31/05/11

CARTE ALLINEATE. Numero 51, Maggio 2011 / Issue 51, May 2011

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INDICE ALFABETICO / INDEX

Le voci elencate qui sotto senza il nome dell'autore sono state scritte da Roberto Bertoni. Foto di Marzia Poerio / Entries listed below without the name of the author were written by Roberto Bertoni. Pictures by Marzia Poerio.

- BRETON, Philippe, ÉLOGE DE LA PAROLE. Note di lettura, 13-5-2011.
- COMINCINI, Andrea, DUE POESIE. Testo, 13-5-2011.
- CONA, Cristina, I VIAGGI DEL'EMOZIONAUTA. Riflessione, 11-5-2011.
- FERRAMOSCA, Annamaria, DUE POESIE (tradotte da Anamaría CROWE SERRANO). Testi con traduzione, 15-5-2011.
- FERRARA, Enrica, CALVINO E IL TEATRO, STORIA DI UNA PASSIONE RIMOSSA. Note di lettura, 5-5-2011.
- FRIEZE. Fotografia e versi di Marzia POERIO, con commento, 1-5-2011.
- KWAK, Jae-yong, 클래식 (THE CLASSIC). Storie di film di Renato PERSÒLI, 19-5-2011.
- KWON, Hyeong-jin, 웨딩드레스 (WEDDING DRESS). Storie di film di Renato PERSÒLI, 27-5-2011.
- JANG, Jin, 아는 여자 (Anŭn yŏja) - SOMEONE SPECIAL. Storie di film di Renato PERSÒLI, 3-5-2011.
- LEE, Myeong-se, 엠 (M). Storie di film di Renato PERSÒLI, 3-5-2011.
- MIGNANI, Gabriella, LIGURIA. Testo, 25-5-2011.
- PINI, Angelo, NODO (D'AMANTE?). Testo con commento, 7-5-2011.
- PIZZI, Marina, VIGILIA DI SORPASSO, 2009-2010 [51-60]. Testo, 21-5-2011.
- RAIMONDI, Daniela, MIGRAZIONI e NUOVA TEORIA DELLA LUCE. Testi con traduzioni di Anamarìa CROWE SERRANO, 29-5-2011.
- YOUNG, Augustus, DESIGN FOR A BOTTLE OF WINE. Testo, 17-5-2011.

29/05/11

Daniela Raimondi, MIGRAZIONI e NUOVA TEORIA DELLA LUCE


[Photo-application of a new theory of light. Foto di Marzia Poerio]


1.

MIGRAZIONI

E il verbo fu Dio.
Dio fu parola
e la parola il fuoco,
il tuo nome sulla bocca.

Ci sono angeli che hanno avuto
il coraggio di peccare,
con dentro l’anima una strana sete
che non si acquieta al tocco di una mano.
Ma è una resa l’amore.
La mollezza di un risveglio
nella lenta sostanza della luce.

Non ho un destino sul palmo della mano.
Solo l’impronta di una foglia.
Il mio viaggio porta altrove
in una stanza
dove ho lasciato due calici di vino,
una sola impronta nel letto.

Ho bisogno di una lingua nuova
fatta di respiri,
di tatto, e suoni, e un velo di sudore.
Incollarmi a un’ombra
nell’ondeggiare sicuro di una danza.
Affondare le dita in una sostanza trasparente,
nella sua bianca luce.

Ricordati
del mio ostinato vizio d’amarti.
Di tutto quello che abbiamo perduto.


MIGRATIONS

And the word became God.
God was the word
and the word was fire,
your name on my lips.

There are angels
who’ve dared to sin,
with a strange thirst in their soul
that won’t be quenched by the touch of a hand.
But love is a surrender.
The softness of waking
in the slow substance of light.

There’s no future on the palm of my hand.
Just the imprint of a leaf.
My journey leads elsewhere
to a room
where I left two wine goblets,
just one imprint on the bed.

I need a new tongue
made of breath,
touch and sounds, a veil of perspiration.
I need to sidle up to a shadow
in the safe swaying of a dance.
Sink my fingers into some transparent substance,
into its white light.

Remember
how stubbornly I loved you.
Everything we’ve lost.



2.

NUOVA TEORIA DELLA LUCE

Questa donna appartiene alle cose di ieri.
A una babilonia infuocata
di gesti e di suoni.
Ha il ventre di cristallo
e ogni sera accarezza
cento figli mai nati.

Questa donna ha fame.
Si attacca a seni gonfi di poesia.
Alla parola vergine
impronunciata,
stretta nella gola come un fiore rosso.

E chiude piano gli occhi
per scoprire se la luce
nasce dentro di noi,
e non dal sole.

Sul soffitto volano fantasmi
il ninnolo cinese
un colibrì.


NEW THEORY OF LIGHT

This woman belongs to yesterday’s things.
To a Babylon set alight
by gestures and sounds.
Her womb is made of glass
and every evening she caresses
her hundred unborn children.

This woman hungers.
She latches on to breasts full of poetry.
To the virgin
unspoken word,
nesting in her throat like a red flower.

And slowly she closes her eyes
to discover whether light
comes from inside us,
or from the sun.

Flying on the ceiling are ghosts
her Chinese trinket
a humming bird.


NOTA

Le due poesie sono tratte da ELLISSI, Rimini, Raffaelli, 2005. Le traduzioni di Anamaría Crowe Serrano fanno parte del volume POEMS BY DANIELA RAIMONDI, di prossima pbblicazione presso Gradiva (New York).

27/05/11

Kwon Hyeong-jin, 웨딩드레스 (WEDDING DRESS)


[A door to the future? (Seoul, 2010). Foto di Marzia Poerio]


Corea del Sud, 2010. Sceneggiatura di Yoo Yeong-ah. Con Song Yoon-ah e Kim Hyang-gi

Insistiamo ancora sul cinema coreano questo mese.

WEDDING DRESS è uno di quei film che in altri tempi, quando credevamo che l'espressione del sentimento nell'arte cinematografica costituisse una negatività, addirittura un difetto, ci avrebbero suscitato perplessità, mentre con la vecchiaia forse il cuore si scioglie, ma è soprattutto il fatto che si tratta di un film puntato sulle emozioni, filiali/materne in questo caso, ma non melenso, al contrario delicato e gentile.

La storia è quella di Go-eun, una giovane madre single che scopre di avere ben poco di restante da vivere a causa di un cancro. La figlioletta So-ra, di otto anni, solitaria e più matura della sua età, ma pur sempre infantile ed esposta al dolore della perdita, venuta a sapere segretamente della malattia materna, la protegge a suo modo come pure fa la madre nei confronti della bambina.

Sullo sfondo i rapporti familiari col nucleo di provenienza della madre, designati da realismo piuttosto che da eccessi di retorica: una cognata e una sorella in conflitto, il fratello affettuoso ma burbero.

Il titolo deriva da un elemento esterno, apparentemente, al dramma interiore, ma tanto più efficace per questa sua presenza di oggetto feticcio, che si trasforma con l'andare della pellicola in simbolo di futuro e in lascito ereditario: il vestito da sposa che la madre, sarta e designer di abiti nuziali, prepara per la figlia quando sarà adulta e che vediamo indossato dalla ragazza ventenne nell'ultima scena anni dopo il decesso della madre.

A noi questo film è piaciuto.

[Renato Persòli]

25/05/11

Gabriella Mignani, LIGURIA


[Symmetrical closure on view of the summer sea. Foto di Marzia Poerio]


E già il settentrione
si tuffa nel mare,
affondando la nebbia.
Lontano
un ricordo d'Emilia
d'inverno, ma altra
è l'estate:
come una donna pudica
non vuole spogliarsi
e piacere, ma teme
a lasciarsi andare
e aspetta chi la violenta.
E aspetta:
terra sopita, pigra
nel suo splendore.

Ancora verrà l'inverno
e riti antichi
riemergeranno
dagli altari, dove s'immola
una verginità mai persa.

23/05/11

Philippe Breton, ÉLOGE DE LA PAROLE


[Be cautious even with what you say. Foto di Marzia Poerio]


Philippe Breton, ÉLOGE DE LA PAROLE (2003). Parigi, La Découverte, 2007

Pare di buon auspicio un saggio che difende la parola nell'era delle comunicazioni di massa e ne rivendica l'uso oggi anche multimediale, affermando che "la comunicazione è il mezzo", ma "la parola è il fine" (p.6).

Per Breton, la parola è essenzialmente la parola "giusta" (p. 7), utilizzata per mediare il conflitto e le problematiche dello scontro; è anzi, ancor più enfaticamente, "un'alternativa alla violenza del mondo" (p. 9) e consente di cooperare con gli altri.

Tra i molteplici campi di applicazione di quesata interpretazione e pratica si trovano la democrazia sul piano sociale, l'interiorità sul piano personale, in breve quanto l'autore definisce "un'antropologia impegnata" (p. 11) e una prospettiva intenzionalmente "umanistica" (p. 10).

La parola si affianca al silenzio quando esso sia un "silenzio comunciazione" in cui la parola acquissisce un aspetto evidentemente enfatico (p. 36).

Nell'epoca di Internet, scrive Breton, la comunicazione è facilitata dalla rete, ma si tratta alla fin fine di "un'estensione di mezzi di comunicazione più antichi" (p. 45).

La parola riacquisice in tal modo, tra le superficialità non così rare nel periodo tardo moderno, un "senso" chiaro e forte di strumento contro la prevaricazione e l'insensatezza. La prospettiva di risoluzione non violenza e di interiorità dialogante rendono attivo questo libro di riflessione.

[Roberto Bertoni]

21/05/11

Marina Pizzi, VIGILIA DI SORPASSO, 2009-2010 [51-60]


[Fate was taken in that old fashioned harbour, as a wrapped up net. Foto di Marzia Poerio]

51.

sfinito il porto sfumata la darsena
neppure a casa un apice di pace
dacché morì il cuore del silenzio
comatoso lo iato di finestre.
così di pomeriggio l’atollo delle rondini
ricorda la ragione di svignarsela
contro i portici che non servono più a nulla:
è sotto il treno il fato della lapide.
in tutto il comignolo della stirpe
sa di sudario il calendario apocrifo
la nomea intrisa dentro il sale.
incudine e martello la furia del fato
penombra brava a far di ruggine
il boato di un qualunque cielo.
a morte si dirà fu la vita
plasmata dalla ronda di malìa
stessa àncora la vita.


52.

almeno un’anemia avesse il laccio
che mi menziona lirica e falò
dentro il sangue ossuto della melma
da terremoto dentro. in calice al baccano
delle rondini riordino l’abaco del coma
la donna sterile che mi seppe amare.
in fato all’accetta di far boia
questa riunione d’indici cattivi
sotto la nenia del sillabario nitido.
l’arena della bocca grida “non vengo”
dentro la morsa del salario
stanco l’alambicco di capirlo.
in pace sulla rendita del sangue
grava la cintola del frate scalzo
l’avanzo della vanga che non fa tesoro.


53.

cura dell’abaco starti più vicina
se finalmente l’atrio delle rondini
inventa lo stornello più calzante.
in fondo a te sentii la bellezza
il cruciverba nel talamo da sposa
la ginestra alla balìa del vento.
nel cielo che riordina le staffe
so la marea del su e giù cortese
la folla che in silenzio si dimette.
acredine del vuoto la sfilza darsena
quando dimori il limbo del più bello
dentro le more delle siepi al senso.
qui nella penombra che conviene serre
sta scritto il breviario della via qualunque
il lutto della vergine Lolita.


54.

a me conviene oscurare il tempo
adempiere ad un disguido come nascere
gemellata col pompiere del relitto.
in palmo alla pienezza dell’olivo
c’è mia madre che mi consuma e miete
la rondine che ero col becco aperto.
in testa alla barriera dello scrigno
non basta lo studiolo benemerito
né l’arringa di coprirsi il viso.
la furia che combatte il gran ladrone
dà filo da torcere al silenzio
che nulla giustifica o redime.
in cima alla scalata della fattucchiera
c’è la scuola elementare c’è la reggia
che giganteggiano a ritmo di baci.
tu non potrai più essere guardingo
visto che il podio della luna stigia
non basta l’elemosina di tanti.


55.

la rondine che sfiata nella darsena
arrende su di sé l’ultimo velo
la tragedia del senno senza nuca.
la guerra sul sospetto della prua
ha la bàlia di capire il sogno
almeno la sconfitta d’ogni gerundio.
in lutto o contumacia la riva di pece
ha frazioni di addendi senza somma
né la canzone che accomodi l’amore.
speranze non ne vuole la risacca
questa carenza cronica di nido
verso l’adempirsi del righello a tacche.
così primizia e leccornìa d’avaro
sono le milze degli schiavi in corsa
che gettano le ronde allo scompiglio.


56.

di me che sono questa età di tarlo
parli il soppiatto delle lune scure
le merci nere delle frottole più cupe.
meringa amenità il tuo commercio d’essere
scarpa bucata con il sole ai lati
così insieme una carretta al trotto
col riso del fratello giusto nel clown.
meringa sotto l’abaco fiscale
sta la nenia di fasciare il secolo
catastrofe di terra ernia del volo.
piombo il cielo di trincea celato
vaga la doglia del ricatto boia
questa lanterna fallica di buche.
incontro al fato non darò più niente
solo l’elemosina del dubbio.


57.

l’astro in collina che calunnia il sole
unghia di luce estro d’avvampo
oh quale musica è scampo di condono
sul lastricato d’esito palustre
e genio d’eloquenza non ha il lupo
del mistico conforto dello stagno.


58.

sotto la curva della frusta
gimcana provvida di labirinto
gita al sole dopo la neve.
di te vorrò l’arrivo e la fortuna
il trauma magico di volerti bene
sotto l’inguine del mare.
includo a te l’arena e la visione
questo pertugio che ti chiama nudo
nonostante l’universo dell’intorno.
maretta di cosmesi bella vedetta
questa meringa simile con l’angelo
con la gente che chiama le stazioni.
qualora tu tornassi nel guaio del bambino
dammi la frotta delle ortiche buone
la nenia come fiamma di rivolta.


59.

non ho più secoli d’avanzo
né gerle per le nuvole
dacché l’avvento della letargia
fece di me la genesi del lutto.
tra combriccole di nervi
vocio di credulità l’amore
che invece inventa liti di coccole.
viene l’erta covo di briganti
vigilanza la rondine cortese
grazia d’acrobata la lezione giglio.


60.

tutto un gioco di luci a ritrovar l’avvento
della faccenduola bella la cornucopia
la darsena al sudario dietro il paravento.



[Le strofe precedenti di VIGILIA DI SORPASSO sono uscite su "Carte allineate" in data 27-11-2010, 17-12-2010, 19-1-2011, 21-3-2011, 7-4-2011]

19/05/11

Kwak Jae-yong, 클래식 (THE CLASSIC)


[Destiny was the sense of time in that ancient clock... (Seoul 2010). Foto di Marzia Poerio]


Corea, 2002. Soggetto di Kwak Jae-yong. Musica di Jo Yeong-wook e Choi Seung-hyun. Con Jo In-seong, Jo Seung-woo, Son Ye-jin

Il film inizia con un decesso e la scoperta di un diario della madre da parte di Ji-hye (interpretata dall'accattivante e nota attrice Son Ye-jin); e alterna la storia di quest'ultima a quella della madre con simmetrie in parte modificate (la madre giovane di cui erano innamorati due ragazzi e la figlia il cui innamorato è conteso da un'amica). Un destino difficile, col corollario delle imposizioni familiari, impedì alla madre di sposare l'uono dei suoi sogni, ma la figlia ritrova, senza saperlo fino alla fine della pellicola, il figlio di costui, coronando la storia materna come in un fato di reincarnazione.

Questo film, che ha avuto successo tra il pubblico coreano, riconduce alla vita rurale con i suoi ritmi e colori, in contrasto con la vita di città, si incentra su una storia d'amore destinata a suscitare commozione e contrasta l'ambiente sociale dei meno abbienti con quello dei ceti privilegiati, in ciò riallacciandosi a elementi che si riscontrano anche nella produzione televisiva di fiction più formularica.

Si tratta tuttavia di una pellicola di qualità, che segue i ritmi lenti delle inquadrature di paesaggio, liricizzato tramite la recitazione e le situazioni umane; e utilizza i meccanismi del riconoscimento finale e della casualità con reticenza riservata, ottenendo così effetti poetici senza peraltro rendersi esente da ironia e godendo di una colonna sonora in parte echeggiante suoni occidentali degli anni Settanta, per quanto però THE CLASSIC abbia riscosso consenso in Corea anche perché si inserisce in una vague che punta sulla rappresentazione di elementi sociostorici di identià nazionale.

Un bel film, che scorre fluido e non annoia.

[Renato Persòli]

17/05/11

Augustus Young, DESIGN FOR A BOTTLE OF WINE


[Huib Fen, VISITING Mr MORANDI (2011)] [1]

If a drop of wine dribbles down the bottle you must lick it off

1. Up in the vines, sweetness in the air, beauty passes, a basket under her arm.
Ripeness carries the promise of joy and its progeny. The wind rumoured amongst the olives knots the vines. They stagger into winter.

Dryness, that made for easy picking, is dust under her step. Snake pits of grapes on the backs of trucks descend. Sourness rises from the town. The trampling has begun.

2. The essence of wine is its residue. The volume of cru is down this year due to the heat wave. Scarcity has heightened both the proof (average 15%) and colour (martyr reds, lime tinted rosé and pure gold white).

The church bell tolls. Silent prayer is the order of the carabineer.

3 Harvest Dream

Up in the hills sweetness in the air
beauty passing a basket under her arm
ripeness carrying the promise
of joy and its progeny

The wind rumored amongst the olives
knots the vines they stagger into winter

The dryness that made for easy picking
is the dust under her step
as she descends to where
the trampling has begun

Sourness rises from the town

Next spring I will drink her in


[NOTE]

[1] Foto inviata da A. Young, che aggiunge questa nota.

VISITING Mr MORANDI is based upon photographs and objects from Morandi’s house in Ferrara.

Visual artist and poet Huib Fens started three years ago a new series of paintings on the theme of the work spaces of favourite authors and artists. Last year he changed his painting tools for a computer. That lead to quasi realistic images, digitally recreated and interpreted.

The underlying motif is the desire to dwell in these rooms, to sit and write or paint there. What unites these paintings is the presence of Huib Fens’s own table, chair and notebook. Fear of the block is the sub-plot.

Further information: HUIB FEN.

15/05/11

Annamaria Ferramosca, DUE POESIE


[(Linguistic) trees (or so) in the city (of Nice). Foto di Marzia Poerio]
http://www.blogger.com/img/blank.gif


1.

UNA LINGUASILENZIO FELICE LARGA PIOVE

una linguasilenzio felice larga piove
penetra cantapetali dentro nel
dentro innocente sanguelinfahumus
permea senso senza
metallo che risuoni

da muro a muro da spina a spina
i dispersi al tocco sussultano si stringono
di fronte è la gelida notte
lontane le due torri come mammuth
emersi domani dalle nevi

ecco che galleggia sopra di me un Atlante
di sperdimento avvampa
così intensa la musica
ha forma d’arpa il telaio
tutti quei pesi di terracotta
a piombo come ghigliottine
ora stanno in levità di vibrafoni
nel primitivo piegarsi delle spighe
spose che vanno, culle
luce sul confine tra carezza e lama

abbiamo consegnato le ferite
insieme alle armi, preferito la festa
le lunghissime tavole sonore
il miele delle nozze diffuso
tornare nudi su terra nuda
farsi gola d’agnello mille volte
se occorre ancora sangue
per il gocciolio della fine

porte del mondo che ritornano alberi
città come campi da seminare
illuminati a regno piove
un silenzio-beatitudo
sonno infantile, lava che pietrifica

una fila di pietre da riscrivere


A LANGUESILENCE LONG AND HAPPY RAINS

a languagesilence long and happy rains
penetrates petalsongs inside in the
innocent inside, bloodlymphhumus
permeates meaning with without
metal that might resound

from wall to wall from thorn to thorn
dispersed people are startled by touch, reunite
faced with the freezing night
the two towers are gone like mammoths
emerging tomorrow from the snow

now the Atlas mountains float
over me bewildering, burning
the music so intense
the loom looks like a harp
all those terracotta weights
like leaden guillotines
now light as vibraphones
among the primitive bending of wheat
brides ambling, cradles
light on the border between caresses and blades

we’ve handed over the wounds
and our arms, we’ve chosen the feast
its long boisterous tables
wedding honey flowing
we’ll return naked to naked earth
be the lamb’s throat a thousand times over
should blood be required once more
to drip slowly to an end

doors of the world back to trees
cities as fields to be sown
lit like kingdoms it’s raining
beatitude-silence
a child’s sleep, lava that petrifies

there’s still a row of rocks to be rewritten


2.

AL CAPOLINEA

salire sul 160, capolinea paziente
tra i due platani - sempre alla stessa ora -
muta solo l’umore, come le nuvole
uguale la mancanza

il posto che preferisco è quello in fondo
al centro della fila orizzontale, il migliore
per assistere al film, puntuale:
piccola folla composta, in parte seduta in parte in piedi
si parla con sguardi, diffida di chi le sta accanto
lo ama lo cerca lo urta
nell’inclinazione sottile dei corpi
ciecamente affidandosi alla fatalità del moto
ognuno coprendo il suo cosmico tratto di asfaltocielo

e non so perché mi commuove
tutto di questo bus fendinuvole:
la marcia il freno i sobbalzi il contrasto dell’aria
il riflesso sul vetro del pianto stellare
il turbinio del sangue sottopelle
- nostalgia del bigbang - se il cuore
sta meditando di rallentare, predisporsi al viaggio

guardo il treno correre nelle pupille di chi mi è davanti:
piccole locomotive accendersi - un bimbo mi fissa curioso -
curiosa anch’io di vedere la sua fermata di scintille
decido di non scendere ancora
mi abbarbico al sostegno di uscita
(il viale continua oltre la piazza ?)

infine che cosa ho fatto se non
lasciarmi andare sulla scia dei nomi?
amicheamici che mi aiutate a scenderesalire
gioisco del vostro tocco non so darvi in cambio
che qualche ritmo e un brusìo
di un arrivo lontano
che già è partenza


AT THE FIRST STOP

getting on the 160, the patient first stop
between two plane-trees – always at the same time –
only the mood changes, like the clouds
while loss remains

my favourite seat is that one down the back
in the middle of the horizontal row, the best
for watching the film that punctually unfolds:
a small prim crowd, some sitting some standing
chatting with glances, mistrusting whoever’s beside them
loving them looking for them knocking against them
in the gentle give of bodies
blindly resigned to the inevitability of motion
everyone covering his own cosmic bit of asphaltsky

and I don’t know why everything
about this cloud-cutting bus moves me:
the speed the breaks the jolts the contrasting air
the reflection of wailing stars on the glass
the swirling of blood under the skin
-a hankering for the big bang- while my heart
is thinking of slowing down, preparing for the journey

I watch the train go by in the pupils of the person in front of me:
little engines lighting up - a curious child stares at me -
as I am curious to see his sparkling stop
I decide not to get off yet
cling to the pole at the exit
(does the route go beyond the piazza?)

in the end what have I done except
wander willingly over a wake of names?
menwomen friends who help me get on and off
I rejoice in your touch in return can only give
the odd rhythm and the hum
of my arrival long ago
that is already a departure


NOTA

Le due poesie sono tratte dalla sezione INEDITI del volume antologico di Annamaria Ferramosca, OTHER SIGNS, OTHER CIRCLES: A SELECTION OF POEMS: 1990-2009 (Translation and Introduction by Anamaría Crowe Serrano), New York, Chelsea Editions, 2009. Altre poesie di questa raccolta sono state pubblicate, per cortesia dell'autrice e della traduttrice, su numeri precedenti di "Carte allineate".

13/05/11

Andrea Comincini, DUE POESIE

1.

IL PESO DELLA SERA

Gli spiriti sussurrano
Tenere parole tristi
Della loro vita passata.
Ricordi di lunghe passeggiate ombrose
Sotto alberi di pietra,
Figli adorati di cui non ricordano il nome,
Carezze all’amico cane in qualsiasi casa
Vuota.
Sfiorano i ricordi lentamente
Come fossero vite passate
Di uomini ignoti,
e gli spiriti tremano disperati
e piangono
e si strappano
e imprecano
perché non vogliono morire
non vogliono dimenticare
non vogliono sapere
o appassire
e si aggrappano alla vita
strappandomi la promessa
di non dimenticarli.


2.

CONGEDO

Per Stefano Cucchi

Il sangue
Disegna un estuario
Sul pavimento anonimo
Del dottore,
che taglia e cuce, poi seziona
ed incasella
il corpo del giovane Stefano
ucciso
dallo stato
non per rabbia – ci dicono
né per errore,
ma per benevolenza non dovuta.


NOTA BIOGRAFICA

Nato ad Alghero nel 1976, Andrea Comincini ha scritto testi saggistici e creativi; si è occupato di C. Michelstaedter nel RICHIAMO DELLA PERSUASIONE, Latina, Yorick Libri, 2007.

11/05/11

Cristina Cona, I VIAGGI DELL'EMOZIONAUTA

Un nuovo spettro si aggira per l'Europa: l'emozione. A differenza del suo predecessore, vilipeso dai benpensanti e perseguitato da Metternich e Guizot, quello odierno, segno evidente di sensibilità e partecipazione umana ("I care"), incontra vasta indulgenza, quando non universale, schietta approvazione, al di là di tutte le barriere di età, sesso, classe e nazionalità (perfino gli inglesi –strascichi dell’effetto Diana? - trovano sia di bon ton emozionarsi, o per lo meno essere "in touch with one's feelings"). E' un impero tentacolare (altro che la mondializzazione!) che ormai pervade tutta la realtà umana: dai concerti rock ("Quando l'ho visto arrivare in palcoscenico ero così emozionata che mi sono messa a piangere"), al turismo ("Provate l'emozione di passare la notte in un castello"), alla letteratura ("Il Voyage di Céline: un libro pieno di emozioni"), allo sport ("Come hai vissuto questa tua vittoria?" "Con tantissima emozione"), alle pagine personali su Internet ("Ciao, mi chiamo Federico, sono nato sotto il segno dell'Acquario e le cose che mi emozionano di più sono.....").

Già, l'Internet. Da quando è diventato fenomeno di massa le emozioni sembrano aver subito una crescita esponenziale: oltre a farne provare di inaudite, infatti, offre anche la possibilità di condividerle! E non solo con mamma, zio Peppino, la morosa e i compagni di classe, ma, letteralmente, con il mondo intero! E' nato così l'emozionauta, singolare amalgama di sentimentalismo, protagonismo e ricerca della banalità ad ogni costo, convinto che i particolari più triti e gli eventi più rigorosamente privati (o che dovrebbero esserlo) della sua quotidianità meritino di essere pubblicizzati a livello planetario (è noto che in Australia la vita appare priva di significato senza la foto del cane di uno che vive a Poirino).

Logico dunque che fra i campi d'intervento privilegiati dell'emozionauta vi siano i viaggi: che da una parte gli procurano emozioni a getto continuo, e dall'altra gli permettono di creare “Pagine di viaggio" corredate di foto, disegnini, frasette in un inglese approssimativo che dovrebbero permettere a tutti la massima partecipazione emotiva alle sue avventure. Una volta tutt'al più si invitavano gli amici a vedere le diapositive o si leggeva il diario di viaggio al fidanzato. Oggi si mandano in giro per il mondo pezzi come quello che segue, inventato ma -purtroppo -non molto diverso dai resoconti veri che appaiono in rete: provare per credere.

(Il brano in appresso è preceduto da venti pagine di prodigiosa insipienza in cui l'emozionauta racconta nei minimi particolari il viaggio da Pieve Lomellina ad Orio al Serio e il volo verso Dublino. Finalmente appare l'Irlanda e si arriva al dunque: ammesso e non concesso che in questo tipo di narrativa si possa parlare di "dunque").

"Ad un certo punto guardo dal finestrino e vedo sotto di noi la costa irlandese. Provo una grandissima emozione: sto per arrivare nel paese degli U2!!!! Ricordo quella volta che eravamo stati al concerto: quando ho visto Bono non ci credevo, non mi sembrava vero di averlo davanti a me in carne ed ossa, continuavo a guardarlo con le lacrime agli occhi, tant'è vero che Fabrizio cominciava a ingelosirsi. Chissà se tutti gli irlandesi sono belli e bravi come Bono!!!!

La prima cosa che mi colpisce arrivando è che tutto è molto verde. Perfino all'interno dell'aeroporto hanno i tappeti verdi, forse per imitare l'erba dei prati. Un'altra cosa strana sono tutte quelle scritte in celtico, ne avevo già sentito parlare, ma viste così dal vivo bisogna dire che fanno un certo effetto. Cerchiamo l'uscita degli autobus e Milena si mette a chiedere alla gente dove dobbiamo andare, ma fatica parecchio a capire. Anche sull'autobus è la stessa cosa. Io l'inglese proprio non lo so (a parte tutte le parole di "Sunday Bloody Sunday", che ho imparato a memoria), ma lei ha fatto quattro mesi con il Linguaphone e credevo che ormai lo parlasse benissimo. Pazienza. Domani per fortuna ci troviamo con Cinzia, che è qui per fare il First Certificate e perciò non dovrebbe più avere nessun problema.

L'autobus è pieno di bambini che ci guardano ridacchiando. Mi piacerebbe tanto sapere che cosa dicono! Intanto, grossa delusione: tra l'aeroporto e la città non vediamo neanche una mucca, ma solo tante casette basse. Il cuore mi batte forte forte perché non molto lontano di qui, nella zona nord di Dublino, è nato Bono. Quando arriviamo al capolinea si è messo a piovere (siamo in Irlanda!!!) e dopo tanto girare e chiedere alla gente (è vero che tantissimi hanno i capelli rossi!! ! Ed è pieno di carrozzine con dentro neonati bellissimi) arriviamo nel Bed and Breakfast che ci ha detto Cinzia. La signora è molto gentile, purtroppo non capiamo una parola di quello che dice, comunque Cinzia ci ha assicurato che nel prezzo è compresa una vera colazione proprio all'inglese, con il bacon, le uova e tutto. Dopo aver sistemato le nostre cose in camera (è una stanzetta tutta rosa con il ritratto di San Patrizio sul caminetto) prendiamo gli zainetti e usciamo.

Questa prima sera è un po' un guaio perché non sappiamo tanto bene dove andare (meno male che domani c'è Cinzia, che è qua da tre settimane e quindi conosce perfettamente Dublino), però è anche molto emozionante: all'ufficio del turismo irlandese di Milano mi avevano dato una piantina con l'itinerario degli U2 e riusciamo a trovare lo studio dove hanno inciso il primo album!!! (Segue foto di edificio del tutto insignificante). Domani voglio assolutamente vedere il ristorante dove Sinead O'Connor serviva la pizza prima di incontrare Bono. Adesso però devo proprio ricaricare il cellulare (da quando sono arrivata avrò già mandato un centinaio di messaggini !!!) e telefonare a casa in Italia, come promesso, poi mangiare da qualche parte (io i piatti irlandesi non li conosco, però Cinzia dice che è meglio evitare la pasta perché non la fanno tanto bene), e poi andremo in un pub per provare l'emozione di vedere la gente che beve la Guinness (però strano, non abbiamo ancora visto nessun locale con l'insegna "pub").

Finora la mia impressione è che [...] (continua in questa vena per un altro centinaio di pagine inframmezzate da foto di pecore, U2, bambini in bicicletta, spiagge deserte, insegne di pub e altre immagini assolutamente inedite del paesaggio irlandese).

09/05/11

Lee Myeong-se, 엠 (M)


[Seoul 2010: Chandeokgung and late modernity. Foto di Marzia Poerio]


Corea del Sud, 2007. Testo e sceneggiatura di Lee Myeong-se. Con Kang Dong-won, Kong Hyo-jin, Lee Yeon-hee

M è un film coreano che tende ad essere sperimentale nelle strutture narrative e nelle forme espressive mentre conserva un apparato di tipo popolare, radicato nel melodramma e nella sospensione di incredibilità delle storie sentimentali in cui il caso s'incontra con le traversie dei protagonisti.

La storia è quella di Min-woo, un autore di narrativa che sta scrivendo un romanzo intitolato M: iniziale, si scopre poco per volta, con incursioni tra presente e passato e tra allucinazioni e realtà che spezzano le cronologie tradizionali della fabula, di una ragazza di cui era innamorato anni prima, Mimi.

L'andamento degli eventi, oltre che fluttuante tra le dimensioni temporali, oscilla tra una condizione di sanità e il sospetto della malattia mentale. Al contempo assume le caratteristiche di un noir nell'inchiesta non ufficiale che lo scrittore e dei suoi amici compiono per scoprire chi sia la Mimi della vita reale.

Infine emerge che si trattava di una fidanzata che il protagonista era stato costretto a lasciare, dovendosi spostare dalla provincia a Seul, ma che aveva richiamato presso di sé appena possibile pur senza mai vederla. Mimi non era venuta meno all'impegno preso col fidanzato, ma era deceduta in un incidente stradale a insaputa di lui proprio il giorno in cui era giunta nella capitale. Questo elemento è quello tipicamente melodrammatico degli sceneggiati televisivi, un elemento di gioco della fatalità che abbiamo riscontrato in vari casi nella produzione mediatica sudcoreana. Nondimeno, si inserisce all'interno di un'opera talmente carica di riferimenti metatestuali che vien fatto di pensare che si tratti anche in questo caso, come in vari altri del film, di una citazione di un elemento strutturale tipico, di un gioco con il genere lacrimevole. Al contempo, ed è questo che ci persuade, resta il suo significato tragico e commovente: l'elemento umano, innestato su un'interpretazione psicanalitica, secondo la quale lo scrittore protagonista era afetto da un'amnesia dovuta al trauma del'abbandono. Il testo che Min-woo sta scrivendo su Mimi è in tal senso una maniera di curare quell'amnesia, col che si presta attenzione anche al potere di anamnesi e di catarsi dell'arte.

Il primo amore, l'evocazione del passato preindustriale della Corea, una crisi coniugale che viene risolta, la crisi del soggetto e la perdita di memoria conferiscono caratteri di complessità e rappresentazione sociale a questo film compleso e godibile al tempo stesso, in cui il colore cupo delle scene ambientate nella casa dello crittore, dunque nella modernità, contrasta con la coloritura più variegata e naturalistica delle scene che si svolgono nel passato.

Non mancano aspetti fiabeschi se uno degli "aiutanti magici" nella ricerca della ragazza scomparsa è il proprietario di un bar che aveva assistito al primo incontro dei due innamorati il giorno medesimo dell'apertura del locale e resta incerto se ciò avviene nella scena reale o in quella immaginaria del romanzo di Min-woo.

Il regista dichiara di tendere ad una rappresentazione che definisce “cinematic expression”, in quanto si tratta di una modalità propria soltanto del cinema e distinta dalle altre arti parallele[1].


NOTE

[1] Han Cinema


[Renato Persòli]

07/05/11

Angelo Pini, NODO (D'AMANTE?)

Sciolto il nodo, la gassa d'amante
orfana la corda rilasciata
fra 2cuori
traversa il legame ad abbracci
nei vuoti di memoria il destino
e i sigilli ricerati tappano i buchi
che cantano
sciami di lacrime tracciano strade
sfumavano anch’essi alla prima nebbia
sagace e metodica la tua mano era piena d'incroci


oltre la mente ancora il mito
scaraventato in strada
per tenerezza di sguardo
nella città nominata
dimentico di dissuaderti,
cerco , una coincidenza o un avventura
all'inferno che perdo
col cerino acceso
finchè il corpo fuma
la piccola morte vive
il segno annuncia il naufragio
dei sigilli, le vibrazioni proseguono
la lingua aliena



NOTA

Il gioco di parole, il nodo del tipo "gassa d'amante" (cfr GASSA), ma con i vari legami associativi che semanticamente trasmettono questi termini in apertura.

Tramite il linguaggio, con rilanci sperimentali, si perviene a dirli quei concetti perenni: le "lacrime", il "destino", l'"inferno". Frattanto la lingua interrogata si rivela "aliena": ma lo è veramente?

O è forse una lingua che cerca di esprimere quel che la tarda modernità giudica dicibile solo per vie oblique che non ricadano nel melenso e nel ripetitivo?

[RB]

05/05/11

Enrica Ferrara, CALVINO E IL TEATRO, STORIA DI UNA PASSIONE RIMOSSA

London, Peter Lang, 2011

Enrica Ferrara’s essay explores a side of Italo Calvino’s work which has partly remained in the shade. This attempt to work on an important and not completely examined topic is in itself one of the merits of this essay.

Reasons are given for the difficulty of the task in relation to Calvino’s early theatrical works. Some of these works are still unpublished and they are unfortunately not available to the scholar’s consultation. Some other works were rejected by the author and destroyed. Ferrara undertakes a work of reconstruction of the author’s theatrical poetics in the early 1940s by examining attentively Calvino’s correspondence with Eugenio Scalfari.

Later on in the late 1940s and 1950s Ferrara attempts to clarify both why Calvino rejected his early work and why he moved on towards mainly narrative rather than theatrical texts. Some of the material she uses is composed of so far unpublished reviews.

One of her answers is that Calvino’s politics had become more authentically and clearly antifascist, in fact he joined the Communist party beside fighting in the Italian Resistance movement. As a result of his newly focused politics, Calvino changed his views on some mof the authors he had considered positively in earlier years, in particular Pirandello and D’Annunzio. If, on the one hand, Pirandello was still valid in some respects, it was important to take distance from D’Annunzio who was now seen as a decadent author and was disliked by Communists. On a political level, Calvino also modified his judgment on foreign authors such as Bernard Shaw. Partly it was politics that contributed to Calvino’s conversion away from the writing of plays since fiction appeared as a more popular genre. Additionally there were commercial motivations.

Ferrara shows how, in the following years, Calvino sided by Brecht’s Marxist aesthetics instead of Lukacs’, and this choice certainly suited his experimental vein. Some of Brecht’s views on theatre were transferred onto Calvino’s own poetics. Other influential authors included Wilder. Focus on Bertold Brecht and Thornton Wilder is another of the merits of Ferrara’s book.

After leaving the Communist party and moving on also in the aesthetic field, some theatrical texts were written and published. Among the interesting results of this examination, may I insist especially on Ferrara’s view that, if the above mentioned texts are read in relation to some of Calvino’s other texts, most of all the short writing Dall’opaco, an interest in the allegory of theatrical space in connection with the native land and the early years of work-life can be identified. It would seem that in the last decade or so of his life, not only Calvino revitalized the weight of the unconscious but also returned to his vocation as a playwright. His initial tendency towards the theatre would then appear to have been psychoanalytically removed and partly recuperated in later years. This is a vital and new interpretation.

For all the reasons I have mentioned, and for other observations which this book contains, I consider it a relevant contribution to Calvino’s criticism.

[Roberto Bertoni]

03/05/11

Jang Jin, 아는 여자 (Anŭn yŏja) - SOMEONE SPECIAL

Corea del Sud, 2004. Con Jeong Jae-yeong e Lee Na-young

Se è vero che questo film è un remake dello statunitense NEVER SAY DIE (diretto da Elliot Nugent, 1939), si tratta, più che di un rifacimento, di uno spunto, distaccato dal precedente per pregi di leggerezza, riduzionismo positivo della gag a ironia, ambientazione in un milieu sociale comune anziché miliardario.

Storia di equivoco, amore, sfortuna, rappresenta il giocatore di baseball Dong Chi-sun in un momento cruciale e declinante della carriera. La fidanzata lo lascia. Gli viene diagnosticata una malattia letale. Convinto di morire nel giro di due mesi, ipoteca la casa, presta dei soldi a un ladro per pietà, sbatte la palla fuori campo nel corso di una battuta per verificare una strana idea balzata in testa a una vicina di casa, Han Yi-yeon ("Chissà che effetto farebbe sul pubblico", gli aveva detto ridendo). Troppo tardi, quando salta fuori che la diagnosi era erronea e la morte non è prossima, Chi-sun ha perso denaro e lavoro, ma ha acquisito qualcosa di più importante: l'affetto di e per Yi-yeon, che lo amava segretamente da dieci anni, da quando andava a scuola e ne aveva quattordici.

Il personaggio di Yi-yeon è quello meglio delineato a nostro avviso, ottimamente impersonato da Lee Na-young, un'attrice introspettiva, che non si presenta con appeal divistico, ma piuttosto con un portamento dinoccolato, il sorriso accennato e un po' mesto, una contenuta eccentricità timida di comportamento. La riservatezza del personaggio di Yi-yeon è tale che non penetra la rete di difese di Chi-Sun fino alle ultime scene del film, in cui corre da lei e, con antifrasi rispetto al melodramma tradizionale, ma con minimalismo postmoderno, le chiede quale sia il suo nome (che nonostante la frequentazione non conosceva ancora, già questo un elemento di ironia anticonvenzionale da parte del regista), quale sia il suo piatto preferito, quale sia il suo hobby, ripetendo una delle domande data la confusione di un cuore intontito dal primo vero amore che non aveva ancora vissuto nonostante l'età. Psicologicamente delicato e non melenso, insomma,

Gli interni sono in un vicolo di case coreane all'antica, con la corte seguita dal portico su cui si affacciano la cucina e due stanze; prevale, tra i materiali, il legno. I personaggi di questo 2004, di generazione tra ventenni e trentenni, hanno abitudini tradizionali nell'alimentazione. Le posture sedute sono sul pavimento anziché su sedie. Frattanto viene anche inquadrata in esterni la grande città col traffico perpetuo e la modernizzazione accelerata. Pertanto la pellicola si presenta come un inquadramento del rapporto tra locale e globale e tra passato e presente.

L'immaginario si alterna al reale. Il riferimento al linguaggio filmico è sottile e intelligente. A un certo punto Yi-yeon e Chi-sun guardano un film che il protagonista, che svolge anche funzioni di narratore fuori campo, giudica sciocco nel proporre un amore che si trasmette magicamente per mezzo di un filo elettrico, ma che il regista ripropone alla fine della vicenda in via metaforica quando l'innamoramento coglie proprio Chi-sun.

Forse, dopo queste notazioni, non è necessario aggiungere che, per la sua dose di realismo magico e di minimalismo lieve e sentimentale, ci è piaciuto SOMEONE SPECIAL (il cui titolo coreano in realtà significa UNA DONNA CHE CONOSCO). Il cinema sud-coreano ci sta attraendo film dopo film con un fascino discreto.

[Renato Persòli]