[Hong Kong Taxi (2017). Foto Rb]
Gina Marchetti, “White Knights in Hong Kong”. Sottotitolo: “Love
is a Many-Splendored Thing and The World of Suzie Wong”, Capitolo 6 di G.
Marchetti, Hollywood and the “Yellow Peril”, University of California Press,
1993, pp. 110-124
Alcuni rilievi di Marchetti sono condivisibili anche
se non con l’assolutismo con cui sono avanzati nel suo libro, in particolare,
aggiungendo per cautela in diversi casi ma non sempre,
il fatto che “the myth of romantic love and the myth of the romantic hero are
inextricably intertwined in Hollywood fiction”; e quando le storie si svolgono
in Asia, “the romantic hero functions as a white knight who rescues the non-white
heroine from the excesses of her own culture while ‘finding’ himself through
this exotic sexual liaison” (p. 109).
Tuttavia, altri rilievi paiono a
chi qui scrive un che azzardati. Nel caso di The World of Suzie Wong (una produzione anglo-statunitense diretta
da Richard Quine nel 1960, con William Holden e Nancy Kwan come interpreti
principali) andava forse sottolineato che il film deriva, con cambiamenti anche
notevoli, da un romanzo dell’autore inglese Richard Mason, il cui protagonista
venne trasformato in statunitense dalla versione cinematografica.
Hollywood
semplifica con una serie di cliché interculturali il rapporto tra l’occidentale
a Honk Kong e la ragazza del luogo, una prostituta che inizialmente si finge
raffinata ereditiera per poi rivelarsi nella sua professione, che svolge per mantenere
la figlioletta e sopravvivere, pur mantenendo un fondo etico pronunciato e fiducia
nella propria cultura. Dopo varie vicende, l'intreccio si risolve in un matrimonio.
Alcuni aspetti della realtà di
Hong Kong vengono conservati nella pellicola, ma altri sono semplificati al
punto da risultare stereotipati. Va però considerato che il tono di commedia,
prevalente nonostante la presenza di momenti tragici, come la slavina in cui
perisce la figlia di Suzie (il cui nome “vero” nel film è Mei Ling), e lo
schema della storia sentimentale non avrebbero consentito, a un regista che
volesse restare nell’ambito delle “regole” del film di genere, più di tanto
spessore antropologico.
Va anche notato che l'attrice protagonista, nella vita reale, è
nata a Hong Kong da padre cantonese e madre britannica, cioè venne scelta un’attrice
di provenienza asiatica che si riconosce nella cultura d’origine (si veda l’intervista del 2010); e la lingua adottata in qualche
rapida occasione nei dialoghi anche di una parte delle sue coadiuvanti nel film, per accrescere autenticità, è il cantonese; meno
autentica, nondimeno, la ricostruzione in studio di Kowloon; al contrario, invece, dei particolari delle strade, che vennero riprese nella vita reale, come pure è reale il traghetto verso il centro.
Nel film, le contraddizioni tra culture sono in effetti alcune di quelle individuate da Marchetti: il rapporto tra
Oriente e Occidente; e tra ricchezza e povertà.
Ci pare invece meno pronunciata
l'opposizione tra etnie e tra indipendenza e dipendenza dell’essere femminile. Bisogna
semmai notare che il personaggio protagonista maschile, Robert, pur essendo
occidentale, si innamora della giovane di Hong Kong e ne è ricambiato malgrado
le differenze di nazionalità, cultura e professione: quindi non sembrerebbe
insincera la rappresentazione dell’affetto che riesce a superare i pregiudizi. Quanto alla supposta segregazione
di Mei Ling nel mondo maschile di Robert, notata da Marchetti, anche questa,
nell’economia narrativa del film, pare a chi qui scrive piuttosto una scelta di
lei; e corrisponde dopotutto allo stato dei rapporti di coppia sia occidentali
che orientali in quegli anni.
Interessante, invece, la
notazione di Marchetti che nella versione cinematografica si apre un contrasto
tra liberalità ideologica statunitense e pregiudizio coloniale britannico, il secondo visibile
nel personaggio di Ben, che inganna Suzie, carpendone l’affetto per poi
abbandonarla. Anche in questo caso, però, vanno fatte delle precisazioni, perché
alla figura negativa dell’inglese Ben si contrappongono quelle mentalmente
aperte verso l’Oriente dei personaggi, anch’essi inglesi, di Kay, innamorata di
Robert, e del padre banchiere di quest’ultima.
Non sarà un capolavoro Il mondo di Suzie Wong ma, per
concludere, è un film che, nonostante i suoi limiti interculturali e d’altro
tipo, si lascia guardare con un sorriso e non manca di leggerezza.
[Roberto Bertoni]