27/11/16

BUTTERFLY E DINTORNI



[Asia in Dublin: The Lanterns and all (2016). Foto Rb]


Madama Butterfly di Puccini si può interpretare come uno dei testi dell’Orientalismo: costruisce l’immagine archetipica di Di Cio-Cio San in quanto donna orientale, oggetto del desiderio, priva di iniziativa e ribellione, specchio di inferiorità razziale, sottoposta al cinismo crudele del cliché occidentale Pinkerton, il navigante privo di amore per la ragazzina giapponese, che usa per un po’, finendo per sposare una donna americana, privando la sposa nipponica alla fine anche del figlio e conducendola al sacrificio del suicidio, mentre si attuano decine di luoghi comuni sul Giappone e i giapponesi sul palcoscenico. Allo stesso tempo, e all'opposto, Butterfly è destinata a suscitare compassione, essendo la vittima dell’atteggiamento scorretto, a dir poco, dell’occidentale, usata, bistrattata, vinta e nondimeno, tra i due, il personaggio che mantiene i valori della fedeltà e dell’onore, in tal senso può vedersi come una critica della presenza imperialista e del falso mito di superiorità dell’Occidente rispetto all’Oriente.

Forse per questo doppio taglio suscitò tanto scalpore alla prima rappresentazione nel 1904, con un testo in seguito modificato varie volte, ma ripreso oggi alla Scala, la Prima la settimana scorsa [1], che produce ancora, almeno in chi scrive, lo stesso effetto di irritazione per i cliché dei gesti e delle parole spese dagli attori e cantanti, pur se di ottima qualità negli arredi e nei riferimenti al teatro giapponese e la presenza di alcuni personaggi di contorno anche etnicamente asiatici;  ottimo, infine, il livello musicale, sottolineato da un applauso di un quarto d’ora.

Per la freddezza del comportamento di Pinkerton e la soavità e dignità incompresa di Butterfly, il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa è piuttosto conforme alla Madame Butterfly del 1897 di John Luther Long [2], il predecessore e ispiratore pucciniano, a sua volta derivante da Madame Chrysanthème di Pierre Loti del 1887 [3], un racconto, quest'ultimo, reso come diario di un navigante, che, pur presentando la stessa sproporzione di atteggiamenti tra Est e Ovest, è in parte più equanime nel contratto di matrimonio tra il protagonista maschile e Kuku San, la quindicenne vendutagli come moglie per un breve periodo chiarificato fin dall’inizio. Kuku San si dimostra gentile nei confronti del marito occidentale, ma non coinvolta a fondo nei sentimenti, che vanno, pur restando platonici e ricambiati, semmai verso l’amico Yves del protagonista. Il romanzo di Loti si conclude con la partenza e il saluto da parte della ragazza e di altre che come lei sono state sposate a tempo con vari colleghi, senza troppi drammi del cuore e nessun suicidio.

Madame Chrysanthème, che esplicitamente ha, come “trois principaux personnages […] Moi, le Japon et l’Effet che ce pays m’a produit”, è un repertorio di visioni esotizzanti su un luogo che, fin dall’intravederne le rive dalla nave, si prospetta “comme une incessante vibration de crystal” [4]; un sito arcano con “pagodes mysterieuses” [5] ed “Esprits […] inconnus et incompreéhensibles” (ibidem); la giovane già nell’immaginazione, prima che nella realtà, è concupita come un capriccio di orientalità: “une femme à peau jaune, à cheveux noirs, à yeux de chat” [6]; anche se al confronto col quotidiano si nota come nella zona del porto tutto è uguale al resto del mondo, in anticipo sulla globalizzazione se si prevede “un temps où la terre sera bien ennuyeuse à habiter, quand on l’aura rendue pareille d’un bout à l’autre” [7]; ed è appunto contro la noia, la piattezza e la normalità che il narratore in prima persona s’imbarca nell’avventura erotico-sentimentale, in cui spera di trovare “un pays d’enchantement et de féerie” [8] che lo sollevi dalla monotonia, cui però ritorna senza rimpianti alla fine, salpando per sempre, pur avendo manifestato nel corso del breve soggiorno una qualche curiosità per la cultura locale.  

Tra le molte incarnazioni dell’archetipo, si segnala The Toll of the Sea, un film statunitense muto a colori del 1922, ambientato in Cina per la regia di Chester M. Franklin. In questa pellicola, la moglie dell’amante occidentale è umana e diventa amica della ragazza orientale, denominata Lotus Flower; il figlio dell’eroina asiatica viene ceduto spontaneamente alla rivale affinché venga cresciuto in Occidente per il suo bene; Fior di Loto alla fine si uccide, gettandosi in mare dopo la partenza della coppia americana.

Il film è interpretato da Anna May Wong, l’attrice sino-americana, allora all’età di diciassette anni. Come nota Graham Russel Gao Hodges [9], The Toll of the Sea venne prodotto in un’atmosfera di “anti-Asianism” e pregiudizi relativi a una supposta “exotic quality of Asians”, divenendo così uno dei vari testi “incorporating misinformation and racial myths about China” [10]. È proprio l’uso di Wong in quanto orientale che si connota di orientalismo deteriore: costretta, per un lungo periodo della sua carriera, a recitare parti come questa, di vittima, o peggio di vendicatrice in The Dragon’s Daughter, schiava mongola in abiti succinti in The Thief of Bagdad, o cortigiana in Shanghai Express, trovò una collocazione più autonoma, dopo un soggiorno in Europa dove venne meglio valorizzata sia sullo schermo che a teatro e un viaggio in Cina a recuperare un rapporto con le proprie origini familiari e geoantropologiche, con la partecipazione a film antigiapponesi di produzione statunitense in cui recita il ruolo di donna autonoma e patriottica, attivamente impegnata nella Resistenza cinese, per esempio in Lady from Chungking.

È proprio Anna May Wong che, nella variante cinematografica di Butterfly, con la sua bravura e professionalità indiscutibili, umanizza ulteriormente, tramite una recitazione appassionata e contenuta allo stesso tempo, la protagonista; e ne trattiene il trasbordo verso eccessi orientalistici con costumi d’epoca e gesti autentici. Per citare ancora una volta Hodges, “Anna May subverts the tragedy and makes the movie a vehicle for her own interpretation of Chinese culture” [11].



NOTE

[1] Che abbiamo visto in diretta via video al cinema IMC di Dun Laoghaire.
[2] Planet Monk E-Books, Kindle edition.
[3] Parigi, Calmann-Lévi, 1926.
[4] Ibidem, p. 4.
[5] Ibidem, p. 6.
[6] Ibidem, p. II.
[7] Ibidem, p. 7.
[8] Ibidem, p. 10.
[9] Anna May Wong: From Laundryman’s Daughter to Hollywood’s Legend, New York, Palgrave MacMillan, 2004.
[10] Ibidem, p. 20.
[11] Ibidem, p. 32.


[Roberto Bertoni]