11/09/16

Naomi Kawase, SWEET BEANS


Giappone 2015. Titolo giapponese: あん (An). Tratto da una storia di Durian Sukegawa. Con Miyoko Asada, Etsuko Ichihara, Kirin Kiki, Masatoshi Nagase, Kiara Uchida


Questo film umano si svolge nel dialogo e nel silenzio, senza musica di sottofondo, conferendo così un’impressione di realtà agli ambienti e allo stesso tempo una patina di distanza per attività tradizionali come quella, prevalente, del piccolo chiosco di dorayaki, pasticcini dolci contenenti un paté di fagioli rossi zuccherati.

Quando l’anziana Tokue si presenta al chiosco, chiedendo di lavorare per il gestore Sentaro, si costruisce un rapporto di fiducia, poco per volta, tra i due e si incrementa l’attività a causa dell’abilità di Tokue nel fare il ripieno dolce. Terza protagonista una ragazzina proveniente da una situazione familiare difficile.

Se da un lato vengono rivalutate le mansioni artigianali, viene rivisitato il concetto che ogni aspetto del cosmo possiede uno spirito, si dispiega un’attenzione per la natura che la società contemporanea ha perso, dall’altro lato e per contrasto si dimostra il cinismo  tardomoderno, impersonato dalla proprietaria del chiosco e dalla madre della scolara.

Si parla di dolcetti, ma in verità si tratta di problematiche profonde. Tokue vive in una sanatorio per persone affette dalla malattia di Hansen (che una volta si definiva lebbra) e sebbene l’isolamento sia stato abolito, spiega una didascalia, in Giappone negli anni Novanta, resiste il pregiudizio, per cui, diffondendosi la voce, il chiosco non riceve più clienti. Frattanto la ragazza è scappata di casa: dolce e altruista lei nonostante la giovane età, è sottoposta all’egoismo materno. Il gestore, a sua volta, ha una passato difficile alle spalle. Questi tre personaggi, emarginati e atipici, sono ai bordi del conformismo di massa e trasmettono i valori di solidarietà e amicizia che dovrebbero essere di tutti.

Film ben costruito, non melenso, non esente da ironia, compassionevole.


[Roberto Bertoni]