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21/04/16

Nicolaj Gogol, TARASS BULBA



[Cavalli e cavalieri (Duomo di Parma 2015). Foto Rb]


1835. In Tarass Bulba e Il pastrano, Traduzione e cura di Duchessa D’Andria (Enrichetta Carafa Capecelatro). Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1937, pp. 11-162


È tradotto in un italiano dinamico, agile, rapido il romanzo di Gogol sui cosacchi del 1835, rivisto in direzione patriottica russa nel 1842, da affiancarsi, nelle memorie personali di lettore dello scrivente, tra i classici su simile tema, alla Figlia del capitano di Puskin sulla ribellione di Pugačëv del diciottesimo secolo. 

Gogol ambienta la sua storia secoli innanzi, tra il sedicesimo e il diciasettesimo, cogliendo i cosacchi del Dnepr, o zaporoghi, insediatisi nell’attuale Ucraina e con identità prevalentemente russa al tempo, in contrasto coi loro nemici tartari e polacchi. La spedizione guerresca del romanzo di Gogol è appunto contro il regno di Polonia, che allora si estendeva al massimo della sua compagine territoriale in alleanza con la Lituania.

Fondato su ricerche storiche da parte dell’autore, il romanzo si dipana in direzione etnologica, restituendo un quadro della cultura paritetica e bellicosa dei cosacchi; in direzione avventurosa, descrivendo nomadismo, cameratismo, scontri e battaglie; e in direzione romantica, con la storia d’amore tra il figlio di Tarass Bulba e una ragazza polacca e il conseguente passaggio al campo nemico, per cui il giovane Andreij è punito con un proiettile nel cuore sparato dal padre (episodio peraltro basato su un fatto storicamente avvenuto), la perdita in battaglia dell’altro figlio Ostap, la rivincita tentata da Bulba anni dopo a capo di un esercito cosacco e la sua morte sul rogo.

Il traduttore inglese Peter Constantine, nell’Introduzione per l’edizione Random House del 1997, notava vari aspetti: “the intoxicating power of the unreasonable”; un realismo che riconosce “heroic and romantic impulses in human beings, in all their healthy and perverse forms”; un “primeval Russian nationalism” assegnato alla vastità delle steppe; e i conflitti interetnici che anticipano problemi della contemporaneità.

Al film del 1962, diretto da J. Lee Thompson, e interpretato da Yul Brinner e Tony Curtis, piuttosto melodrammatico e divagante rispetto al testo originale, abbiamo preferito quello del 2009 diretto da Vladimir Bortko, con Bohdan Stupka, Igor Petrenko e Magdalena Mielcarz, che restituisce costumi autentici e concretezza di comportamenti, citando spesso dal testo gogoliano.


[Roberto Bertoni]

09/02/16

Vladimir Galaktionovič Korolenko, IL SOGNO DI MAKÀR




 [Neve nel Wicklow (2016). Foto Rb]




Vladimir Galaktionovič Korolenko, IL SOGNO DI MAKÀR. Trad. M. Albertini. Modena, Edizioni Paoline, 1959

Scorre con fluidità il testo italiano nella traduzione di Albertini in un registro letterario e insieme comunicativo per questo racconto populista del 1883.

In un villaggio della tajgà siberiana, Makàr, individuo sfortunato, costretto a vivere di cacciagione catturata con trappole nella neve e di agricoltura di sopravvivenza, vedovo e risposatosi, in conflitto con la seconda moglie perché dedito all’alcol, dopo una lite con un vicino per impadronirsi di una volpe caduta in trappola, che assicurerebbe un compenso decente e qualche spicciolo, muore nella foresta.

L’anima viaggia per un’ampia pianura, incontrando quelle di altri deceduti prima di lui, jakuti e tartari, condannati per contrappasso a procedere più e meno velocemente verso una meta che non si profila.

L’anima di Markàr perviene al giudizio di Dio. Pesa inizialmente sulla bilancia più il malfatto che il bene compiuto; ma improvvisandosi oratore, egli si difende, arringando a suo favore la povertà, la sfortuna, la difficoltà, sicché Dio e gli angeli si impietosiscono, infine alleviando la pena.

Scritto come una parabola, senza la prosopopea della didattica, con la semplicità e linearità di un mito, prendendo le difese del popolo, appunto.


[Roberto Bertoni]

05/05/15

Vasilij Grossman, VITA E DESTINO


1959. Pubblicazione parziale in Occidente 1980; completa nell’URSS 1988. Traduzione italiana di Claudia Zonghetti, Milano, Adelphi, 2008


Il romanzo ruota attorno alle vicende della battaglia di Stalingrado (1942-1943), che vide la sconfitta delle forze hitleriane d’invasione dell’Unione Sovietica e di fatto rovesciò le sorti della II guerra mondiale sul fronte occidentale.

La narrazione è frammentaria e segue un vasto gruppo di personaggi che si riducono nell’ultima parte. Più che tolstojano, in tal senso, anzi distante dalla maggiore linearità del capolavoro dell’Ottocento russo, e meno coinvolto con gli sviluppi autonomi dei singoli individui, si tratta nondimeno di un romanzo corale, che si muove su alcune linee ideologiche ripetute e in parte intrecciate.

La guerra, naturalmente, ne costituisce parte essenziale. La condanna del totalitarismo hitleriano è ben marcata. Del nazismo viene indicata, come proprio nell’epoca (basterebbe pensare, da noi, a Vittorini e Pavese) la separazione tra umanità e no: “Uomo e nazismo non possono convivere. Se vince il nazismo, l’uomo smetterà di esistere” (p. 86). Chiara la denuncia dello sterminio degli ebrei. Messo in rilievo il totalitarismo staliniano: “Per mille anni in Russia avevano imperato l’autocrazia e l’assolutismo, zar e favoriti. E ciò nonostante in mille anni di storia non si era mai visto un potere come quello di Stalin” (p. 733). Evidenziati i metodi del sospetto e della denuncia oltre che della propaganda, che manipola la stampa, rivaluta ora Tolstoj, ora Majakovskij a seconda dell’opportunità politica (p. 265) e premia o condanna in base alle necessità del momento, come si nota in due personaggi esemplari: lo scienziato Strum, che ritiene di essere ormai spacciato agli occhi del regime e riceve invece una telefonata di approvazione da Stalin in persona per il suo lavoro, e il commissario politico Krymov, costretto a confessare un tradimento non perpetrato.

Non assenti, si capisce, le vicende personali, in particolare i rapporti familiari tra alcuni personaggi che legano varie famiglie e fanno capo soprattutto a due sorelle: Eugenia e Ludmilla.


[Roberto Bertoni]