11/01/19

Maurizio Masi, LA MACCHINA

L’autista seguì docilmente la curva della strada, si accostò sulla destra, frenò al limite del marciapiede e spense il motore della macchina. Lentamente la portiera di dietro, dal lato del guidatore, si aprì. Ne uscì fuori una donna di mezza età, alta, avvolta in un cappotto verde bottiglia col collo di pelliccia, forse una volpe argentata. Non la vidi in volto perché non si girò: appariva quasi concentrata, statica, come andasse pensando ai movimenti da fare, con una calma estrema: avrebbe potuto trovarsi benissimo sul set di un film, consapevole che qualcuno la stesse osservando. Si notava che aveva studiato con attenzione il tutto: un piano, le mosse, le parole. 

E di là, dall’altra parte della strada, dove attraversò, un ragazzo alto e snello, dalla capigliatura scura e morbida, dai tratti gentili, piuttosto giovane, l’aspettava appoggiato ad un tavolino di un bar. Le prese la mano, stringendola e, con un dito, andava girando, un po’ nervosamente, l’anello all’anulare sinistro della donna. Parlarono circa per cinque minuti, finché lui ripiegò meglio il giornale che teneva arrotolato in tasca del cappotto grigio scuro, elegante e di buona fattura. Poi lei si voltò, forse con una promessa, ed accostò con una dolcezza rassicurante uno dei due baveri del collo del cappotto all’altro, finché la coda di volpe si ricostituì in un’avvolgenza piena e calda. Con calma, ma con mosse meno studiate di prima, riaprì lo sportello dell’auto nera. Si sedette, accomodandosi perbene, come rassicurata. Prima di indicare la direzione all’autista, aprì un quotidiano, appoggiando le pagine allo schienale del sedile di fronte. Poi si girò verso l’altro lato della strada, ma lui non c’era più. Il ragazzo camminava veloce, schivando i batuffoli di aghi di pino, polvere e terra, sabbia e detriti di mattoni, che il vento portava lontani dal cantiere di una casa in via di ristrutturazione.