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01/03/19

Aki Shimazaki, NEL CUORE DI YAMATO

[Japanese interiors (Zen Gardens, Kildare, 2014). Foto Rb]

Aki Shimazaki, Au coeur du Yamato. 2006-2013. Italian transl. by C. Poli, Nel cuore di Yamato. Milan, Feltrinelli, 2018.

Aki Shimazaki is a Japanese writer born in 1954 who lives in Canada and writes in French. 

This collections of five novels is called At the heart of Yamato, the last being a word which can be interpreted as Japan in general. In fact, each story is set in a specific modern period and tells a tale about the history and society of Japan.

The first novel is about a corporate employee who falls in love with a receptionist but is forced to give up to another of her pursuers, the son of the owner of a company  that finances the firm where the protagonist works. The girl is in love with him but she is blackmailed to marry the rich man even though, as we discover at the very end, when she dies in the Kobe earthquake, she had given birth to the employee’s daughter. This is indeed a sad story about the power of corporations and the difficulty of genuine love. 

The second story is about a Japanese citizen who was imprisoned in a Russian camp in Siberia during the second world war, he was liberated but killed accidentally, and to defend a friend, a Japanese officer who had maltreated him in the camp, so he takes a new identity and cannot go back home even after the statute of limitations expires. 

The other three stores are partly about new characters, and partly about characters who play minor roles in the first two stories but become prominent as protagonists in the last three stories.

All stories are told in very humane and elegant way, taking into account the sentiments of all characters, and with a concise style that spares irrelevant details.

Themes and motives are interlaced and reappear constantly to design a pattern of sociological and existential concerns which depict Japan as it was and is.

If, on the one hand, sense of duty linked to reconstruction after the war, and loyalty to work and family, are recurrent elements, on the other the last story enhances the role of escape from societal restraints to follow spontaneous love at first sight in an optimistic vision that makes the last couple in the book happily enamoured for the entire duration of their lives.

The fragmented angles of each story give a totality when combined in the whole volume. Each story has the title from the name of a plant whose symbolic connotations are pursued in the course of the narration.

This is a fluid-to-read, intelligent and sophisticated literary work.



[Roberto Bertoni] 

21/09/18

Junichirō Tanizaki, LE MEURTRE D’O-TSUYA

["Like leaves in Autumn, fallen..." (Paris 2018). Foto Rb]


J. Tanizaki, Le meurtre d'O-Tsuya, 1914. Traduzione francese di Jean-Jacques Teschudin, 1997. Parigi, Gallimard (Folio), 2017


O’Tsuya persuade Shinsuke, lavorante del padre di lei, innamorato della ragazza, a fuggire insieme, da cui una serie di avventure, in parte tenebrose, che portano Shinsuke all’omicidio di chi vuole sbarazzarsi di lui per sedurre O’Tsuya e ad altri momenti criminosi e oscuri. 

La giovane è presentata come attraente quanto fatale. Si trasforma in geisha, ufficialmente per sopravvivere, in realtà per propria propensione. Pur restando legata a Shinsuke, che manipola abilmente, si dà al altri. Scoperta, viene uccisa dal giovane.

Questa storia di gelosia e coinvolgimento passionale, che ottenebrano il protagonista fino a fargli smarrire la dirittura etica, si dipana lungo canali percorsi da chiatte, luoghi gaudenti, classi sociali alte e basse, comportamenti universali e al contempo condizionati storicamente e geograficamente.


[Roberto Bertoni]

11/07/18

Banana Yoshimoto, LE SORELLE DONGURI


["Why was I thinking of a Japanese garden while looking at that plant behind the bamboo reeds?" (La Spezia, 2018). Foto Rb]


Banana Yoshimoto, Le sorelle Donguri. Prima edizione giapponese 2010. Traduzione di G.M. Follaco. Milano, Feltrinelli, 2018


Le sorelle Donguri, il cui appellativo deriva dalla fusione dei nomi reali di due sorelle, Donko e Guriko, esistono solo online su un sito che hanno creato per rispondere a quesiti, per lo più personali, di persone varie e consigliarle nella risoluzione dei loro problemi.

La modernità in rete si associa così all’atto pietoso, già della cultura di un tempo della solidarietà; e facente parte dell’etica buddhista.

La storia è narrata dalla sorella minore, che assiste alla vita emotiva della maggiore, coinvolta in storie sentimentali, l’ultima delle quali, platonica, con un ragazzo coreano, mentre lei stessa ceca di affrontare e risolvere il lutto per la morte del proprio fidanzato.

Sembra che i drammi non esistano in questo mondo di solidarietà tra le due giovani, invece affondano nel passato di un’infanzia e adolescenza orfana, sfociata infine rifiuto degli zii che le avevano adottate, trattandole con ogni riguardo, ma rappresentando un mondo di classe sociale superiore rifiutato dalle due ragazze, per cui esse si trasferiscono a casa del nonno e ne ereditano la casa dopo il suo decesso.

Piccole sensazioni che rivelano una tristezza autentica; la ricerca, ciò nonostante, di una condizione di leggerezza” (p, 13); “l’idea che la realtà rifletta il nostro mondo interiore” (ibidem).

Più in esteso, questa filosofia:

“Se penso a quanto sia effimera la nostra esistenza in mezzo a questa enormità di informazioni, al torbido risentimento che alcuni ci riversano addosso senza neanche conoscerci, o alla gratitudine incondizionata e calorosa di altri, in questo mare sconfinato mi rendo conto che, in termini di passione, gli uni e gli altri non sono poi così diversi. Tutti noi non badiamo alle cose di poco conto, continuiamo a svolgere come possiamo le operazioni quotidiane […], tiriamo avanti, accettiamo i cambiamenti oltre alla cosa più importante: che siamo destinati a cambiare. […] Tessiamo l’ordito del nostro quotidiano lungo la soglia che divide le funzioni di tutti gli organismi viventi e la coscienza che percorre l’universo” (p. 15).


[Roberto Bertoni]




21/04/18

Natsume Soseki, E POI


                                                    [Statuettes (Dublin 2016). Foto Rb]


Natsume Soseki, E poi. 1909. Vicenza, Neri Pozza, 2016 [Edizione Kindle]


La parte principale della fabula è articolata sull’amore tra il protagonista Daisuke e Michiyo, la moglie di Hiraoka, ex compagno di università del personaggio principale, che per lealtà verso l’amico aveva a suo tempo facilitato il matrimonio, restando col segreto di una passione ricambiata, che rimane platonica anche quando i tre si rincontrano anni dopo, ma sfocia in disastro psicologico e sociale per la sincerità confuciana di Daisuke, il quale confessa l’infatuazione per Michiyo a Hiraoka: da qui un senso dell’onore ancora tradizionale spinge quest’ultimo a rivelare l'interesse dell'amico per la moglie alla famiglia di Daisuke, che lo disereda ed emargina.

Questa superficie tradizionalista è percorsa dai ben diversi comportamenti anticonformisti di Daisuke, insofferente delle convenzioni sociali al punto da rifiutare le spose altolocate che, com’è proprio della sua posizione di classe, gli vengono proposte da padre, cognata e fratello.

La sua visione della società è modernamente fondata sulle convinzioni personali più che sull’adeguamento alle norme: “A me […] sembra che ciò che si sperimenta nella società non abbia alcun valore […], porta solo sofferenza”.

Daisuke è, per autodefinizione, un dandy e un intellettuale secondo il quale “può darsi che l’esperienza legata al pane sia necessaria, ma è necessariamente triviale. Non vale la pena di essere un uomo se non ci si può permettere il lusso di fare qualcosa che non ha alcun rapporto con il cibo o con l’acqua”.

Viene varie volte citato D’Annunzio, assieme ad altri autori della modernità europea, in chiave in parte di annessione, in parte di sconcerto: “leggendo i romanzi occidentali, era sempre rimasto sconcertato dai dialoghi tra uomini e donne, a suo avviso troppo audaci, troppo compiacenti, e soprattutto troppo franchi ed espliciti. In lingua originale erano accettabili, ma in giapponese neppure traducibili”.

Pervaso dal sentimento che egli stesso definisce come ennui, critico delle città che “non erano altro che delle vetrine dove si esponevano gli esseri umani”, difensore dell’autenticità e dei valori spirituali e interiori, Daisuke respinge l’azione, finanche il lavoro, restando tuttavia vittima dei propri sentimenti sinceri e impossibili.

Personaggio moderno e modernista, diviso tra passato e presente.


[Roberto Bertoni]




17/04/18

Natsuo Kirino, IN

2009. Traduzione di G. Coci. Vicenza, Neri Pozza, 2018

Le tematiche della crisi familiare, del tradimento coniugale, della pedofilia non sono nuove in Kirino, che le utilizza anche in questo romanzo, fornendo una visione disincantata della compagine sociale giapponese, ma servendosi di un meccanismo di inchiesta che esce dagli schemi di altri suoi thriller tradotti in Occidente. Qui si tratta di scoprire la corrispondente nella vita reale di un personaggio femminile, tramite l'inchiesta svolta da un'autrice, Suzuki Tamaki, che sta scrivendo un romanzo a puntate su uno scrittore deceduto, Midorikawa Mikio, autore di un romanzo intitolato l'innocenza. Varie candidate si presentano a Tamaki, alcune hanno avuto rapporti reali con Mikio, ma solo una, come sapremo alla fine del romanzo, combacia con la misteriosa innamorata del narratore scomparso, la cui storia extraconiugale si risolse in tragedia. Frattanto leggiamo la storia difficile di una rapporto extraconiugale di Tamako e Seiji, il quale ultimo muore di cancro nelle ultime pagine. 

Complesso l'intreccio, articolato in sette capitoli, ciascuno dei quali, nella traduzione, contenente l'inserto "in": L'indecenza, Invisibile, L'innocente, Ineluttabile, Incertezza, Inseparabili, IN.

Frequenti le constatazioni sul rapporto tra la finzione e il reale e autobiografia fittizia e vita vissuta ("scriveva della propria vita reale come fosse una finzione", p. 231); il modo contrastante di vari personaggi di superare i traumi del passato; lo scollamento tra le norme della buona creanza e il vuoto dei rapporti amorosi falliti.


[Roberto Bertoni]

29/01/18

Banana Yoshimoto, IL GIARDINO SEGRETO


[Japanese element in Powerscourt Gardens (August 2017). Foto Rb]


Banana Yoshimoto, Il giardino segreto. Prima edizione giapponese 2005. Traduzione in italiano di Gala Maria Follaco. Milano, Feltrinelli, 2018

Si ritrovano in questo romanzo motivi ricorrenti nella Yoshimoto del ventunesimo secolo: la rottura dei rapporti amorosi, l’omosessualità, l’affetto platonico tra persone di generazioni diverse, la magia e la divinazione, lo scorrere degli attimi sotto una patina di riflessioni spesso banali sulla vita, che hanno il compito di arginare i drammi personali, confermando il vuoto, forse, sotto un’apparenza di normalità e spingendo verso l’accettazione della vita e del destino individuale. Frattanto si danno simmetrie di situazioni capitate a personaggi diversi che si risolvono in modi distinti, quasi a dimostrare che ogni cammino non conduce necessariamente allo stesso fine.

La storia è lineare nella forma narrativa in prima persona e diaristica, intrapresa dalla ragazza Shizukuischi, assistente dell’anziano e malato sensitivo Kaede, coinvolto in una relazione sentimentale col suo socio Kataoka. Shizukuishi si lascia col ragazzo Shinchiro, che decide di occuparsi del giardino di Takahashi, un amico d’infanzia venuto a mancare e della cui cui madre Shinchiro è innamorato. Atsuko, una ex amante di Kaede instaura un rapporto di empatia con Shizukuishi. La protagonista ricorda la nonna erborista che le ha lasciato in eredità un corallo che l’attrae, per emotività e per una magia di una qualchje sorta, verso Taiwan, il luogo da cui proviene. Riflessioni sul mondo, i sensitivi, la tristezza e il flusso delle cose accompagnano la narrazione.

Qualcuna delle frasi banali buttate lì come se fossero importanti, e che, proprio per questa loro posizione nel testo, lo diventano, sconfiggendo la banalità mentre la enunciano: “è molto meglio affrontare la verità, anche quando è dolorosa come una lacerazione della carne” (p.  88); “quella donna somigliava a una pianta. Aveva anche la determinazione delle piante” (p. 56); “ti sembrerà banale, ma è importante fare esperienze divertenti: possono farti dimenticare persino di essere malato” (p. 46); e le ultime parole del racconto: “naturalmente le stelle, il profilo della montagna e il vento non mi risposero. Del vento restava solo il soffio insieme al gorgoglìo dell’acqua” (p. 136).

[Roberto Bertoni]

11/10/15

Komatsu Sakyo, JAPAN SINKS

Prima ed. Giapponese, intitolata Nippon Chimbotsu, 1973. Traduzione dal giapponese in inglese di Michael Gallagher, 1976. Londra, New English Library, 1977


Da un lato, a livello di genere, questo romanzo si inserisce nella fantascienza apocalittica, non certo insolita in Giappone e allegorica, da un altro e coesistente lato, di archetipi della distruzione derivanti dalla situazione geologica del paese, caratterizzata da terremoti e sommovimenti oceanici, di cui caso più recente è stato lo tsunami del 2011, accompagnato da un altro elemento di giustificato timore di annichilimento proveniente dall’energia atomica, in questo caso la centrale di Fukushima, ma l’archetipo, di cui è ricorso proprio quest’anno l’anniversario infausto, è logicamente il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki nella Seconda Guerra Mondiale.

Nel romanzo di Komatsu, l’ipotesi, sostenuta da varie argomentazioni documentarie nei dibattiti tra personaggi-scienziati, è che, a causa della frizione delle masse terrestri sommerse, si determini una serie di terremoti e onde oceaniche che destabilizzano la struttura geologica del Giappone, facendolo affondare. In breve, del resto citata nel corso della narrazione, si ripete la leggenda di Atlantide in chiave modernizzata.

La storia è raccontata in terza persona, affidandola alle azioni e ai pensieri di alcuni personaggi principali: l’anziano e potente Watari, l’unico che crede all’ipotesi di auto-sommersione avanzata dallo scienziato Takodoro, delle isole nipponiche, inizialmente da molti ritenuta fantasiosa e inattendibile, per lo meno fino a quando le prove incontrovertibili non dimostrano il contrario, mettendo in rilievo una natura matrigna e al contempo non condannabile per questo.

Watari e Takodoro non si mettono in salvo. Il primo muore per vecchiaia un istante prima della deflagrazione finale nella sua zona. Il secondo, con motivazione che spiega essere patriottica, decide di perire col proprio paese, entità che ritiene superiore all’individuo, e mancando la quale anche la vita personale perde significato. Takodoro attende la catastrofe invece di salire su una jeep diretta al porto, da dove salperà una nave di superstiti diretta verso acque sicure all’estero.

Sopravvive invece, quasi miracolosamente, un terzo protagonista, Onodera, sommergibilista che inizialmente esplorava le profondità dell’oceano alla ricerca di falde pericolanti, in seguito in crisi esistenziale per la perdita dell’amata Reiko e del paese natio. Gli resta vicino Maiko, un personaggio che sembrava secondario e si rivela al contrario fondamentale, essendo l’ultimo che compare nel libro e ne chiude l’arco temporale immaginario.

Quale faccia del Giappone simbolizza Maiko tra i vari personaggi che tutti hanno un risvolto iconico? Forse la giovinezza stroncata dalla perdita di una mano nel disastro e la lealtà per Onodera, metamorfosando in moglie da entreneuse che era nei primi capitoli.

Il nazionalismo è alquanto pronunciato, in termini di attivismo e altruismo tesi a salvare più persone possibile; e, anche se si tratta di un’ideologia espressa, è non esente da riscontri nella realtà, dato che si è visto come alle catastrofi questo popolo abbia saputo reagire ricostruendo.

Piuttosto attuale il problema dei rifugiati, qui espresso tramite la difficoltà del personale politico nipponico nel romanzo a trovare ascolto presso gli altri paesi nelle richieste di asilo.

Marcatamente maschile è il tono nella rappresentazione dei rapporti amorosi. Se le giovani raffigurate nel romanzo sono sessualmente libere, sono però contemporaneamente sottomesse alle idee del matrimonio, cui aspirano sommamente in senso tradizionale, e alle direzioni impresse ai rapporti sentimentali dai loro compagni.

Un particolare integralmente modificato, questo, in un diverso e ancor più moderno contesto di comportamenti sociali e di liberazione femminile, nella versione cinematografica del 2006, per la regia di Higuchi Shinji, solo parzialmente fedele al testo romanzato. In questa pellicola, per esempio, sui politici imbelli si impone una Ministra in grado di esprimere leadership quieta ed efficace. La ragazza Reiko è un’elicotterista del servizio civile e, oltre a questa professione emancipatoria, è lei, non Onodera, a sopravvivere alla catastrofe, sebbene lui muoia da eroe facendo esplodere delle bombe sottomarine che staccano una parte del Giappone da quello destinato a immergersi, col che il film si conclude su una nota, meno macabra del romanzo, di tecnologia soccorrente (si noti tra l’altro l’uso pacifico e umanitario dello strumento bellico ominoso, la bomba).


[Roberto Bertoni]