In
Viaggi. Articoli 1930-1990. Milano, Bompiani, 1994, pp. 1651-84.
Che senso ha il resoconto di
viaggio se questo si svolge in paesi di cui non si sa la lingua, dunque non
c’è, almeno fino ad anni recenti in cui l’inglese si è fatto lingua planetaria,
che una scarsa possibilità di informarsi direttamente dalla conversazione senza
interprete, di decifrare i segni tramite la lettura non in traduzione, di
esprimere una frequentazione, insomma, tanto della quotidianità, quanto della
cultura, dovuta a materiali di prima mano?
Soprattutto, poi, se, anziché un
apprendere verecondo dal luogo in cui ci si reca, si ha, scrivendo per
quotidiani nazionali, o pubblicando per case editrici di grande diffusione, una
tendenza quasi obbligatoria a trarre bilanci immediati e totali, nati da pochi
giorni di soggiorno e da letture affrettate.
Moravia, per lo meno, a differenza
di altri viaggiatori d’eccezione che hanno visitato la Cina prima di questo
secolo anglicizzato linguisticamente, si attiene a dichiarazioni piuttosto
fattuali e riferisce impressioni personali, ma anch’egli riconosce, nel terzo viaggio, del 1986,
quanto i bilanci frettolosi possano indurre nell’errore. Rivela, per esempio,
di non avere potuto comprendere la violenza della rivoluzione culturale nel
viaggio precedente, del 1967, in cui attribuiva a Mao, tuttavia, un marxismo di
stampo confuciano. (Il primo viaggio risale al 1937).
La predizione del futuro, comunque,
non è tanto lontana dalla realtà, se, in quella metà di anni Ottanta, preannunciava
una Cina proiettata a diventare terza potenza mondiale, sbagliando di due
potenze, dato che è oggi la prima quanto a ricchezza.
[Roberto Bertoni]