[Symbol (Killiney 2016). Foto Rb]
Antonio Gibelli, L'officina della guerra. Sottotitolo: la Grande Guerra e la trasformazione del mondo mentale. I ed.
1991. Torino, Bollati Boringhieri 2007
Si tratta di un libro che ha
segnato punti di svolta nella valutazione della prima guerra mondiale, di cui
si occupa non solo dal punto di vista della salute mentale dei soldati al
fronte, ma anche, e forse soprattutto, di quell’evento come spartiacque della
modernità, in quanto fu proprio in quell’occasione che vennero sperimentate
nuove tecnologie e si posero le basi per la società futura: “la guerra è vista
nei termini di un evento chiave della storia culturale che segna il tramonto
definitivo del mondo ottocentesco e inaugura e anticipa il ‘secolo degli
estremi’” (p. XIII).
I connotati della modernità
anticipata dalla Grande Guerra sono soprattutto “il binomio Stato-industria”
(p. 10) e “il trionfo dell’elemento artificiale su quello naturale” (pp.
10-11).
La prima guerra mondiale, per le
tecniche di sterminio e le strategie militari, venne a sua volta anticipata
dalla guerra russo-giapponese del 1904-1905, che “aveva trasformato e deformato
in modo permanente le sue vittime, prolungandosi indefinitamente sui loro
corpi, imprimendo su di essi un marchio indelebile non solo sotto forma di
mutilazioni, ma come esperienza di dolore vivo e di dissesto nervoso destinata
a prolungarsi nel tempo” (p. 17). È inoltre nel corso di questo conflitto che
si hanno le testimonianze di psichiatri e medici, oltre alle “scritture della
gente comune”, che costituiscono la base delle testimonianze di interesse per
lo studio di Gibelli (p. 7).
“La prima guerra tecnologica di
massa costituisce un grande campo di riflessione intorno ai rapporti tra evento
e memoria, tra memoria e oblio. Esso sembra determinare insieme una difficoltà
di ricordare e una difficoltà di dimenticare” (p. 47). Così, se da un lato si
moltiplicano diari e lettere riferite all’avvenimento, dall’altra si dispiega l’“indicibilità
intrinseca dell’esperienza di guerra” (p. 50), dovuta a una tendenza alla
rimozione dell’orrore e alla comunicazione edulcorata per i parenti cui molte
lettere sono indirizzate. Nondimeno, la prima guerra mondiale si può
considerare momento cruciale di comparsa dell’“autobiografia popolare” (p. 61),
che si presenta spesso come forma di “resistenza […], riconquista di sé e
sottrazione agli imperativi della mobilitazione e della massificazione” (pp.
62-63).
[Roberto Bertoni]