[Detail from Hindu Temple (Singapore 2015). Foto Rb]
Titolo in hindi: Aankhon Dekhi. India 2014. Con Rajat
Kapoor, Sanjay Mishra, Seema Pahwa
È un film intelligente, ben recitato e ambientato nei
quartieri poveri di Nuova Dheli che ricordano certe riprese nel neorealismo
italiano, mentre il dialogo potrebbe a tratti, per la drammaticità ironica che
lo caratterizza, essere paragonato con il teatro di De Filippo.
Il capofamiglia di mezza età Raje Babuji, impiegato in un’agenzia
di viaggi, riceve informazioni negative sul fidanzato di sua figlia. Sotto
pressione del fratello di Babuji, viene organizzata una spedizione punitiva a
casa del ragazzo, che però si rivela tutto il contrario di come era stato
descritto: “un agnellino”, come lo chiama poi Babuji, cuore tenero e onesto
lavoratore.
Ne consegue una trasformazione filosofica di Babuji: “Se
le cose non stanno come credevo che fossero, significa che non posso conoscere
niente se non lo verifico di persona”. Da qui nasce un mutamento,
pirandellianamente, ma descritto nel film sempre con leggerezza e ironia:
Babuji porta all’estremo le sue nuove convinzioni ideologiche, arrivando a
licenziarsi per nbon ingannare i clienti che ritiene di non poter fa viaggiare
in paesi che non ha visitato di persona.
Babuji diviene una specie di guru del rione, facendo
accoliti che lo rispettano e pendono dalle sue parole anche quando egli tenta
di sottrarsi e di cacciarli. Entra in contatto con un malavitoso perché nella
neo-disposizione verso gli altri c’è anche l’idea che non si possa dare per
scontata la cattiveria. Si dà al gioco d’azzardo con fortuna, risollevando le
sorti finanziarie.
Non senza ammiccamenti critico-umoristici a Bollywood,
giunge l’immancabile scena del matrimonio della figlia, insomma anche un lieto
fine non clamoroso, ma che rivaluta umanità e sentimento.
Bene in rilievo la povertà del quartiere, l’assurdo della
vita, il rischio di dissoluzione dei nuclei familiari sotto la spinta dell’arricchimento
e della modernizzazione.
[Roberto Bertoni]