09/01/19

Gianluca Cinelli, DUE AMICI (STORIA ZEN)

Molti anni fa, in una piccola città di provincia, vivevano due ragazzini nella stessa strada. Tonio e Rino erano cresciuti insieme come fratelli, amandosi di un sentimento tenero e intenso, fino al giorno in cui furono costretti a dividersi per seguire le rispettive famiglie. Avevano otto anni e la vita li trasportava ormai lontano su correnti opposte. Soltanto nella memoria i due conservarono l’immagine giovane e amata l’uno dell’altro.

Così accadde che quando s’incontrarono di nuovo, molti anni dopo, i loro volti erano segnati dalla fatica e dal tempo, e non si riconobbero.

Rino era un uomo forte e barbuto, padre di cinque figli. Era stato marinaio sulle navi mercantili, poi aveva guidato i camion sulle strade di tutto il continente, viaggiando di città in città. Infine, aveva comprato con i risparmi un piccolo pezzo di terra e adesso si recava ogni mattina in città con il suo furgone, per vendere i frutti del suo campo. Tonio, invece, vagava senza meta e senza tregua. Era stato soldato, pastore e anche ladro. Aveva visitato tante città e incontrato tanta gente, in tutte le terre che aveva calpestato, un passo dopo l’altro.

Quando Rino lo vide sul ciglio della strada, col pollice teso nella luce smorta dell’alba, fermò il furgone e aprì la portiera. Non era il primo vagabondo che raccoglieva e accompagnava in città. Tonio si arrampicò e si sedé con un sospiro. Era magro e barbuto, la pelle sembrava conciata. Una grande stanchezza segnava il volto asciutto e lo sguardo vigile. Per un momento, entrambi restarono in silenzio guardandosi con aria interrogativa, poi Rino riprese la via deserta. Si scambiarono poche parole, fumarono insieme. Il ronzio del motore cullava Tonio, che era molto stanco e guardava fuori la campagna addormentata.

Guidando nella luce smorta dell’alba, Rino pensava al suo amico perduto e una profonda nostalgia gli invadeva la mente. Per anni lo aveva cercato in tutti i luoghi, s’era illuso di vederlo in questo o in quel volto. Poi, un giorno, s’era fermato. Fatalista, si era detto che se il destino aveva già sancito la loro riunione, questa sarebbe avvenuta in un modo o nell’altro. Doveva solo credere e attendere. Fino ad allora il ricordo di Tonio l’avrebbe confortato. E così adesso in questo ricordo sprofondava. Pensò che se il suo amato amico fosse stato povero e solo come il vagabondo che aveva raccolto, qualcuno lo avrebbe soccorso come avrebbe fatto lui, e che forse era proprio ciò che stava accadendo ora da qualche parte, su un furgone come questo. Guardò allora lo sconosciuto e sorrise, perché in lui vide per un istante l’amico lontano, e subito gli s’infuse uno strano calore nel petto.

Tonio guardava fuori e pensava al suo amico. Aveva vagato per il mondo in cerca di lui, sacrificando ogni altra cosa, benessere, tranquillità, ricchezza. Era certo che l’avrebbe ritrovato prima o poi. La volontà inflessibile l’aveva guidato, infondendogli l’invincibile convinzione che avrebbe ritrovato Rino soltanto se avesse creduto fino in fondo di riuscire nell’impresa. E così aveva fatto, senza arrendersi neanche nei momenti di disperazione. E poiché non l’aveva ancora incontrato, il viaggio non era concluso. Così pensava che da qualche parte Rino stesse proprio ora raccogliendo uno sconosciuto come lui su un furgone come questo, come avrebbe accolto lui se lo avesse visto adesso. Ritrovava così il suo amato amico generoso nei propri pensieri, e questo gli scaldava il petto.

Nel silenzio, i due si persero nei ricordi, e rinnovando ognuno per sé propositi e promesse, s’apprestavano a riprendere la lunga attesa e l’interminabile ricerca. Quando infatti giunsero in vista della città, Tonio chiese di scendere. “Fra la gente non mi trovo più”, spiegò semplicemente. Rino accostò e lui scese, esitando ancora un istante prima di allontanarsi. Poi Rino lo richiamò e disse: “Sono felice d’averti incontrato”.

“Anche io”.

Nell’alba umida, il furgone scivolò lento verso la città mentre il viandante s’allontanava per un sentiero tra i campi.