13/02/18

Daniel Fitzsimmons, NATIVE

UK 2016. Sceneggiatura di Neil Atkinson e Daniel Fitzsimmons. Con Rubert Graves ed Ellie Kendrick

Questo film ha vari pregi: si rivolge alla mente dello spettatore, cui pone quesiti di umanità; è lento e riflessivo; la recitazione e lo spazio interno sono di tipo teatrale; la pellicola manca di effetti speciali spettacolari chiassosi e si avvale di rappresentazioni visive di buona qualità fotografica e con elementi elettronici; oltre a un brano, spesso ripetuto, della Quinta Sinfonia di Beethoven, ha una colonna sonora funzionale e gradevole, anch’essa di stampo elettronico, dei Baltic Fleet. In breve, rientra nell’ambito dei film di fantascienza (come, per esempio, Arrival e Advantageous) che vanno controcorrente rispetto alle tendenze commerciali e superficiali prevalenti.

La storia prende l’avvio su un pianeta lontano, abitato da esseri umanoidi che vivono in simbiosi come in un alveare, ciascuno collegato telepaticamente alla comunità per mezzo di un rapporto stretto con un essere di sesso opposto definito fratello o sorella. Quando perviene un segnale dalla Terra (pianeta svelato solo nell’ultima parte del film), che comprende, tra l’altro, note della Quinta Sinfonia di Beethoven, viene deciso di inviare un’astronave con a bordo soltanto due telepati particolarmente compatibili per diffondere un virus che distruggerà la popolazione terrestre e aprirà la strada a quella del pianeta inviante. Durante la traversata interstellare, uno degli astronauti, Cane, traumatizzato dalla perdita di contatto telepatico con la cosiddetta sorella, morta nel parto, rimasto dunque solo e un individuo isolato, frattanto affascinato dalla musica del messaggio terrestre, sviluppa una crisi d’identità che lo conduce a rinunciare al dispositivo telepatico. Viene neutralizzato, per ordine della direzione della missione, dall’altra astronauta, Eva che, raggiunta la destinazione, predispone una terrestre a ricevere e trasmettere il virus, ma la uccide perché la terrestre si ribella (stranamente la donna del nostro pianeta parla italiano nella versione originale inglese). Il trauma di Eva è questa morte, dopo la quale non riesce a portare a termine la missione, recupera Cane, anche lei si autodetelepatizza: i due astronauti vanno a vivere sulla superficie del pianeta. Le ultime parole del film sono: “Ho paura”, il timore, cioè dell’ignoto, del futuro, della solitudine, e veniamo in parte anche lasciati con un enigma di come andrà a finire. Si integreranno coi terrestri? Si creerà una nuova forma mdi vita? Il pianeta da cui provengono invierà altri a sterminarci?

Gli interrogativi sono sociali sulla prevaricazione di certe culture su altre ed etici sul dare la morte e sul vivere in che tipo di comunità.

Una recensione di Peter Bradshaw (The Guardian, 22-2-2018) definisce giustamente questo film “elegant and weird”.


[Roberto Bertoni]