[Tekchen Cholin Tibetan temple (Singapore 2016). Foto Rb]
Dibyesh Anand, Tibet in Western Imagination. Minneapolis e Londra,
Minnesota University Press, 2007
L’autore di questo volume
rivendica una posizione autonoma dall’egemonia occidentale per le relazioni
internazionali, basata sul contenuto principale della sua analisi, inerente all’esotizzazione
del Tibet. Esamina la poetica (ovvero come è rappresentato il Tibet) e la
politica (ossia gli effetti pratici delle rappresentazioni nel discorso identitario
tibetano).
L’Occidente ha trattato la
rappresentazione del Tibet, soprattutto nell’Ottocento e nel primo Novecento,
ma in diversi casi ancora in tempi recenti, in modo coloniale e postcoloniale
che ha considerato l’altro da sé tramite “practices of essentializing and
stereotyping” (p. xviii).
Al livello delle poetiche della
rappresentazione, fino agli inizi del ventesimo secolo, il Tibet “was seen as
an absence on the map” (p. 36): colpiva l’immaginazione occidentale il suo
isolamento, son oscillazioni tra “extremely pejorative (‘feudal hell’)” e “unmitigately
idealistic (‘Shangri-la’)” (p. 38). I testi analizzati comprendono Lost
Horizons di Hilton; l’antiutopico resoconto di Younghusband; i cenni di
Kipling al lamaismo; i testi di David-Neel. Sia in positivo che in negativo,
Anand pare ritenere che si tratti di una sovrapposizione di valori occidentali
alla cultura tibetana. Nota come la spiritualità e la religione siano motivo spesso
prevalenti. Assegna un posto ambiguo al libro di Harrer Seven Years in Tibet,
del 1956, seguito dal film di Annaud del 1996, che “played a crucial role in
highlighting Tibet in the Western popular imagination” (p. 64), evidenziandone
l’esistenza concreta e insistendo sulla coincidenza identitaria con la figura
del Dalai Lama.
L’interazione col pubblico globale
del governo in esilio tibetano ha creato modalità identitarie, da parte dei
tibetani, basate sulle rappresentazioni e gli approcci occidentali, soprattutto
rilanciando la cultura tradizionale, il pacifismo, la forzosa modernizzazione
portata avanti dalla Cina e, appunto, la figura del Dalai Lama come cemento
ideologico.
[Roberto Bertoni]