[Chinatown 2011. Foto Rb]
Hou Hsia-Hsien, The Assassin. Taiwan 2016. Con Chang Chen, Shu Qi, Satoshi
Tsumabuki, Zhou Yun
L’intreccio di questo film che si prospetta a
vari livelli sperimentale è volutamente di non immediata decifrazione e si
profila poco per volta tramite cenni del dialogo laconico e per mezzo del
susseguirsi delle scene. Il
regista dichiara in proposito: “I don’t think that plot is the only way to appeal to an audience. The
audience can catch the message of a film through landscape, character, details” (The Guardian 11-1-2016).
Lo spunto narrativo è un racconto
composto durante la dinastia Tang (anni 618-904), che si può leggere in
traduzione inglese online a Tales of the Marvellous.
Nella versione letteraria, la protagonista Yinniang viene cresciuta da una
monaca buddhista dalla quale apprende le arti marziali e la magia per
contrastare politici corrotti, e le esercita poi da adulta assieme al marito,
un lucidatore di specchi, fino a comparire nel nulla in seguito a varie traversie.
Nella versione cinematografica, si assimilano un intreccio sentimentale e uno
politico. Yinniang è data in affidamento alla monaca, che qui è taoista, per
salvarla da rappresaglie dopo che è stato spezzato il fidanzamento con suo cugino,
il figlio del governatore di Weibo (una provincia cinese antica del
Settentrione). La monaca le affida da adulta, dopo averla istruita nelle arti
marziali, l’incarico di uccidere il cugino, ora egli stesso governatore, per
rinsaldarne il cuore che ritiene troppo tenero per i compiti cui è chiamata.
Per rispetto verso l’antico legame con l’uomo, oltre che per considerazioni
politiche, cioè per non far crollare la provincia di Weibo percorsa da rivalità
con l’Impero, Yinniang non esegue l’incarico, anzi protegge il cugino e salva
da una magia nera la sua amante.
L’estetica del film è caratterizzata
da una fotografia di matrice pittorica di ispirazione in parte orientale e in
parte occidentale, che punta sul paesaggio e sulla precisione delle pose, dei
costumi e dei volti. Il silenzio ci richiama al modo di produzione
preindustriale e rurale dell’epoca. La naturalezza realistica degli esterni
contadineschi si accompagna, senza costituire un contrasto stridente, anzi
integrandosi armoniosamente, alla sontuosità dei palazzi, dei colori, delle
vesti, del trucco. Il fiabesco e il magico si alternano al realistico.
[Roberto Bertoni]