[Art and nature (Amsterdam 2017). Foto Rb]
Domingo Notaro, uno dei maggiori artisti viventi,[1] nacque a Palermiti (Calabria) nel 1939 ed emigrò in Argentina all’età di nove anni. Qui cominciò la sua lunga carriera internazionale di pittore e scultore, celebrato, fra gli altri, dal grande Picasso. Fu nel 1965 che i due artisti si incontrarono virtualmente, quando l’opera di Notaro fu esposta al Guggenheim Museum di New York accanto a quella di Chagall, Dufy, Léger, Modigliani e dello stesso Picasso.
“Tu sei un io bambino con molti più secoli sopra la tua
statura umana”: furono queste le profetiche parole che Picasso rivolse a Notaro
nel 1966 - quando i due artisti si incontrarono e cominciò il loro sodalizio - alludendo
all’abilità precocemente dimostrata dal Notaro di rigenerare la sua arte grazie
all’innocenza del suo sguardo bambino: uno sguardo che rinasce dalle proprie
ceneri e gli consente di osservare il cosmo ogni volta come se fosse la prima.
Questo elemento-sorpresa, che potremmo dire di “straniamento”,
contraddistingue anche la poesia. I versi di Notaro costringono infatti il
lettore a fare una pausa di riflessione e a contemplare il miracolo della
geometrica rete di intricati ricami lirici che il poeta distende sulla pagina
bianca. E in realtà le modalità della ricezione non sono altro che un riflesso
della dinamica creativa messa in campo dal poeta. Una dinamica in cui l’“io
bambino” dell’artista osserva attonito la nascita del significante.
Notaro ha spesso raccontato, nel corso di interviste e
letture pubbliche, della sua prima incursione nel mondo dell’arte, a tre o
quattro anni, quando uscì per la prima volta nel buio della notte con dei
tizzoni accesi e disegnò immagini luminose nell’aria limpida. Quelle figure
svanirono immediatamente, come fuochi d’artificio o stelle comete, ma la
memoria di esse perdurò nella mente del poeta e indusse l’artista ad esitare
sgomento di fronte al mistero della loro creazione. La scia di luce che
repentinamente scomparve acquistò dimensioni mitiche per il bambino e causò la
sua originaria scoperta del carattere effimero di ogni significato.
Poesia e arte vanno dunque di pari passo nel sostenere
l’impresa di Notaro, il suo dar forma all’oscurità del mondo in significativa “configurazione”.
Ed è questa la ragione per cui le poesie di Notaro si presentano al lettore
come una sorta di arazzi nei quali la scrittura intesse ricami di significanti,
zigzaganti e geometrici, che alludono ad un’appropriazione dinamica dello
spazio e del tempo da parte dell’autore e del lettore durante l’atto di
creazione-fruizione.
Si veda ad esempio la poesia Segni,[2]
uno dei poemi inediti della recente produzione.
Dato il profondo interesse di Notaro per la fisica e la
fisica quantistica in particolare, interesse manifestato in varie occasioni e
soprattutto nella sua arte figurativa,[3] mi
pare che sia perfettamente legittimo provare a leggere la sua poesia nella
cornice metodologica del realismo performativo o “agenziale” di Karen
Barad. Partendo dal concetto che la
realtà non è un oggetto gnoseologico esterno al soggetto di conoscenza, bensì
un “fare” o un “divenire” nel quale soggetto ed oggetto si compenetrano ed
interagiscono in profondità, il realismo performativo fornisce la cornice
epistemologica ideale per comprendere la poetica di Notaro. Sulla base di
questa prospettiva, che si fonda sulle premesse filosofiche della fisica
quantistica di Niels Bohr, “le cose non hanno confini e proprietà
intrinsecamente determinati così come le parole non hanno significati
intrinsecamente determinati” [things do not have
inherently determinate boundaries or properties, and words do not have
inherently determinate meanings].[4] Al contrario, il
significato e la conoscenza vengono creati [performed] nel corso dell’
“intra-azione”[5] tra
il soggetto e l’ oggetto, e cioè il creatore e l’oggetto della sua creazione.
In tutto questo processo, la ricerca di Notaro sulla
lingua si lascia ricondurre a quella portata avanti da altri scrittori del
ventesimo secolo che sentirono il bisogno di sottoporre il proprio linguaggio
ad un gioco di segmentazione interna, suddivisione, frammentazione e
ricomposizione al fine di potenziare il significato dei loro concetti. Pensiamo
a Joyce e al pastiche di neologismi, parole composte e morfemi multilingue del
suo Finnegan’s Wake o al linguaggio
gaddiano, parodico ed irriverente, ferocemente soggettivo ed espressionistico;
linguaggio che, secondo una nota definizione, esplode in “schegge di
incandescente espressività”.[6] La “scomposizione” effettuata da Notaro sul linguaggio
ha un suo corrispettivo in quella che Carlo Bo identifica come caratteristica
della sua produzione figurativa.
Bisogna però dire che, così come nel campo dell’arte
l’importanza dei maestri è “relativa” nel contesto di un cammino artistico
unico, “che appartiene solo a lui”,[8]
così nel campo della poesia non si può indicare l’appartenenza di Notaro a
specifiche correnti artistiche o letterarie. Possiamo parlare piuttosto di un Dasein in cui l’esistenza del soggetto
si traduce in un vero e proprio essere-nella-lingua, abitarne le sue strutture
profonde, percorrendole a ritroso, come nella figura retorica del palindromo
che Notaro utilizza estesamente nella
sua poesia.
La domanda che, a ragion veduta, bisogna
porsi è la seguente: che effetto ha questo processo creativo sul lettore? Il
lettore è un elemento necessario nella produzione del significato creativo? E
ancora, che ruolo svolge il lettore nella intra-azione fra i versi del poeta e
il suo mondo?
Fin da una prima lettura dei testi di Notaro,
ci si rende immediatamente conto che i lettori sono chiamati a formulare una
propria personale risposta ai grumi polisemici di materia poetica che l’artista
distribuisce sulla pagina, quasi a sintetizzare l’essenza della citata
intra-azione tra soggetto ed oggetto. È pur vero che a tutti i lettori di
poesia – o lettori tout court – si
chiede di esprimere la propria reazione emotiva, razionale o intellettuale nei
confronti di un testo dato, reazione che è di solito ampiamente influenzata da
una serie di fattori culturali, storici, personali e sociali che determineranno
una riscrittura simbolica del significato intrinseco del testo (se una tal cosa
davvero esiste).
E tuttavia, nel caso di Notaro, non si può
fare a meno di notare che il lettore viene preso in una sorta di mise en abyme del processo estetico nel
quale il mondo lirico disegnato sulla pagina cerca di riprodurre, anche ad un
livello visivo, la performance del poeta nella sua ricerca di conoscenza.
Simili ad un flusso di coscienza che ripercorre il cammino del suo incontro
creativo - o intra-azione - tra materia ed energia, i versi di Notaro
richiedono e pretendono un ruolo attivo del lettore nel processo di
significazione. L’uso frequente di figure e tropi retorici, così come la
costante segmentazione e deformazione dei significanti linguistici allo scopo
di creare nuovi significati interni alle parole, mirano a generare spaesamento
e straniamento.
Messo di fronte ad una parola nota che
all’improvviso si carica di nuovi livelli di significato – cosa che a sua volta
scatena ulteriori processi di significazione – il lettore è costretto a sostare
lungamente, in mezzo al rapido fluire ininterrotto di immagini poetiche
accelerato dall’assenza di punteggiatura, e a guardare il mondo da una
prospettiva completamente nuova.
Per quanto riguarda gli argomenti e le tematiche
principali esplorati dalla poesia di Domingo Notaro, abbiamo adesso la fortuna
di ripercorrere l’intero itinerario poetico della produzione notariana dagli
anni Sessanta ad oggi grazie al volume con testo a fronte italiano-inglese,
pubblicato quest’anno dalla Dalkey Archive Press: From the Unreached Let Perception Radiate.[9]
Motivi ricorrenti nella poesia di Notaro sono l’esilio,
la fertilità, la creazione, la donna come fonte di ispirazione e matrice
creativa di materia pensante ed organica, il corpo umano in osmosi con il
cosmo, la corruzione dei potenti. Su quest’ultimo tema mi vorrei soffermare,
leggendo la poesia dedicata a Paolo Borsellino che pure fa parte della
produzione inedita.
Malattia, sozzura, senso di fine lastricano il percorso
di un uomo che, come Perseo che mozzò la testa di Medusa, ha osato combattere
in solitudine ed è riuscito ad emergere dall’ “omertosa feccia”, risalendo la
china a ritroso, dal basso verso l’alto, “d’òmega” all’ “alfa”. Ha incontrato
sul suo cammino una “civiltà” divenuta “smemorata” perchè priva di coscienza e
ridotta ad uno stato “amenziale”. Il riferimento all’ “amenza” – malattia
psichica caratterizzata da una frammentazione degli stati di coscienza –
funziona da potente rinvio alla metafora finale del mito di Perseo, laddove
l’aggettivo “amenzi-ali”, segmentato internamente e suddiviso nei due lemmi
“amenzi” ed “ali”, esplicitamente converte la “civiltà” in “viltà”, tarpando
“ali / che / mai / voleranno”. E nonostante l’assedio di “lugubri spettri” ed
“ombre” che avvolgono il mistero della famosa “agenda rossa” scomparsa –
mistero che apre un’ennesima “piaga” nel discorso della collusione tra Stato e
anti-Stato – il mito di Borsellino, eroso dalla sua stessa fama, sopravvive
alla morte, allo sguardo di Medusa, “reso / leggenda” come Perseo.
La funzione del poeta, nel contesto di una poesia come
quella appena citata, è certamente una funzione di denuncia ma anche di fiducia
nel potere del mito che lo aiuta a proiettare la sua arte nella libertà cosmica
e nell’estetica performativa del suo fare poetico.
[1] L’opera di Domingo Notaro è stata esposta in tutta Italia e nelle grandi
capitali del mondo. Oltre alla citata
mostra al Museo Guggenheim, ricordiamo almeno le personali di Buenos Aires,
Parigi, Bruxelles, Zagabria, Belgrado, Dubrovnik, Tokyo e Roma (Complesso del
Vittoriano, 2001).
[2] Ringrazio Domingo Notaro per avermi generosamente consentito
di pubblicare le tre poesie da me
presentate in questo articolo che fanno parte della sua recentissima
produzione.
[3] Si veda Carlo Guaraldo, “Arte e scienza nell’opera di
Notaro”, in Domingo Notaro al complesso
del Vittoriano. Oltre l’orizzonte, 2-27 maggio 2001, con un’introduzione di
Carlo Bo, Roma, Eldec, 2001, pp. 11-13.
[4] K. Barad,
“Posthumanist Performativity: Toward an Understanding of How Matter Comes to
Matter", Signs, University of
Chicago Press, 28.3 (2003), pp. 813. La traduzione
è mia.
[5] Il termine “intra-azione”, piuttosto che “interazione”, è usato da Barad
per descrivere il mondo dei fenomeni che è definite come “l’ontologica inseparabilità di componenti agenziali
intra-agenti” [the ontological inseparability of agentially intra-acting
components] (Ivi, p. 815).
[6] Alberto Arbasino, Genius Loci in
Certi romanzi, Einaudi, Torino, 1977,
pp. 339-71.
[7] Carlo Bo, “Prefazione”, in Domingo Notaro al complesso del Vittoriano. Oltre l’orizzonte, 2-27 maggio 2001, cit., p.12.
[8] Ibidem.
[9] Domingo Notaro, From the Unreached Let Perception Radiate,
Translated by Kay McCarthy, Victoria-TX, Dalkey Archive Press, 2017.