13/07/19

Maurizio Masi, LA TRINITÀ

“Pensi alla Santissima Trinità, sempre tranquilla, sempre remuneratrice…”

Così le parole di don Alvarez, domenicano di Alcantara, nella caliente ed introversa  terra di Spagna, rimasero nella testa di Alessandro, dopo l’ammissione dei suoi peccati, una delle sue frequenti confessioni che forse assomigliavano più ad una richiesta di iuto che ad una professione di penitenza. Vagavano morbide, a tratti confortanti, come nuvole, ora conturbanti, rievocando suggestioni e ricordi del nostro viaggiatore spericolato negli animi altrui. “Sempre tranquilla, sempre remuneratrice...”: non capiva bene il significato dell’aggettivo remuneratrice, e, soprattutto, cosa doveva remunerare la Santissima Trinità? Immaginava che fosse il prezzo di una fede capace di resistere ad intemperie, a bufere invernali, fredde, esigenti come la lama della verità, e asciutte, straordinariamente gelate. Non era solo mentre, da via degli Avelli, tornava verso la fermata del bus che lo avrebbe ricondotto sui passi di casa. Così quella mattina aveva deciso che l’avrebbe risolta per sé, per il credito della sua coscienza, in mezzo a tante procelle - ecco un’altra parola che lo aveva sempre affascinato - come recitava la lapide votiva di un tabernacolo posta dai Torrigiani in ringraziamento alla Vergine per la riuscita fuga verso Firenze attraverso le campagne durante l’ultima guerra. Mentre passeggiava tra i turisti, vedeva sopra di sé, come sospesa sulla testa, l’immagine della Trinità di Masaccio nella chiesa di Santa Maria Novella. Sullo sfondo di un interno stretto, quasi uno studiolo del principe, ben definito, col soffitto a volte, l’istanza di un Padre, pietoso, ma non disperato, sosteneva il peso del braccio orizzontale della Croce. Sopra una fluente chioma bianca, piena di riccioli, un po’ cotonati, una colomba sovrastava la pienezza dello Spirito Santo, il grande Conoscitore-Consolatore. Il rosso ed il blu, i colori del sangue e del cielo, quando è sereno, quando la primavera sprizza negli alberi e nei fiori e consola quasi tutti delle sue novità. La folla minuscola degli astanti, molto in basso, osservava la scena. Sì, proprio in basso, pensava Alessandro, dal momento in cui anche lui, come tanti si era fatto adoratore di un Mistero che, in fondo, è quello della vita e della morte, del silenzio e della bellezza. Poi il bus, accalorato delle belle e piene ore di Maggio, passò sbuffando in alto fumo nero, irradiando il kerosene che, a saperlo guardare, si volatilizzava più leggero dell’aria, rapido, come un omino di fumo che pulisce la cappa del cammino con una scopa di saggina.