13/05/16

Iris Hsin-chun Tuan, ALTERNATIVE THEATRE IN TAIWAN


[Chinese door in London (2014). Foto Rb]


Iris Hsin-chun Tuan, Alternative Theatre in Taiwan. Sottotitolo: Feminist and Intercultural Approaches. Youngstowsn, New York, Cambria Press, 2007


Questo libro utile per conoscere il teatro di Taiwan, quanto per capire le dimensioni interculturali tra Oriente e Occidente, propone dimensioni storiche, sociologiche e letterarie.

Tuan traccia in alcuni capitoli la storia del teatro sperimentale taiwanese, il cosiddetto “Little Theatre Movement”, che coincise con l’innovazione formale, ma anche con l’azione democratizzante a livello sociale. Uno degli aspetti, quello che più sottolinea Tuan, è che “the performances in Taiwan theaters are infused with Feminism and Interculturalism” (p. 51).

Allo stesso tempo, essendo, come nota Sue-Ellen Case nella prefazione, unica l’atmosfera culturale di Taiwan all’incrocio tra “Chinese, Japanese, U.S. and European practices on its stages” (p. XIX), Tuan si pone il problema di come ciò sia avvenuto e come si manifesti.

In parte c’è stata, fin dagli anni Novanta, unoccidentalizzazione dovuta all’importazione di teorie e pratiche da parte degli studiosi e delle persone di teatro in genere che hanno trascorso periodi presso università e istituzioni di arte drammatica all’estero. In questa importazione si sono determinate direzioni specifiche, in quanto il discorso femminista, soprattutto, si è trovato a confrontarsi col tipo peculiare di patriarcato rappresentato dal Confucianesimo, oltre che a “negotiate between the discourse of Western and third world feminism” (p. 58).

Ad altri livelli, sul piano interculturale, si nota sia la rielaborazione di opere occidentali, sia l’occidentalizzazione di opere ed elementi orientali.

Si ha così il rifacimento in chiave attualizzante, e con contesti socioculturali taiwanesi e femministi, di classici del teatro greco, quali Antigone da parte di Wu Xin-chu, il cui intento polemico nei confronti della tradizione tanto occidentale che confuciana, pur mantenendo il senso di giustizia e la natura sacrificale del personaggio centrale del testo, si manifesta nell’assegnare tratti flirtanti alla protagonista e perfino nel titolo Slut Antigone; o di opere anche del Novecento, come l’interpretazione teatrale delle Lezioni americane di Calvino da parte di Wei Ying-chuan.

Il trattamento occidentale di elementi orientali da parte di Chechner pare non riuscito a Tuan. La teoria di “culture of choice”, ovvero la scelta della cultura in cui si opera indipendentemente dall’appartenenza originaria a un’altra cultura, col conseguente tentativo di trasformare, anziché imitare, le opere da cui si attinge a livello intertestuale, sembrerebbe non essersi pienamente realizzata nella rielaborazione chechneriana dell’Oresteia, rappresentata a Taiwan nel 1994 con inserzioni dell’Opera di Pechino: “There are several problems inherent in the notion of retheatricalization. One is that it transmits neither the art of Chinese Peking Opera nor the beauty of Greek tragedies but degenerates into a soap opera or a TV show performed purely to entertain” (pp. 121-122). Più a fondo, nel campo dell’egemonia, che continua a persistere nel rapporto occidentale con l’Oriente, “the performance does not treat cultures equally - one culture still appropriates the other” (p. 122).

Un’opposto tentativo di mediazione tra culture è quello di Stan Lai, che si serve della tensione tra Occidente e Oriente, o meglio delle “cultural tensions caused by Chinese contacts with the West” (p. 157), nella produzione teatrale del romanzo classico cinese Viaggio a Occidente; e adopera aspetti del teatro sperimentale occidentale in A Dream like a Dream, lavoro che si basa sul Buddhismo tibetano.

È un libro informativo, questo di Tuan, per chi, come lo scrivente, non sappia quasi niente del teatro taiwanese; stimolante intellettualmente sul piano del rapporto tra Oriente e Occidente che riguarda ormai noi tutti; combattivo e militante; mai superficiale.


[Roberto Bertoni]