L’autista
seguì docilmente la curva della strada, si accostò sulla destra, frenò al
limite del marciapiede e spense il motore della macchina. Lentamente la
portiera di dietro, dal lato del guidatore, si aprì. Ne uscì fuori una donna di
mezza età, alta, avvolta in un cappotto verde bottiglia col collo di pelliccia,
forse una volpe argentata. Non la vidi in volto perché non si girò: appariva
quasi concentrata, statica, come andasse pensando ai movimenti da fare, con una
calma estrema: avrebbe potuto trovarsi benissimo sul set di un film,
consapevole che qualcuno la stesse osservando. Si notava che aveva studiato con
attenzione il tutto: un piano, le mosse, le parole.
E di
là, dall’altra parte della strada, dove attraversò, un ragazzo alto e snello,
dalla capigliatura scura e morbida, dai tratti gentili, piuttosto giovane, l’aspettava
appoggiato ad un tavolino di un bar. Le prese la mano, stringendola e, con un
dito, andava girando, un po’ nervosamente, l’anello all’anulare sinistro della
donna. Parlarono circa per cinque minuti, finché lui ripiegò meglio il giornale
che teneva arrotolato in tasca del cappotto grigio scuro, elegante e di buona
fattura. Poi lei si voltò, forse con una promessa, ed accostò con una dolcezza
rassicurante uno dei due baveri del collo del cappotto all’altro, finché la
coda di volpe si ricostituì in un’avvolgenza piena e calda. Con calma, ma con
mosse meno studiate di prima, riaprì lo sportello dell’auto nera. Si sedette,
accomodandosi perbene, come rassicurata. Prima di indicare la direzione all’autista,
aprì un quotidiano, appoggiando le pagine allo schienale del sedile di fronte.
Poi si girò verso l’altro lato della strada, ma lui non c’era più. Il ragazzo
camminava veloce, schivando i batuffoli di aghi di pino, polvere e terra,
sabbia e detriti di mattoni, che il vento portava lontani dal cantiere di una
casa in via di ristrutturazione.