UK
2016. Sceneggiatura di
Neil Atkinson e Daniel Fitzsimmons. Con Rubert Graves ed Ellie Kendrick
Questo film ha
vari pregi: si rivolge alla mente dello spettatore, cui pone quesiti di umanità;
è lento e riflessivo; la recitazione e lo spazio interno sono di tipo teatrale;
la pellicola manca di effetti speciali spettacolari chiassosi e si avvale di
rappresentazioni visive di buona qualità fotografica e con elementi
elettronici; oltre a un brano, spesso ripetuto, della Quinta Sinfonia di
Beethoven, ha una colonna sonora funzionale e gradevole, anch’essa di stampo
elettronico, dei Baltic Fleet. In breve, rientra nell’ambito dei film di
fantascienza (come, per esempio, Arrival e Advantageous)
che vanno controcorrente rispetto alle tendenze commerciali e superficiali prevalenti.
La storia prende
l’avvio su un pianeta lontano, abitato da esseri umanoidi che vivono in
simbiosi come in un alveare, ciascuno collegato telepaticamente alla comunità per
mezzo di un rapporto stretto con un essere di sesso opposto definito fratello o
sorella. Quando perviene un segnale dalla Terra (pianeta svelato solo nell’ultima
parte del film), che comprende, tra l’altro, note della Quinta Sinfonia di
Beethoven, viene deciso di inviare un’astronave con a bordo soltanto due telepati
particolarmente compatibili per diffondere un virus che distruggerà la popolazione
terrestre e aprirà la strada a quella del pianeta inviante. Durante la
traversata interstellare, uno degli astronauti, Cane, traumatizzato dalla
perdita di contatto telepatico con la cosiddetta sorella, morta nel parto, rimasto
dunque solo e un individuo isolato, frattanto affascinato dalla musica del
messaggio terrestre, sviluppa una crisi d’identità che lo conduce a rinunciare
al dispositivo telepatico. Viene neutralizzato, per ordine della direzione della
missione, dall’altra astronauta, Eva che, raggiunta la destinazione, predispone
una terrestre a ricevere e trasmettere il virus, ma la uccide perché la
terrestre si ribella (stranamente la donna del nostro pianeta parla italiano
nella versione originale inglese). Il trauma di Eva è questa morte, dopo la
quale non riesce a portare a termine la missione, recupera Cane, anche lei si
autodetelepatizza: i due astronauti vanno a vivere sulla superficie del pianeta.
Le ultime parole del film sono: “Ho paura”, il timore, cioè dell’ignoto, del
futuro, della solitudine, e veniamo in parte anche lasciati con un enigma di
come andrà a finire. Si integreranno coi terrestri? Si creerà una nuova forma
mdi vita? Il pianeta da cui provengono invierà altri a sterminarci?
Gli
interrogativi sono sociali sulla prevaricazione di certe culture su altre ed
etici sul dare la morte e sul vivere in che tipo di comunità.
Una recensione
di Peter Bradshaw (The Guardian, 22-2-2018)
definisce giustamente questo film “elegant and weird”.
[Roberto
Bertoni]