark Forest. Originale cinese 黑暗森林, 2008. Traduzione in inglese di J. Martinsen. Londra, Head of Zeus, 2015 (Versione Kindle)


Si tratta del secondo volume della trilogia Remembrance of Earth’s Past. Chiara Cigarini aveva recensito su Carte Allineate il primo volume, The Three-Body Problem

Nel secondo volume, dopo aver lasciato il pianeta Trisolaris destinato alla distruzione a causa della presenza di tre soli, la flotta di quella civiltà tecnologicamente avanzatissima è in rotta verso la Terra, che progetta di colonizzare, distruggendo se necessario l’intera umanità. Il percorso di avvicinamento dura secoli per la distanza immensa di anni-luce, il che dà ai terrestri la possibilità di organizzarsi per contrastare l’assalto alieno. Prevale sulla Terra dapprima una mentalità di assedio, che spinge a nominare difensori con poteri assoluti e che svolgono i loro compiti nel più assoluto segreto; ma in un secondo momento, mentre la civiltà terrestre si evolve e si modernizza, creando città sotterranee ad alta tecnologia e regole sociali aperte, si impone l’ottimismo. Al risveglio dopo due secoli, gli ibernati del periodo precedente si ritrovano in questa nuova atmosfera, che confida in un approccio amichevole dei trisolariani, che verrà però contraddetto dalla loro repentina distruzione della flotta spaziale umana. Il salvataggio del pianeta sarà affidato a un ex ibernato che, in cambio di tecnologia e con la minaccia di distruzione del nostro stesso pianeta pur di sviare l’invasione, allontana gli alieni [1]. Vedremo come andrà a finire nel terzo volume della serie, intitolato Death’s End.

Il volume 2, come il precedente, è caratterizzato sia da un interesse profondo per la scienza che, come sostiene giustamente Darko Suvin [2], è il marchio della fantascienza di qualità e impegnata; sia da un interesse per l’ecologia; sia da un'insistenza positiva sulle reazioni della società agli eventi naturali e collettivi; col che Cao Cixin si inserisce in vari filoni della fantascienza internazionale.

Sebbene il secondo aspetto sia di forte entità rappresentativa della condizione umana, basata sulla convinzione, espressa nel romanzo, che “survival is the primary need of civilization” (La sopravvivenza è il bisogno primario della civiltà) e “the greatest obstacle to humanity’s survival comes from itself” (il maggiore ostacolo alla sopravvivenza dell’umanità proviene dall’umanità medesima), il terzo aspetto di cui sopra è quello, ci pare, più allegorico della storia contemporanea. È difficile, infatti, non vedere riferimenti alle vicende recenti della Cina nelle allusioni a una grande carestia precedente allo sviluppo; nel cambiamento da una mentalità di assedio all’ottimismo; nella modificazione dal controllo autoritario a una condizione di maggiore apertura individuale e democratica, al punto di leggere che “a totalitarian system is the greatest barrier to human progress” (il totalitarismo è la barriera maggiore che si frappone al progresso umano).

Il futuro parla una lingua che comprende termini cinesi e inglesi. La famiglia è abolita. Gli Stati costituiscono un “Superstato”.

Tra le citazioni letterarie si distingue Odissea nello spazio di Arthur Clarke.

[Roberto Bertoni]



[1] Per un riassunto analitico dell’intreccio cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/The_Dark_Forest.
[2] D. Suvin, Metamorphosis of Science Fiction, Yale University Press, 1979.

13/02/19

Han Suyin, BIRDLESS SUMMER


[East/West similarities in that window. (Tellaro 2018). Foto Rb]



Han Suyin, Birdless Summer. Frogmore (St Albans, Herts), Granada, 1972

Birdless Summer riprende molti elementi di Destination Chunking, adattati dal linguaggio del romanzo alla scrittura direttamente autobiografica e, ormai deceduto il marito Pao al momento della pubblicazione, con una descrizione diretta degli aspetti anche, e in maggioranza, negativi, dal punto di vista dell'autrice, della relazione, caratterizzata da gelosia ossessiva di lui, idee tradizionali di destra con resistenza all'inserimento lavorativo di lei nella professione medica; ma contrasti anche di carattere ideologico dato che, dopo la liberazione, Han Suyin propose una valutazione positiva del maoismo e della costruzione della nuova Cina.

Colpisce, come nei volumi precedenti di questa ampia autobiografia, la tendenza a dare uno spaccato d'epoca in larga misura obiettivo, a descrivere le dinamiche familiari emerse dall'appartenenza all'Occidente per parte di madre e all'Oriente per parte di padre, a delineare infine la condizione complessa dell'essere euroasiatica in un periodo in cui questa stessa parola veniva evitata nei circoli di ascendenza occidentale, ma non era particolarmente ben vista nemmeno in quelli cinesi.

La maggior parte degli avvenimenti si configurano nel periodo tragico della guerra antigiapponese e del conflitto tra Kuomintang e PCC. Un breve soggiorno conclusivo si svolge al Rotunda Hospital di Dublino per un tirocinio di lavoro; e prosegue con un viaggio da qui a Hong Kong, che si ricollega all'inizio romanzo di Han Suyin A Many-splendored Thing.

[Roberto Bertoni]




13/12/18

Han Suyin, THE MORTAL FLOWER

["But after that, the frost came..." (Corniglia 2018). Foto Rb]


Han Suyin, The Mortal Flower, 1965. New York, G.P. Putnam’s Sons, 1966

Questo secondo volume dell’autobiografia di Han Suyin (pseudonimo di Rosalie Chou, divenuta Elisabeth Comber in seguito al secondo matrimonio) è successivo a The Crippled Tree, anch’esso del 1965, e parla del decennio 1928-1938.

Le vicende personali vengono narrate con partecipazione emotiva, dato che si tratta degli anni adolescenziali, dell’esperienza scolastica e universitaria, del rapporto conflittuale coi genitori ma soprattutto con la madre e del periodo trascorso in Belgio presso il nonno di famiglia altolocata e di amicizie e dei primi amori.

Interessante l’elemento psicologico, presentato nelle sue connotazioni socioculturali, articolate soprattutto attorno al nucleo di un’identità cosmopolita, plurilingue e sul complesso nodo della percezione di sé euroasiatica che la rese al contempo partecipe e in parte isolata dalle due culture fino alla scelta di tornare in Cina nel 1938 per il richiamo della responsabilità nazionale negli anni dell’occupazione cinese e per un senso di maggiore appartenenza asiatica che europea.

Spiccati, come già nel primo volume, gli aspetti politici sebbene l’autrice dichiari varie volte di non avere avuto un’opinione precisa in quegli anni, se non sofferenza per l’occupazione straniera, l’attendismo del Kuomintang intento a reprimere il comunismo invece di combattere l’esercito nipponico almeno fino al fronte unito del 1937, ammirazione per Mao Tsedong e la Lunga Marcia, avversione per le manifestazioni ancora esistenti allora di ingerenza imperialista occidentali sia sul piano economico che su quello politico.

Scorrono, nelle pagine che si susseguono con stile fluido e narrativo, i paesaggi delle stagioni a Pechino, ritratti di giovani appartenenti alla classe media e alta, vite vissute tra la tradizione e il desiderio di modernità.

The Mortal Flower ci dice molto sulla Cina degli anni Trenta e sull’identità femminile di un personaggio narrante deciso a diventare medico piuttosto che a porre ogni sforzo, come allora atteso dalle donne, e non solo in Asia, per conseguire un buon matrimonio e condurre una vita semplice e lineare.



[Roberto Bertoni]

13/10/18

Han Suyin, THE CRIPPLED TREE

1965. Editorial Subtitle: The Unforgettable Story of War and Revolution in China. Manchester, Panther, 1972

Si tratta del primo volume dell'autobiografia dell'autrice di madre belga e padre cinese, che scrisse questo e altri libi in inglese ed ulteriori opere in cinese.

Molto marcato risulta lo sfondo storico, che svolge anzi parte protagonista e getta luce in particolare sulle interferenze imperialiste dei paesi europei e degli USA nella costruzione delle ferrovie, uno dei cui funzionari cinesi fu il padre dell'autrice. I giochi di potere, la deprivazione delle risorse autoctone, la minore paga e il peggiore trattamento, rispetto agli occidentali, degli ingegneri cinesi che avevano studiato per lunghi anni all'estero ed erano specializzati quanto i belgi, i francesi e gli inglesi, come pure il pregiudizio razziale compaiono con chiarezza, meglio ancora evidenziati dall'aneddotica familiare con i fratelli e le sorelle di Han Suyin e lei stessa in quanto euroasiatici, che vivono la discriminazione sulla propria pelle e nel poprio paese. Pure evidenziate sono le malattie che colpivano in particolare gli strati poveri della popolazione (una prefigurazione, forse, della futura professione di medico di Han Suyin) e la Cina percorsa dagli eserciti dei signori della guerra, prima, e poi dai conflitti tra Kuomintang e comunisti e quello di maggiore ampiezza tra cinesi e giapponesi.

I conglomerati urbani del Sechuan, da dove trasse origine la famiglia dell'autrice, e la descrizione dei rapporti e riti di questo clan di origini illustri e organizzato ancora tradizionalmente, cedono il passo al soggiorno europeo del padre tra fine Ottocento e primo Novecento, all'incontro con la madre nel 1905, il ritorno in Cina, la peregrinazione della famiglia tra vari luoghi cinesi per il lavoro di lui, infine il lungo soggiorno a Pechino (o Capitale del Nord), ridenominata alla fine dell'arco cronologico di questo volume Peiping (ossia Pace del Nord) quando la capitale della Cina nazionalista si trasferisce a Nanchino nel 1928 e Han Suyin, che in questo libro, per parlare di se stessa in terza persona, adotta non lo pseudonimo di scrittrice ma il nome in lingua francese assegnatole dalla madre, Rosalie, aveva dodici anni. 

Vari personaggi narrano la loro storia tramite diari e documenti reperiti dall'autrice. La madre belga parla in prima persona, tuttavia, solo di rado: a lei il testo si riferisce soprattutto in terza persona, narrando una lunga storia di disadattamento durata oltre un trentennio, con inserimento solo parziale nella compagine sociale asiatica, uso limitato del mandarino, scarsa attitudine al compromesso, ma anche adozione di elementi culturali cinesi pur nella prevalenza di quelli europei e tenuta della tensione responsabile a occuparsi dei quattro figli sopravvissuti quando essi saranno abbastanza grandi, ossia fino al momento di lasciare il paese al culmine delle sue crisi di appartenenza. Da parte cinese, a eccezione del marito (capace di empatia e tolleranza), dei figli (con un rapporto in vari modi contraddittorio verso i genitori) e di altri sodali locali ed espatriati, si nota nei confronti della madre un atteggiamento in parte curioso, ma in maggioranza di scarsa comprensione e talora anche rigetto.

La piccola Rosalie fu affascinata piuttosto dalla cultura cinese che da quella occidentale cui pure apparteneva. Ci sono pagine in cui il suo modello identitario passa anche attraverso la cultura, soprattutto i caratteri della scrittura e i costumi.

Questo libro utile e profondo manifesa inoltre un approccio sperimentale alla scrittura biografica, non solo, come abbiamo sopra notato, innestandola sulla storia, ma anche alternando lo stile fattuale-cronachistico con quello narrativo.


[Roberto Bertoni]

09/09/18

Lao She, QUATTRO GENERAZIONI SOTTO LO STESSO TETTO, Vol. I

Titolo originale cinese 四世同堂 (1949). Traduzione francese di Jing Yi Shao, Quatre générations sous le même toit (1998), Trebaseleghe, Mercure de France, 2013, Vol. I 


I quattro volumi i questo romanzo di vaste dimensioni si dipanano tra il 1937 e il 1942. Il primo volume copre il periodo che va dall’occupazione giapponese di Beijing nell’agosto 1937 al massacro di Nanchino nel dicembre dello stesso anno. 

Il sentimento nazionalista antinipponico, la coscienza di avere perso l’indipendenza, le condizioni di vita precarie nella capitale occupata, resistenti e collaborazionisti, l’arresto e la tortura di due personaggi chiave, la morte di altri due, la fuga verso la guerriglia comunista del più giovane della famiglia Qi, rappresentano il nodo tra destini individuali e la tragedia storica che colpì il paese.

Su un piano intrecciato e parallelo si svolgono le vicende private: le ambizioni della famiglia Guan di ex funzionari di stato che si inseriscono della nomenclatura giapponese; le trame di Ruifeng Qi e della moglie Crisantemo per ottenere un posto di funzionario a scapito dell’onore nazionalista, il lutto dell’anziano Qian per la perdita del figlio e la sua ira e sensibilizzazione politica dopo l’arresto e la detenzione; ma anche gli amori delle due sorelle Guan Zhaodi e Guadi, la seconda promessa sposa in un matrimonio di convenienza, e la prima meno prona alle volontà dei genitori e più indipendente nella scelte sentimentali.

La narrazione di svolge con minuzia di particolari, in parte relativi all’ambiente geografico e antropologico del vicolo in cui risiedono le famiglie protagoniste, un tipico hutong pechinese; e assimilabile, se si volesse portare avanti un’operazione comparativa per l’interazione di persone e classi sociali, al Quartiere di Pratolini.

Ora prevale la narrazione in terza persona, ora la resa della voce interiore dei personaggi, quello che in Occidente verrebbe denominato discorso indiretto libero.


[Roberto Bertoni]

21/08/18

Han Suyin, DESTINATION CHUNGKING


[Portraits of a whole life? (Paris 2017). Foto Rb]



Han Suyin, DESTINATION CHUNGKING, 1942. Harmondsworth, Penguin, 1959

Abbiamo già parlato di un libro di Han Suying, A Many-Splendoured Thing, in cui ci aveva colpito la capacità narrativa quanto quella di rendere una cultura e una società con partecipazione emotiva e obiettività al contempo, caratteristiche che troviamo anche in questo volume, più direttamente autobiografico, eppure testimonianza di un periodo storico tragico per la Cina, gli anni 1938/1941, che la narratrice, di famiglia agiata, visse, dopo un soggiorno di studio universitario inglese, assieme al marito Pao, tornato in Cina per arruolarsi nell’esercito nazionalista e che sposò all’età di ventuno anni, nelle zone detenute dal Kuomintang, vivendo la ritirata dello Stato Maggiore di Chiang Kai-Shek, cui Pao era assegnato, sotto i bombardamenti giapponesi, ad Hankow, Kweilin e appunto Chungking, trascritte oggi come Hankou, Kweilin e Chongqing.

Non solo assistiamo alla sensibilizzazione di quel ceto intellettuale verso l’idea di antimperialismo e salvezza nazionale, raccogliendo l’eredità ideologica di Sun Yat-Sen, che portò Ann Suyin in quel periodo a simpatie nazionaliste, ma in contrapposizione alle destre del Kuomintang, tanto che il libro termina con una lode della resistenza e del ruolo sociale determinante dei coolies, intendendo con questi il popolo, le classe non privilegiate; e in seguito l’autrice esprimerà simpatia per i risultati di emancipazione ottenuti sotto la Cina maoista. che per ora, però, resta in sottordine, citata senza condanna, ma come una soluzione non preferibile alla democrazia.

Le pagine sul bombardamento giapponese di Chungqing, uno degli episodi più ingloriosi dell’occupazione, dato che vennero per mesi intenzionalmente bombardati gli insediamenti civili cinesi, alternano la descrizione delle sofferenze alla vita quotidiana del tempo di guerra, con una galleria di personaggi che rappresentano diverse posizioni mentali e sociali.

Il libro, scritto in inglese, nato da frammenti inviati a persone amiche in Inghilterra, mantiene la volontà di parlare della cultura materiale e delle istituzioni, con capitoli rivelatori come il decimo sulla famiglia cinese esemplificata dalla famiglia allargata dell’autrice. Si realizza così il progetto di allargare la tematica:

“I had thought to write in this book only of Pao and myself, caught in the turmoil of war-time China. It would be the story of two Chinese typical of many millions, our life and experiences differing in detail but in broad outline the story of our people. But I find that I cannot make this a faithful reflection of China unless I tell of the Big Family which is the unit of Chinese life” (p. 148).

Che senso ha la scrittura memoriale:

“Casting back mind and body to eleven years ago, to myself as young in Chungking at war, I recall the world as it was, a solid one; words of assured meaning; ends self-evident, right, and honourable; doubt a grievous offense against oneself and others; virtue, and faith, carrying one through hunger, pain, and trouble. One was sur to live to laugh again, to enjoy life in spite of present trouble and the ever-recurring theme of bombing which accompanied each sunny day, everything was surely going to come right in the end” (p. 7).


[Roberto Bertoni]

29/07/18

Eileen Chang, HALF A LIFELONG ROMANCE

Prima edizione cinese 1948 a puntate, poi in volume nel 1950 col titolo 十八春 (Diciotto Primavere) e nel 1969 col titolo 半生緣 (Metà vita). In inglese: Half a Lifelong Romance, trad. K.S. Kingsbury, 2014. Edizione Kindle


Sebbene si tenga discosto dalle tematiche della guerra civile e dell’occupazione giapponese, accennati soltanto e non al centro della narrazione, questo romanzo sentimentale ambientato nella Cina degli anni Trenta e Quaranta ha uno sfondo sociale consistente nella delineazione della condizione femminile e nelle differenze di classe.

È incentrato sulle storie di vita di vari personaggi uniti da amicizia o legami parentali. La protagonista è Manzhen della famiglia Gu, ragazza avvenente e con una mentalità moderna, che un destino infausto stacca dall’amato Shijun della famiglia Shen. La sorella di lei, Mansu, infatti, che in passato, per mantenere la famiglia, aveva fatto l’entreneuse, sposata ora con il nuovo ricco Hongstai, per mantenere in piedi questo matrimonio d’interesse, notata l’infatuazione del marito per la cognata, collabora al suo tentativo di seduzione, che si risolve in violenza sessuale. Il progetto è di far partorire Manzhen e darle lo status di concubina. Manzhen riesce a sfuggire dopo mesi di sequestro in casa, che hanno provocato l’allontanamento di Shijun e il suo matrimonio con una ricca ereditiera, che a sua volta, innamorata di Shuichi, il migliore amico ddi Shijun, sposa quest'ultimo quando Shuichi, di classe sociale piccolo borghese, emigra negli Stati Uniti, consapevole di non poterle garantire gli agi di cui ha bisogno. Alla morte di Mansu, Manzhen decide di occuparsi del figlio e sposa, a tal fine, Hongstai, dal quale, per l'infedeltà e la mancanza d’amore di lui nei suoi confronti, divorzierà anni dopo. Il romanzo, che narra anche le storie di altri personaggi, quasi tutti interrelati, si conclude con gli incontri infine chiarificatori, ma non risolutivi degli amanti mancati, la cui vita continua come si è ormai disposta.

Le reticenze e verità solo accennate creano equivoci mentre mantengono un’apparenza di coesione familiare in cui il non detto evita lo scontro frontale mentre sullo sfondo la violenza e l’ingiustizia di “this unfair society of ours” irretiscono l’espressione dei sentimenti sinceri:

“The truth is that women raised in the old way […] when it came to pretending they were top-notch. They were so used to keeping a tight rein on their own feelings that self-suppression was nothing to them, Pretending to be deaf and dumb was second nature, it took no effort at all”.

“There’s always a gap between the rich and the poor”, si legge nel romanzo. Chang assegna autenticità più ai meno abbienti che ai ricchi, nondimeno è proprio sul terreno dell’amore che anche questi ultimi sono costretti a misurarsi con l’infelicità,

Interessanti i consumi cosmopoliti e modernizzati della famiglia più doviziosa, che a un certo punto, nella Shanghai del benessere, comprende anche caffè italiano prodotto tramite una Moka e una tovaglia di lino irlandese, prodotti di lusso d’importazione.

Il romanzo è narrato con fluidità e spesso per flussi di discorso indiretto libero.


[Roberto Bertoni]

09/03/17

Anthony C. Yu, RELIGION AND LITERATURE IN CHINA

[Laughing Buddha (Singapore 2016). Foto Rb]


Anthony Yu, Religion and Literature in China. Sottotitolo: The ‘Obscure Way’ of Journey to the West, in Comparative Journeys: Essays on Literature and Religion East and West, New York, Columbia University Press, 2009, pp. 158-187


Il volume in cui si inserisce questo capitolo (l’ottavo) ne contiene altri, sempre sul meraviglioso romanzo classico cinese Journey to the West comparato con testi e problematiche occidentali, tra cui la Commedia dantesca (capitolo 7), ed esaminato nelle sue caratteristiche strutturali (capitolo 6) e in relazione al viaggio nella realtà, nel settimo secolo, del monaco buddhista Chen Xuanzang verso l’India, da cui riportò i testi canonici che tradusse in cinese. Il viaggio, nel romanzo di Wu Chengen, si connota di imprese immaginose compiute soprattutto da Scimmiotto, o Sun Wukong, un essere portentoso, un trickster in grado di trasformarsi e la cui esuberanza viene controllata dalla Bodhisattwa Guanyin con l’imposizione di un anello sulla testa. Altri compagni di viaggio di Xuanzang, o, nell’identità fittizia, denominato anche Tripitaka, sono Zhu Bajie, un ex Immortale trasformato in maiale per avere amoreggiato con la Dea della Luna Chang’e, e Sha Wujing, anch’egli un ex Immortale, punito per una colpa commessa con la trasformazione in essere umano. I viaggiatori, incaricati di portare all’Imperatore le scritture Buddhiste dall’India (dall’Ovest) affrontano numerose prove, combattono mostri, s’imbattono in draghi, riescono infine nell’impresa in cento capitoli.

Yu dimostra quanto i motivi religiosi siano cosustanziali alla narrazione. Da un lato riscontra richiami alla magia e all’alchimia taoista nonché ai principi ed elementi del pantheon di tale religione. Il Buddhismo vi compare con forza, naturalmente, e attraverso vari elementi filosofici, in particolare quella che Yu individua come “illusory experience and its chief source for illumination”, utilizzata anche nella costruzione dell’intreccio e della personalità dei personaggi (p. 171).

Yu è a favore di un’interpretazione che tributi peso all’allegoria: “Our understanding of the text demands our taking the allegorical elements seriously” in quanto “the work itself makes constant demands on its readers to heed the many levels of nonliteral meaning structured therein” (p. 178).

Si domanda però fino a che punto la religione, così importante e presente in Journey to the West, sia compatibile “with the biting satire and exuberant humor that enliven virtually every page of the marvelous work” (p. 179). Se da un lato il testo cinese è paragonabile, per il sostrato allegorico, agli occidentali Faerie Queene e The Pilgrim’s Progress, oltre che al viaggio dantesco, dall’altro sta in parallelo con Chaucer, Rabelais e Swift per satira e irriverenza. Yu si domanda: “How could a text of such manifest irreverence be considered in some sense religious?” (p. 180). La risposta è che il riso bandito dalla tradizione biblica e cristiana è ammesso in quella taoista sebbene non nel solenne Confucianesimo, mentre nello Zen può diventare anche un elemento del conseguimento dell’illuminazione.

Ci si potrà comunque domandare se non si tratti, come in tutti i classici, di complessità e di miscellanea, della rielaborazione di parecchie tradizioni, infine della lettura a diversi livelli di consapevolezza culturale e del passaggio attraverso i secoli che ha fatto prevalere questo o quell’aspetto.


[Roberto Bertoni]

01/12/16

Hao Jingfang, INVISIBLE PLANETS



["Like one of those invisible planets..." (Painting by J.W. Morris, Toronto 2016). Foto Rb]


Hao Jinfang, "Invisible Planets". In Ken Liu, a cura di, Invisible Planets: An Anthology of Contemporary Chinese Science Fiction, Londra, MacMillan, 2016, pp. 199-218


Abbiamo notato la presenza di Città invisibili di Calvino in Xi Xi (pseudonimo di Zhang Yan). E  lo rileviamo immediatamente, dal primo segnale, che è il titolo di un testo intelligente e creativo, in Hao Jinfang, la quale parte dalla fantascienza per elaborare un discorso in parte surreale e in parte proteso verso assunti allegorici.

In "Invisible Planets", le descrizioni dei pianeti sono intercalate, come tra i calviniani Khan e Polo, da dialoghi che si potrebbero forse interpretare anche quali interlocuzioni tra autrice e lettore sul modello di Se una notte d’inverno un viaggiatore…

Nel finale, un dialogo indica, richiamandosi un che ironicamente a Bob Dylan (ameno che non sia una coincidenza della traduzione scorrevole di Ken Liu), che quanto descritto dei vari pianeti di questo racconto (ma è un racconto?) sfugge tra le dita, “singing in the wind of a distant homeland”. Il segnale allegorico è quella terra natia distante, sfuggente… E la domanda se questo mondo è davvero nostro: “Our own world? Which one? Can any planet have belonged to us? Or can we have belonged to any planet?” (p. 218).

Si tratta anche di una riflessione sull’arte e di un’immaginazione non necessariamente ancorata paragrafo per paragrafo, anzi libera di espandersi ed esprimersi.

Così il pianeta di Chichi Raha è artisticamente creativo, gli abitanti non mantengono che raramente gli impegni, la menzogna fonda le convenzioni sociali, ma promuove la creatività.

Sul pianeta di Pimaceh si sentono molte diverse versioni del passato, ciascuna inconciliabile con le altre.

Su Bingwaugh, più concretamente rappresentativo di una storiografia reale, “educators came, missionaries came, politicians came, revolutionaries and reporters all came” e “all the ambitious adventurers in the universe rushed to take advantage of it” (p. 205).

Speriamo di leggere presto traduzioni di altre opere di questa autrice fantasiosa e impegnata.


[Roberto Bertoni]