09/05/19

Cao Cixin, DEATH’S END

[Multiple frames and an intrusive light (St Vincent's Private Hospital, Dublin, 2019). Foto Rb]


Traduzione dal cinese di Ken Liu. New York, Tor Books, 2016



Su Carte allineate, Chiara Cigarini si è occupata di The Three-Body Problem, primo volume della trilogia Remembrance of Earth’s Past (titolo originale cinese 地球往) di Cao Cixin. Si veda anche la recensione del secondo volume, The Dark Forest, sul numero di marzo 2019.

Il terzo volume conclude questa narrazione epica, ampliando il panorama galattico con l’inserimento di altre civiltà extraterrestri e un arco temporale di parecchi millenni.

L’ideologia anticoloniale si manifesta in forma allegorica nella figurazione di Sophon, un robot avanzatissimo con fisico di forma umana, agente dei trisolariani oppressori dei terrestri, che ora si rivela come una gentile e tradizionale dama giapponese che si muove con delicatezza nel rituale della cerimonia de tè, ora invece come ninja spietata che decapita senza esitare gli oppositori; chiaramente un’allegoria dell’occupazione giapponese della Cina, qui ripresentata sotto le spoglie della civiltà trisolariana, che a un certo punto della narrazione tenta di compiere il genocidio del genere umano, confinandone solo una minima parte, come in uno zoo, in Australia.

Nella vasta galleria di protagonisti, il personaggio principale pare l’umanitaria Cheng Xin, che esita a ordinare l’invio nell'universo di un messaggio che comunichi la presenza dei trisolariani nel sistema solare per evitare la comune distruzione di entrambe le culture, trisolariana e terrestre, da parte di altre forme di vita con tecnologie più avanzate. 

Tentativo piuttosto vano, perché in questo terzo volume della trilogia si impone la concezione machiavellica che il più forte schiaccia il più debole non appena lo veda come minaccia, o abbia bisogno di espandersi sul suo territorio.

Dalla distruzione totale dell’universo, tuttavia, c’è una via di salvezza in extremis, nella creazione di mini-mondi protetti che consentano un rifugio nei millenni a venire.

Questo terzo volume, nonostante il suo pur interessante respiro di fantascienza epica alla Heinlein, ci è sembrato meno ideologicamente e stilisticamente innovativo dei primi due. La lunghezza di circa seicento pagine e una certa ripetitività negli avvenimenti ostacolano a nostro parere la completa fluidità del racconto.

Se è forse realista la concezione dell’Homo homini lupus, noi, da irrimediabili e donchisciotteschi utopisti che siamo, preferiremmo configurare un futuro di pace e collaborazione universale.

“Che sarà della neve, che sarà di noi”, scriveva Andrea Zanzotto nella Beltà. È la domanda, in definitiva, che questo tipo di fantascienza lascia aperta al lettore.

[Roberto Bertoni]