Roma,
Associazione Culturale Rosso Venexiano, 2014
Di Raffaele Piazza è
già stata rilevata sia la vivace immaginazione stilistica,
veicolata da una lingua onirica e trasfigurante, sia, dal punto di vista
tematico, la
centralità dell’esperienza amorosa. In Alessia, la sua quinta
raccolta poetica, questi due aspetti si fondono ad una temperatura lirica tale
da rendere attraente (almeno per il sottoscritto) un approccio psicoanalitico.
Vorrei proporre che il poeta realizza, in questa nuova raccolta, una
sistematica, radicale immersione nella fantasia febbricitante del
soggetto innamorato. Alessia è qui vera e propria ipostasi dell’innamoramento,
una condizione, come si sa, almeno moderatamente psicotica, contraddistinta
dalla percezione della realtà esterna
come sensibilissimo controcanto dell’esaltazione psichica del soggetto. La
personificazione della natura è un sintomo cospicuo di questo fenomeno e qui
infatti alberi, fiori, uccelli, aria e corpi celesti (ma anche, in un’incursione
allucinata del soprannaturale, schiere di “angeli”), tutti trasfigurati dalla
frenesia amorosa di Alessia, diventano fedeli comprimari nello spettacolo
fantasmagorico della sua passione.
Cogliamo l’occasione
per sottolineare la sensibilità figurativa
di Piazza, i cui “scenari”, “campiture” e “panneggi” denotano un’ispirazione e
un vocabolario esplicitamente pittorici: e Alessia, carnale e divina (“nel
differenziarsi dai / limiti del tempo, entra in galassie e ne esce /
rinnovata…”), appare come un incrocio tra l’orgasmica Santa Teresa del Bernini
e la Venere botticelliana, istigatrice della fertilità universale. Ma forse il DNA di questa scrittura
gioiosamente panico-erotica va più opportunamente cercato nel naturalismo
mistico di San Francesco (il ritmo sacramentale del cui cantico è pure
richiamato dalle incessanti ripetizioni: “amniotica pioggia”, “anni contati
come semi”, “sta infinitamente”). E del resto, l’immersione radicale nella
fantasia amorosa esige proprio il mantenimento di un atteggiamento di mistica
positività per cui il sentimento della “gioia”, parente stretto del thauma
francescano di fronte alla natura delle cose, domina l’intera raccolta.
È uno stato che
necessariamente esclude l’elemento traumatico, la cui dimensione spettrale è
relegata a brevissime e ripetute allusioni (“gridano i gabbiani: ‘attenzione!’”;
“tanto non mi lascia”; “non ho finito gli esami / e Giovanni non ha lavoro / né casa né culla”).
L’estasi dell’innamorato non concepisce il trauma. Ma il costo di questa esclusione
è la necessita di ribadire l’estasi ad ogni nuovo testo, in un tessuto
martellante di ridondanze in cui, come già accennato,
intere frasi, stilemi, parole chiave (la più notevole, “interanimarsi”) si
ripetono, identici o sottilmente variati, alla stregua di formule incantatorie.
Ogni poesia, in altre parole, è costretta a ridire quella che la precede, non
tanto perché, banalmente, un testo non riesca mai a dire tutto, ma
perché l’integrità della
fantasia va costantemente riaffermata, difesa ad ogni costo e il più al lungo
possibile dal sempre imminente assalto della grigia realtà: in questo consiste, appunto, la proverbiale “pazzia” o “cecità” della condizione amorosa. A
lungo andare, però, il regime assolutistico del gaudio finisce per caricare la
cesura (il silenzio, lo spazio bianco) tra ogni testo e il successivo di una
sospensione di inusitata pregnanza, nella misura in cui vi si accumula – non
detto perché indicibile – lo sconfessato lato oscuro della fantasia
amorosa: come si gestiranno, finita l’ebbrezza, le miserie della quotidiana
vita di coppia? Come si negozierà l’ontologica
incompatibilità di genere, l’impossibilità che Lacan dimostra essere costitutiva del (non-) rapporto
sessuale?
Se si intende la
negatività hegelianamente, ossia come funzione del divenire e motore di
sviluppo, risulta chiaro come proprio questa dimensione debba rimanere assente
dall’universo fantasmatico di questa raccolta (che si potrebbe legittimamente
intitolare l’Alessia innamorata). In questa estrosa eppure formalmente
rigorosissima (sacra?) rappresentazione della psicopatologia dell’innamoramento
non può esistere sviluppo, ma soltanto l’euforica riproposizione dello stesso
scenario psichico, un universo atemporale in cui è sempre il “1984”, e tutto
sobbolle gloriosamente nel fuoco del rapimento erotico.
[Giorgio
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