11/07/19

Dibyesh Anand, GEOPOLITICAL EXOTICA: TIBET IN WESTERN IMAGINATION

[Tekchen Cholin Tibetan temple (Singapore 2016). Foto Rb]

Dibyesh Anand, Tibet in Western Imagination. Minneapolis e Londra, Minnesota University Press, 2007

L’autore di questo volume rivendica una posizione autonoma dall’egemonia occidentale per le relazioni internazionali, basata sul contenuto principale della sua analisi, inerente all’esotizzazione del Tibet. Esamina la poetica (ovvero come è rappresentato il Tibet) e la politica (ossia gli effetti pratici delle rappresentazioni nel discorso identitario tibetano).

L’Occidente ha trattato la rappresentazione del Tibet, soprattutto nell’Ottocento e nel primo Novecento, ma in diversi casi ancora in tempi recenti, in modo coloniale e postcoloniale che ha considerato l’altro da sé tramite “practices of essentializing and stereotyping” (p. xviii).

Al livello delle poetiche della rappresentazione, fino agli inizi del ventesimo secolo, il Tibet “was seen as an absence on the map” (p. 36): colpiva l’immaginazione occidentale il suo isolamento, son oscillazioni tra “extremely pejorative (‘feudal hell’)” e “unmitigately idealistic (‘Shangri-la’)” (p. 38). I testi analizzati comprendono Lost Horizons di Hilton; l’antiutopico resoconto di Younghusband; i cenni di Kipling al lamaismo; i testi di David-Neel. Sia in positivo che in negativo, Anand pare ritenere che si tratti di una sovrapposizione di valori occidentali alla cultura tibetana. Nota come la spiritualità e la religione siano motivo spesso prevalenti. Assegna un posto ambiguo al libro di Harrer Seven Years in Tibet, del 1956, seguito dal film di Annaud del 1996, che “played a crucial role in highlighting Tibet in the Western popular imagination” (p. 64), evidenziandone l’esistenza concreta e insistendo sulla coincidenza identitaria con la figura del Dalai Lama.

L’interazione col pubblico globale del governo in esilio tibetano ha creato modalità identitarie, da parte dei tibetani, basate sulle rappresentazioni e gli approcci occidentali, soprattutto rilanciando la cultura tradizionale, il pacifismo, la forzosa modernizzazione portata avanti dalla Cina e, appunto, la figura del Dalai Lama come cemento ideologico.

[Roberto Bertoni]