Da un lato, a livello di genere,
questo romanzo si inserisce nella fantascienza apocalittica, non certo insolita
in Giappone e allegorica, da un altro e coesistente lato, di archetipi della
distruzione derivanti dalla situazione geologica del paese, caratterizzata da
terremoti e sommovimenti oceanici, di cui caso più recente è stato lo tsunami
del 2011, accompagnato da un altro elemento di giustificato timore di
annichilimento proveniente dall’energia atomica, in questo caso la centrale di
Fukushima, ma l’archetipo, di cui è ricorso proprio quest’anno l’anniversario
infausto, è logicamente il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki nella
Seconda Guerra Mondiale.
Nel romanzo di Komatsu,
l’ipotesi, sostenuta da varie argomentazioni documentarie nei dibattiti tra
personaggi-scienziati, è che, a causa della frizione delle masse terrestri
sommerse, si determini una serie di terremoti e onde oceaniche che
destabilizzano la struttura geologica del Giappone, facendolo affondare. In
breve, del resto citata nel corso della narrazione, si ripete la leggenda di
Atlantide in chiave modernizzata.
La storia è raccontata in terza
persona, affidandola alle azioni e ai pensieri di alcuni personaggi principali:
l’anziano e potente Watari, l’unico che crede all’ipotesi di auto-sommersione
avanzata dallo scienziato Takodoro, delle isole nipponiche, inizialmente da
molti ritenuta fantasiosa e inattendibile, per lo meno fino a quando le prove
incontrovertibili non dimostrano il contrario, mettendo in rilievo una natura
matrigna e al contempo non condannabile per questo.
Watari e Takodoro non si mettono
in salvo. Il primo muore per vecchiaia un istante prima della deflagrazione
finale nella sua zona. Il secondo, con motivazione che spiega essere
patriottica, decide di perire col proprio paese, entità che ritiene superiore
all’individuo, e mancando la quale anche la vita personale perde significato.
Takodoro attende la catastrofe invece di salire su una jeep diretta al porto, da
dove salperà una nave di superstiti diretta verso acque sicure all’estero.
Sopravvive invece, quasi
miracolosamente, un terzo protagonista, Onodera, sommergibilista che
inizialmente esplorava le profondità dell’oceano alla ricerca di falde
pericolanti, in seguito in crisi esistenziale per la perdita dell’amata Reiko e
del paese natio. Gli resta vicino Maiko, un personaggio che sembrava secondario
e si rivela al contrario fondamentale, essendo l’ultimo che compare
nel libro e ne chiude l’arco temporale immaginario.
Quale faccia del Giappone
simbolizza Maiko tra i vari personaggi che tutti hanno un risvolto iconico?
Forse la giovinezza stroncata dalla perdita di una mano nel disastro e la
lealtà per Onodera, metamorfosando in moglie da entreneuse che era nei primi capitoli.
Il nazionalismo è alquanto
pronunciato, in termini di attivismo e altruismo tesi a salvare più persone
possibile; e, anche se si tratta di un’ideologia espressa, è non esente da
riscontri nella realtà, dato che si è visto come alle catastrofi questo popolo
abbia saputo reagire ricostruendo.
Piuttosto attuale il problema dei
rifugiati, qui espresso tramite la difficoltà del personale politico nipponico nel
romanzo a trovare ascolto presso gli altri paesi nelle richieste di asilo.
Marcatamente maschile è il tono
nella rappresentazione dei rapporti amorosi. Se le giovani raffigurate nel
romanzo sono sessualmente libere, sono però contemporaneamente sottomesse alle
idee del matrimonio, cui aspirano sommamente in senso tradizionale, e alle direzioni
impresse ai rapporti sentimentali dai loro compagni.
Un particolare integralmente
modificato, questo, in un diverso e ancor più moderno contesto di comportamenti
sociali e di liberazione femminile, nella versione cinematografica del 2006, per
la regia di Higuchi Shinji, solo parzialmente fedele al testo romanzato. In
questa pellicola, per esempio, sui politici imbelli si impone una Ministra in
grado di esprimere leadership quieta ed efficace. La ragazza Reiko è
un’elicotterista del servizio civile e, oltre a questa professione
emancipatoria, è lei, non Onodera, a sopravvivere alla catastrofe, sebbene lui
muoia da eroe facendo esplodere delle bombe sottomarine che staccano una parte
del Giappone da quello destinato a immergersi, col che il film si conclude su
una nota, meno macabra del romanzo, di tecnologia soccorrente (si noti tra
l’altro l’uso pacifico e umanitario dello strumento bellico ominoso, la bomba).
[Roberto Bertoni]