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09/01/15

Bille August, TRENO DI NOTTE PER LISBONA

Germania, Svizzera, Portogallo, 2013. Con Bruno Ganz, Martina Gedeck, Jack Huston, Jeremy Irons, Mélanie Laurent, Lena Olin, Charlotte Rampling


Tratto dal romanzo omonimo di Paul Mercier, pseudonimo dello scrittore svizzero Peter Bieri, questo film del regista danese Bille August ci ha colpito, non meno del romanzo, pur se gli adattamenti corrono sempre un rischio di semplificazione, per le stesse qualità che alcuni critici hanno adoperato per giudicarlo negativamente: la lentezza riflessiva; la problematica personale che non inficia, al contrario a noi sembra rendere più credibile, la denuncia del fascismo; la scelta di attori attempati, che a nostro parere conferisce maggiore umanità; il respingimento della tanto oggi commercialmente, e a nostro parere ingiustamente, ammirata rapidità d’azione e serie di vicende avventurose [1]. Ciò che invece qui domina è la malinconia, la revisione di una vita a confronto con un’altra, infine la tragedia della persecuzione e del sospetto durante il regime fascista di Salazar e di Caetano.

La fabula è significativa anche perché si tratta della storia di un libro che influenza la vita di una persona al punto da cambiarla. In breve, e saltando le convoluzioni dell’intreccio piuttosto fitto, il professore svizzero di lettere classiche Raimund Gregorius salva una giovane dal suicidio afferrandola mentre sta per gettarsi da un ponte. Intelligentemente, e in contrasto con altri film consimili, non ne nasce una storia tra i due, anzi lei scompare lasciandosi alle spalle un libro, L’orafo delle parole, di Amadeu Inàcio De Almeida Prado, la cui lettura spinge Raimund a recarsi a Lisbona, alla ricerca dell’autore. Attraverso un’inchiesta tra i familiari e gli amici, scopre che l’autore è deceduto nel 1975. Antifascista di famiglia altolocata, Amadeu era stato coinvolto in una vicenda amorosa che, includendo anche un rivale e dei nemici politici, l’aveva portato alla persecuzione politica e all’infelicità personale. Vengono contemporaneamente ricostruiti i fatti salienti della biografia dell’autore del libro e al contempo rivisti i parametri esistenziali del professore, che oltre a questa investigazione nel passato vede modificarsi la propria vita personale. La pellicola si conclude on la domanda di una donna infatuatasi di lui di restare in Portogallo, davanti al treno che sta per ripartire, e senza che venga fornita la risposta, anche qui piuttosto intelligentemente.

Le opere pensate e che non si esprimono con chiasso restano in sottordine, sembrerebbe. Noi, come si sa, per quel che conta, invece le approviamo e sosteniamo. Il sentimentalismo, piuttosto che un difetto, va visto come un pregio, in quanto rappresenta le emozioni umane; e non è di per sé necessariamente una sciocchezza come certi critici sottolineano, quasi esistesse un solo tipo di sentimentalismo, cioè quello deteriore, mentre qui esso si esprime con affetto e semplicità, in contrasto anzi col cinismo postmoderno e decantato dei film maggiormente commerciali.

Il film, inoltre, col riferimento, tramite il romanzo, a Pessoa (in epigrafe nel libro), rimanda anche al Pereyra di Tabucchi.

Non ultima l’esplorazione della città alta di Lisbona, un ambiente non hollywoodiano, non banale, ripreso nella sua quotidianità oltre che coi segni di un tempo architettonico illustre, tramontato.


[Roberto Bertoni]


[1] Cfr., per esempio, le recensioni su The Guardian, The New York Times e La Repubblica.
Positive, invece alcune recensioni francesi, cfr. Cineman.
Generali, con una certa contraddizione, gli apprezzamenti positivi del romanzo (cfr. in particolare Liberation), di cui il film è peraltro una lettura piuttosto letteraria e ben eseguita.


23/08/08

Roland Emmerich, 10.000 A.C.


[Like a shaman's mask (Saint Laurence Church, Genoa). Foto di Marzia Poerio]


Soggetto e sceneggiatura: Roland Emmerich e Harald Kloser. Con Nathanael Baring, Camille Belle, Affif Ben Badra, Cliff Curtis, Mona Hammond, Marco Khan, Jacob Renton, Steven Strait, Grayson Hunt Urwin, Joel Virgel. Voce narrante nella versione inglese: Omar Sharif. Versione dvd Warner Bros, 2008.

Evolet, una bambina dagli occhi celesti, per questo diversa dagli altri, arriva in una tribù di cacciatori che vivono sulle montagne. L'Anziana Madre, o sciamana del villaggio, predice un futuro positivo dovuto alla sua presenza. Si innamora di lei fin da bambino D'Leh, accomunato a Evolet da un destino di solitudine, essendo suo padre partito senza fare ritorno (era andato a cercare uno sbocco alla carestia, come si scoprirà nel seguito della storia). Gli anni passano. Dei razziatori e trafficanti di schiavi, più avanzati tecnologicamente (usano spade di ferro e cavalcano) rapiscono Evolet ormai ragazza e altri membri della tribù, distruggendo le capanne. D'leh, assieme ad alcuni compagni, si mette alla ricerca della giovane, tra traversie che lo porteranno dalla neve alla foresta trpicale al deserto. Stretta un'alleanza con tribù delle zone calde, un piccolo esercito libera gli schiavi che lavorano alla costruzione di piramidi della civiltà in cui è finita Evolet. La giovane pare morta nella rivolta degli schiavi, ma resuscita per un'esperienza magica di trasferimento telepatico della vita dalla sciamana delle montagne a lei. I cacciatori tornano nelle loro terre portando dei semi che permetteranno loro di convertirsi all'asgricolutra, evolvendosi così verso una società più prospera.

A noi è piaciuto questo film, che racconta una storia simile a una fiaba: l'eroe attraversa, alla Propp, difficoltà per coronare la propria storia d'amore, frattanto svolge opera di giustizia, sconfigge nemici più forti di lui con l'aiuto della propria intelligenza, di altri esseri umani e della magia. Segue il lieto fine.

Al contempo, sul piano junghiano, il maschile si congiunge col femminile; e la morte dell'Anziana porta la vita alla Giovane in un ciclo di integrazione.

L'economia di sopravvivenza dei cacciatori e la loro ritualità, col primeggiare del coraggio, nonché lo sciamanesimo, sono resi con una certa efficacia. La tribù nera con cui si alleano i cacciatori è restituita con simpatia umana. La società delle piramidi è rappresentata nelle sue profezie e ritualità che grondano delle frustate agli schiavi.

Gli effetti speciali non sono esagerati, risultano anzi funzionali alla rappresentazione. Memorabile la ricostruzione dei branchi di manak, simili ai mammouth. Notevole la tigre preistorica dalle zanne. Piuttosto credibili le scene di caccia.

Il film si muove con dinamismo. Belli i paesaggi. Piacevole l'insieme.

L'ipotesi della comparsa di una civiltà evoluta alla fine della glaciazione è in parte basata sulle ipotesi di archeologia fantastica di Graham Hancock.

Nell'insieme, in questo melange eclettico protostorico, ma piuttosto, si dovrebbe dire, postmoderno, non mancano coscienza dell'evoluzione e rispetto per le civiltà altre. La parabola è sulla sopravvivenza e sulla fine di culture anche evolute, di cui restano rovine. Succederà anche alla nostra?, si domanda il regista nel dvd con le interviste e le scene espunte.


[Renato Persòli]

23/04/07

Florian Henckel von Donnersmarck, LE VITE DEGLI ALTRI

2006. Sceneggiatura di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Martina Gedeck, Ulrich Tukur and Thomas Thieme.

LE VITE DEGLI ALTRI è l'opera prima del giovane regista trentatreenne FLORIAN HENCKEL VON DONNERSMARCK, il quale ne ha anche scritto la sceneggiatura. È uno di quei film che vorremmo non finissero mai; il senso di partecipazione e le emozioni che ci lascia sono così forti che restiamo lì a guardare i titoli di coda riuscendo a fatica ad andar via solo quando si riaccendono le luci. Deve essere stato così anche per la giuria che gli ha dato l'Oscar 2006 come miglior film straniero e mai come questa volta la critica europea si è trovata d'accordo con l'assegnazione del premio hollywoodiano tanto che si è parlato di rinascita della cinematografia tedesca, grazie anche a recenti film come GOODBYE LENIN! e DOWNFALL (LA CADUTA).

La storia è ambientata a Berlino Est nel 1984. Il ministro della cultura si è invaghito di una sensuale attrice teatrale di successo Christa-Maria Sieland (MARTINA GEDECK) che è la compagna di un famoso drammaturgo, Georg Dreyman (SEBASTIAN KOCH), libero pensatore interessato più all'arte che alla politica, dalla quale intende restare fuori: infatti fino a quel momento non aveva subito alcuna censura o alcun controllo.

Ma il ministro della cultura decide di trovare una qualche pecca nella vita di Georg in modo da avere campo libero con la donna e per questo chiede al colonnello Grubitz (ULRICH TUKUR) di spiarlo. Grubitz a sua volta dà l'incarico ad un suo vecchio compagno di scuola, suo sottoposto, che è un integerrimo ispettore della Stasi, la polizia segreta che operava nella Germania dell'Est. Questi è il capitano Gerd Wiesler (ULRICH MÜHE), il primo personaggio ad apparire sullo schermo: freddo, senza emozioni, esegue i suoi compiti con diligenza e convinzione. Insieme alla squadra di tecnici istalla un sofisticato macchinario nel sottotetto del palazzo dove abita il drammaturgo per spiarlo 24 ore su 24.

Wiesler entra così nella vita degli altri, in un mondo che lui non conosceva dove Christa-Maria, Georg e i loro amici vivono di arte, sentimenti e passioni che contrastano con la sua vita, fatta di gesti quotidiani sempre uguali, grigia, vuota e senza affetti, che si svolge in un asettico e impersonale appartamento. In televisione c'è solo propaganda politica mentre la "sua" radio nascosta gli trasmette la musica di Beethoven che lo commuove, le parole di una poesia di Brecht di cui ruberà il libro, i dialoghi tra Georg e il suo più caro amico che lo turberanno e infine la storia di Christa-Maria, della quale diventa una specie di angelo custode. La sua intrusione nella vita degli altri porterà ad un profondo cambiamento della sua anima.

Oltre alla sceneggiatura e alla regia hanno sicuramente contribuito al successo del film la splendida recitazione degli attori, soprattutto di Ulrich Mühe, ma anche di Sebastian Koch e Martina Gedeck, la colonna sonora e le immagini. Dialoghi e immagini si sovrappongono a livelli paralleli creando spesso una sottile ironia rivolta in particolar modo al periodo storico. Contrariamente ad altri pareri, io non credo che Wiesler si innamori di Christa-Maria. Per lui l'attrice rappresenta tutto quello che l'arte alla massima espressione può suscitare, mentre sarà la scoperta delle emozioni e della compassione nel senso latino del termine, che agirà profondamente su di lui fino a fargli fare cose fino a quel momento impensate.

La scena conclusiva, che ovviamente non rivelo, si svolge negli anni subito dopo la caduta del muro di Berlino e noi spettatori, ancora scossi dal momento più drammatico del film, raggiungiamo la catarsi finale: Georg, il drammaturgo, viene a sapere dall'ormai ex ministro della cultura di essere stato controllato, quindi ricostruisce tutto quanto gli era successo in quel novembre del 1984, e scopre l'identità dell'uomo che aveva agito nell'ombra e che lo aveva salvato. Così, ora che è diventato anche autore di un best seller, trova il modo di esprimergli la sua riconoscenza e le immagini che accompagnano questo momento chiudono il film con un originale quasi-lieto fine.


[Paola Benchi]