[Multiple frames and an intrusive light (St Vincent's Private Hospital, Dublin, 2019). Foto Rb]
Traduzione dal cinese di Ken Liu.
New York, Tor Books, 2016
Su Carte allineate, Chiara
Cigarini si è occupata di The Three-Body Problem, primo volume
della trilogia Remembrance of Earth’s
Past (titolo originale cinese 地球往) di Cao Cixin. Si veda anche la
recensione del secondo volume, The Dark Forest, sul numero di marzo 2019.
Il terzo volume conclude questa narrazione epica, ampliando il panorama
galattico con l’inserimento di altre civiltà extraterrestri e un arco temporale
di parecchi millenni.
L’ideologia anticoloniale si manifesta in forma allegorica nella
figurazione di Sophon, un robot avanzatissimo con fisico di forma umana, agente
dei trisolariani oppressori dei terrestri, che ora si rivela come una gentile e
tradizionale dama giapponese che si muove con delicatezza nel rituale della
cerimonia de tè, ora invece come ninja
spietata che decapita senza esitare gli oppositori; chiaramente un’allegoria
dell’occupazione giapponese della Cina, qui ripresentata sotto le spoglie della
civiltà trisolariana, che a un certo punto della narrazione tenta di compiere il
genocidio del genere umano, confinandone solo una minima parte, come in uno zoo,
in Australia.
Nella vasta galleria di protagonisti, il personaggio principale pare l’umanitaria
Cheng Xin, che esita a ordinare l’invio nell'universo di un messaggio che comunichi la
presenza dei trisolariani nel sistema solare per evitare la comune distruzione di entrambe le
culture, trisolariana e terrestre, da parte di altre forme di vita con tecnologie
più avanzate.
Tentativo piuttosto vano, perché in questo terzo volume della
trilogia si impone la concezione machiavellica che il più forte schiaccia il
più debole non appena lo veda come minaccia, o abbia bisogno di espandersi sul
suo territorio.
Dalla distruzione totale dell’universo, tuttavia, c’è una via di salvezza
in extremis, nella creazione di mini-mondi protetti che consentano un rifugio
nei millenni a venire.
Questo terzo volume, nonostante il suo pur interessante respiro di fantascienza epica alla
Heinlein, ci è sembrato meno ideologicamente e stilisticamente innovativo dei
primi due. La lunghezza di circa seicento pagine e una certa ripetitività negli
avvenimenti ostacolano a nostro parere la completa fluidità del racconto.
Se è forse realista la concezione dell’Homo
homini lupus, noi, da irrimediabili e donchisciotteschi utopisti che siamo, preferiremmo configurare un futuro di pace e collaborazione universale.
“Che sarà della neve, che sarà di noi”, scriveva Andrea Zanzotto nella Beltà. È la domanda, in definitiva, che
questo tipo di fantascienza lascia aperta al lettore.
[Roberto Bertoni]