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01/07/18

Ann Hui, LOVE IN A FALLEN CITY



[Ornaments and a Lady (Hong Kong 2016). Foto Rb]


Ann Hui, Love in a Fallen City. Hong Kong, 1984. Starring Cora Miao e Chow Yunfat



Based on Eileen Chang’s story by the same title, this is an elegant film, set between Shanghai and Hong Kong from the end of the 1930s to 1941, the year of the Japanese occupation of Hong Kong.

Family, solitude, modernity and tradition, social and personal identity, love and opportunity are all themes in this well executed film characterized not only by secure direction but also by good acting and a perceptive reading of the literary text on which it is based.

The female protagonist is Bai Liusu, a 28 year old widow who divorced her husband before he died and went back to her original family within which she has an awkward position due to social stigma. A friend and a family member help her to come in contact with Fan Liuyuan, a wealthy Malaysian Chinese who lived in Europe and has returned to China, with the hopeful prospect of marriage.

The relationship is difficult. They are clearly interested in each other, but he is a womanizer and rejects the idea of marriage. Their personalities differ widely - he is extraverted whereas Liusu is reticent and reserved. She eventually accepts the position of lover, but it is the impact of the Japanese invasion which brings Liuyuan to a mature decision to marry her, while they both find solidarity for each other in the social tragedy and realize that their friendship was rather love than simply affection.

The milieu of the Chinese bourgeoisie of the 1930s is rendered well, with the contradiction between traditional attitudes and modernized behaviour. Luxury and class differences in the two cosmopolitan and prosperous cities of Shanghai and Hong Kong are also described.


[Roberto Bertoni]

09/02/18

Christopher Doyle e Jennifer Suen, THE WHITE GIRL

["So Much Like One's Home Town..." (Hong Kong 2017). Foto Rb]


Hong Kong 2017. Con Kin-Ping Leung, Michael Ning, Joe Odagiri, Angela Yuen, Jeff Yiu, Tony Tsz-Tung Wu


È un film sulla speculazione edilizia, la scomparsa di modi di vita arcaici, la maturazione interiore di una giovane, il segreto di una famiglia.

È narrato con realismo magico.

Il realismo consiste nella rappresentazione dettagliata e accurata dell’ambiente esterno, delle attività di pesca, delle abitudini quotidiane.

Il fiabesco è riposto nella vita ritirata della protagonista, Ho Zai (interpretata da Angela Yuen), cui il padre, per risparmiarle verità dolorose, ha detto che è affetta da una malattia incurabile e morirebbe se venisse esposta ai raggi del sole. Poco per volta lei si rende conto di non essere affatto allergica al sole e che la madre, invece, è fuggita anni addietro abbandonandola. Ne deriva la ribellione verso il padre e il villaggio e la decisione di partire per la città e una nuova vita.

Nel frattempo, si intrecciano altri motivi.

Il tema della diversità e dell’emarginazione è marcato. Ho Zai è respinta dai compagni di scuola perché la si suppone malata. Il suo mondo mentale è peculiare, introverso e desideroso di riappropriarsi della madre perduta. Si veste e si comporta diversamente dagli altri. L’incontro con Sakamoto (l’attore Joe Odagiri), un giapponese anch’egli emarginato e in cerca di se stesso, in visita al villaggio, crea una convergenza di disagio psicologico e sociale: anch’egli vive ai margini, ha un segreto che però non veniamo a sapere e scompare all’improvviso come all’improvviso era arrivato.

Un monaco buddhista che vive attendato tra strani ordigni e un bambino orfano che si rifugia presso di lui, sono altri emarginati, ma si muovono con decisione contro le avidità di denaro e potere dell’élite finanziaria e politica.

Il villaggio si chiama Pearl e viene definito “l’ultimo villaggio di pescatori di Hong Kong”. La cosca della speculazione vuole trasformarlo in una zona moderna. Sarà la ragazza a salvarlo temporaneamente, barricandosi in una casa abbandonata in mezzo a un parco, che andrebbe arsa abusivamente per far terreno bruciato dell’esistente e aprire il campo alle ruspe. Solo nell’ultima scena del film, dalla voce di Ho Zai fuori campo, veniamo a sapere che la storia che abbiamo visto era retrospettiva e il villaggio è in effetti scomparso.

È un bel film, lontano fortunatamente dalle mode e dalla spettacolarità; ben recitato; centrato a livello tematico.


[Roberto Bertoni]

01/02/18

Henry King, LOVE IS A MANY-SPLENDORED THING


[Passage of the Past (Hong Kong 2017). Foto Rb]

Henry King, Love is a Many-Splendored Thing. USA 1955. Con Jennifer Jones e William Holden. Musica di Alfred Newman; parole della canzone-sigla di Sammy Fain e Paul Francis Webster

È uno dei film classici di Hollywood su Hong Kong, assieme a The World of Suzie Wong. L’interprete maschile in entrambi i film è William Holden, mentre l’interprete femminile in Suzie Wong, Nancy Kwan, è per parte di padre di Hong Kong, ma in Love is a Many-Splendored Thing, sebbene interpreti la parte di uneurasiatica, è un’attrice americana, Jennifer Jones. Questo per dire che, sul piano etnico, c’è approssimazione nella credibilità realistica dei personaggi. La città di Hong Kong invece, viene restituita da King con una certa fedeltà fotografica. 

Love is a Many-Splendored Thing è una storia sentimentale (con la canzone divenuta una pietra miliare della musica leggera d’impostazione romantica); e penso che vada presa per quello che è, una storia d’amore tra una donna-medico vedova di un generale nazionalista cinese, che faticosamente si è guadagnata stima e una posizione in ospedale a Hong Kong, e un giornalista statunitense che, infine inviato alla guerra di Corea, ivi perisce in un bombardamento. La vita di lei risulta distrutta, sia perché ha seguito la tendenza sentimentale verso quest’uomo ancora sposato cui la moglie non concede il divorzio, esponendosi al pettegolezzo, sia perché, in ragione di tale scelta, perde anche il posto di lavoro, oltre all’amato. 

Da un punto di vista emancipatorio, il film è piuttosto aperto, prendendo le difese della professionalità femminile e della difficoltà, negli anni Cinquanta, di risolvere le questioni familiari con semplicità. 

Sul piano della rappresentazione della cultura asiatica, c’è una certa quantità di stereotipi, ma alla fin fine nemmeno esagerata, in quanto, anche in questo caso, il punto di vista del regista è di simpatia e favorevole alla mutua comprensione tra culture diverse.

È certo, tuttavia, che si tratta di una semplificazione notevole del romanzo in ampia parte autobiografico di Han Suyin, che nel film è il nome della protagonista, mentre nella vita reale è lo pseudonimo di Rosalie Matilda Kuanghu Chou, o, col nome inglese proveniente dal secondo matrimonio, Elisabeth Comber. Il titolo del romanzo non cita la parola “love”, è A Many-Splendoured Thing, e già di qui si comprende il più ampio respiro del testo, senza contare che questo titolo è un riferimento letterario, tratto da una poesia di Francis Thomson, “The Kingdom of God”: “’Tis ye, ’tis your estranged faces, / That miss the many-splendored thing”, del resto citata anche in un dialogo del film, ma il contesto religioso e l’idea di alienazione si perdono nella pellicola, non nel romanzo. Il romanzo, inoltre, ha uno sguardo più attento e partecipato sulle vicende storico-politiche.
  
Nondimeno, pur nell’intento commerciale di Hollywood, e nell’anticomunismo pronunciato del film, resta un prodotto di riferimento nel tentativo misto di esotizzazione e al contempo interculturalità della rappresentazione cinematografica americana della città che tanta nostalgia spesso desta negli occidentali.


[Roberto Bertoni]

21/12/17

Gina Marchetti, “WHITE KNIGHTS IN HONG KONG”



[Hong Kong Taxi (2017). Foto Rb]


Gina Marchetti, White Knights in Hong Kong. Sottotitolo: “Love is a Many-Splendored Thing and The World of Suzie Wong”, Capitolo 6 di G. Marchetti, Hollywood and the “Yellow Peril”, University of California Press, 1993, pp. 110-124


Alcuni rilievi di Marchetti sono condivisibili anche se non con l’assolutismo con cui sono avanzati nel suo libro, in particolare, aggiungendo per cautela in diversi casi ma non sempre, il fatto che “the myth of romantic love and the myth of the romantic hero are inextricably intertwined in Hollywood fiction”; e quando le storie si svolgono in Asia, “the romantic hero functions as a white knight who rescues the non-white heroine from the excesses of her own culture while ‘finding’ himself through this exotic sexual liaison” (p. 109).

Tuttavia, altri rilievi paiono a chi qui scrive un che azzardati. Nel caso di The World of Suzie Wong (una produzione anglo-statunitense diretta da Richard Quine nel 1960, con William Holden e Nancy Kwan come interpreti principali) andava forse sottolineato che il film deriva, con cambiamenti anche notevoli, da un romanzo dell’autore inglese Richard Mason, il cui protagonista venne trasformato in statunitense dalla versione cinematografica.

Hollywood semplifica con una serie di cliché interculturali il rapporto tra l’occidentale a Honk Kong e la ragazza del luogo, una prostituta che inizialmente si finge raffinata ereditiera per poi rivelarsi nella sua professione, che svolge per mantenere la figlioletta e sopravvivere, pur mantenendo un fondo etico pronunciato e fiducia nella propria cultura. Dopo varie vicende, l'intreccio si risolve in un matrimonio.

Alcuni aspetti della realtà di Hong Kong vengono conservati nella pellicola, ma altri sono semplificati al punto da risultare stereotipati. Va però considerato che il tono di commedia, prevalente nonostante la presenza di momenti tragici, come la slavina in cui perisce la figlia di Suzie (il cui nome “vero” nel film è Mei Ling), e lo schema della storia sentimentale non avrebbero consentito, a un regista che volesse restare nell’ambito delle “regole” del film di genere, più di tanto spessore antropologico. 

Va anche notato che l'attrice protagonista, nella vita reale, è nata a Hong Kong da padre cantonese e madre britannica, cioè venne scelta un’attrice di provenienza asiatica che si riconosce nella cultura d’origine (si veda l’intervista del 2010); e la lingua adottata in qualche rapida occasione nei dialoghi anche di una parte delle sue coadiuvanti nel film, per accrescere autenticità, è il cantonese; meno autentica, nondimeno, la ricostruzione in studio di Kowloon; al contrario, invece, dei particolari delle strade, che vennero riprese nella vita reale, come pure è reale il traghetto verso il centro.

Nel film, le contraddizioni tra culture sono in effetti alcune di quelle individuate da Marchetti: il rapporto tra Oriente e Occidente; e tra ricchezza e povertà. 

Ci pare invece meno pronunciata l'opposizione tra etnie e tra indipendenza e dipendenza dell’essere femminile. Bisogna semmai notare che il personaggio protagonista maschile, Robert, pur essendo occidentale, si innamora della giovane di Hong Kong e ne è ricambiato malgrado le differenze di nazionalità, cultura e professione: quindi non sembrerebbe insincera la rappresentazione dell’affetto che riesce a superare i pregiudizi. Quanto alla supposta segregazione di Mei Ling nel mondo maschile di Robert, notata da Marchetti, anche questa, nell’economia narrativa del film, pare a chi qui scrive piuttosto una scelta di lei; e corrisponde dopotutto allo stato dei rapporti di coppia sia occidentali che orientali in quegli anni.

Interessante, invece, la notazione di Marchetti che nella versione cinematografica si apre un contrasto tra liberalità ideologica statunitense e pregiudizio coloniale britannico, il secondo visibile nel personaggio di Ben, che inganna Suzie, carpendone l’affetto per poi abbandonarla. Anche in questo caso, però, vanno fatte delle precisazioni, perché alla figura negativa dell’inglese Ben si contrappongono quelle mentalmente aperte verso l’Oriente dei personaggi, anch’essi inglesi, di Kay, innamorata di Robert, e del padre banchiere di quest’ultima.

Non sarà un capolavoro Il mondo di Suzie Wong ma, per concludere, è un film che, nonostante i suoi limiti interculturali e d’altro tipo, si lascia guardare con un sorriso e non manca di leggerezza.


[Roberto Bertoni]