15/06/16

Gianfranco Rosi, FUOCOAMMARE




[The sea... (Portovenere 2015). Foto Rb]


Gianfranco Rosi, Fuocoammare. Italia 2016. Con Pietro Bartolo, Samuele Caruana, Maria Costa, Mattia Cucina, Giuseppe Fragapane, Francesco Mannino, Francesco Paterna, Samuele Pucillo, Maria Signorello


Come scrive Goffredo Fofi, “Rosi racconta Lampedusa con pudore e rispetto” [1] in questo documentario che ha vinto vari premi, tra i quali L’Orso d’Oro al Festival di Berlino, che citiamo perché è bene che su un palcoscenico internazionale il problema della migrazione verso l’Europa venga stimato da un’angolazione progressista e da una prospettiva di compassione.

La telecamera segue vari personaggi che, come si legge nei titoli di coda, “interpretano se stessi”: un ragazzo che gioca con la fionda assieme a un amico, impara l’inglese a scuola, apprende a remare; due famiglie nella quotidianità della cucina; un pescatore di  peschereccio e uno di pesca subacquea; il presentatore di una trasmissione di canzoni a richiesta; il medico che si occupa dei primi interventi per gli emigranti in arrivo e che con semplicità e chiarezza manifesta l’umanità dicendo “Queste persone vanno aiutate”; altre persone residenti a Lampedusa; e i migranti, ripresi in inquadrature di salvataggi in mare, di socializzazione a terra e di tragedia della sofferenza e della morte.

Non c’è mai retorica frusta. Non c’è mai compiacenza narcisista. Lo spaccato di realtà è restituito nudamente, con silenzio, con precisione. Lo sguardo è sempre per gli altri, non per il regista che gira il film.

La solidarietà è implicita non solo nelle azioni delle squadre di salvataggio, ma nello strato sociale della maggioranza degli italiani rappresentati, appartenenti ai ceti popolari.

Sembra di tornare indietro nel tempo: nelle case non si vede la televisione, si ascolta la radio; non si usano computer; i bambini giocano in campagna e non coi videogiochi; e così via. Con l’effetto non solo rappresentativo di puntare sul non consumismo; ma anche con quello esistenziale di mettere in rilievo come le sovrastrutture della tarda modernità allontanano dalla percezione cruda dei problemi dell’umano.


NOTA


 
[Roberto Bertoni]