["She was hoping the child would grow well, protected" (Nara 2013). Foto Rb]
Yoko Ogawa, Revenge. Sottotitolo:
Eleven Dark Tales. Prima ed. giapponese 1998. Traduzione di Stephen Snyder,
Londra, Harvill Secker, 2013
I racconti che compongono la
raccolta sono collegati non solo dai generi del lievemente macabro e del
meraviglioso nel quotidiano, ma da dettagli che si ripetono in diversi
racconti; oppure da personaggi protagonisti in un racconto, ripresi come personaggi
secondari in un altro. Con ciò si dà l’impressione che, nonostante l’isolamento
inevitabile di ogni storia, venga delineato un mondo con connotazioni comuni,
una geografia e un’ambientazione condivise, una cronologia. Si tratta per lo
più di storie di quartiere, riprese come in una piccola città.
Lo sfondo sociale è quello della
famiglia in crisi e da società liquida, con una matrigna affettuosa, per
esempio, che poi però divorzia, lasciando la casa dell’uomo precedentemente
divorziato con cui era convolata in secondo matrimonio.
C’è una vena di sadismo dichiarato
in modo eufemistico, per lo più, ma piuttosto esplicito nel racconto intitolato “Welcome to the
Museum of Torture”, protagonista il custode di una collezione di strumenti di
tortura che sono stati usati tutti almeno una volta.
Il titolo inglese Revenge si applica solo ad alcuni testi,
come quello appena citato, nel quale peraltro la vendetta è solo immaginaria,
su un fidanzato che lascia la protagonista perché, avvenuto un omicidio al
piano di sopra, lei, pur addolorata per la morte del vicino di casa, si è
lasciata trasportare da un ridanciano entusiasmo per la presenza dei mass media
nel palazzo, suscitando la riprovazione morale del partner che perciò,
compiendo un atto anch’esso discutibile eticamente, se ne va di casa rompendo
definitivamente, di colpo, la relazione.
I protagonisti e narratori in prima persona sono quasi tutti
solitari, alienati, introversi, con una vita difficile che mascherano dietro
apparenze di normalità.
La scrittura è misurata tra
un’ironia sottile e la pietà umana.
[Roberto Bertoni]