Pearl S. Buck, Peony. New York,
John Day, 1948
Datato
nel secolo XIX nel periodo delle guerre dell’oppio, il romanzo è ambientato a
Kaifeng, città che ospitò per secoli una comunità sino-ebraica con cui venne in
contatto, indirettamente, anche Matteo Ricci [1].
Buck mette in rilievo la permanenza di tale comunità nei suoi ultimi periodi di
fioritura tramite la scelta a motivo tematico di una famiglia prospera con una
consorte ligia alla legge ebraica e un capofamiglia, Ezra, di madre cinese. Al
figlio David è richiesto di sposare una donna ebrea, Leah, ma sceglie una cinese,
Keilang, spingendo così la ragazza ebrea al suicidio. Alla morte del padre, le
tracce ebraiche restano sulla superficie, ma la prole numerosa prodotta dalla
coppia dei discendenti è ormai sinizzata. La crisi di questa cultura è
rappresentata simbolicamente dalla decadenza del tempio ebraico.
Ben rappresentato, come spesso in Buck, il contrasto
interculturale tra occidentali e orientali, tra modelli di religiosità
differenti, con la difficoltà degli ebrei di mantenere uno status di popolo all’interno
di una cultura che gradualmente e senza violenza li assimila.
Il filo conduttore, sul piano narrativo, è dato dal
personaggio di Peony (Peonia), una ragazza cresciuta come serva nella famiglia
di Ezra, ma trattata con umanità. Istruita, avvenente, modesta, gioiosa, ha
quelle che vengono presentate come la quintessenza delle buone qualità cinesi.
Tra David e Peony si instaura, fin da bambini, un rapporto particolare che
eccede l’amicizia pur fraterna, ma, noto a Peony nel suo intimo, e fonte di
sofferenza perché la sua condizione sociale non le consente di accedere all’amore
di David, viene confessato infine da lui troppo tardi, a matrimonio avvenuto
con già tre figli. Per salvarlo da una situazione difficile Peony si fa monaca
buddhista, crescendo in saggezza negli anni fino a divenire consigliera della
famiglia e dell’intera comunità di Kaifeng.
Sono delineate con delicatezza la personalità di Peony, la
sua sofferenza interiore, la sensibilità non leziosa, la capacità di
empatizzare, la bellezza non dispersa nella vanità.
[Roberto Bertoni]