21/08/15

Randy Ang, 1965



[Flags (Orchard Rd 2015). Foto Rb]


Randy Ang, 1965. Singapore 2015. Co-diretto da Daniel Yun. Con Mike Kasem, Lim Kai Tong, Joanne Peh, James Seah, Sezairi Sezali, Deanna Yusoff, Qi Yuwu


Sono trascorsi pochi mesi dalla scomparsa, nel marzo 2015, di Lee Kwan Yew, il fondatore della Repubblica di Singapore e lo statista che da un lato ha portato il paese all’intesa multiculturale tra etnie (cinese hokkien, malay, indiana), aggregandole con la lingua ufficiale inglese e il bilinguismo fin dalla scuola e con politiche sociali pacificanti, e allo sviluppo accelerato, con redditi medi di buon livello e un’economia internazionalizzata, ma dall’altro lato ha governato con autoritarismo, comprimendo l’opposizione. La commemorazione della sua scomparsa, assieme alle domande sul futuro di Singapore in vista delle prossime elezioni, si coagulano attorno ai festeggiamenti per il settantesimo anniversario della Fondazione delle Repubblica (1965).

È appunto questo l’anno che dà il titolo alla pellicola, che si svolge lungo l’arco dei due anni precedenti fino alla proclamazione.

Il film si serve di materiali di archivio in parecchie scene, il che incrementa la sua storicità e un’estetica della sobrietà non sensazionalistica; da notare la recitazione misurata di Lim Kai Tong nella parte dello statista che appare a diverse riprese nel film. A questo livello si tratta di un film storico, per quanto celebratorio.

Sul piano sociale la storia narrata, come pure i commenti ufficiali riprodotti, puntano sul conflitto interetnico del 1964, che vide contrapporsi soprattutto la comunità cinese e quella malay. Viene suggerito che gli scontri di piazza e le violenze di allora venissero fomentate dall’esterno (dalla Malaysia soprattutto, che aveva interesse a ridimensionare la componente cinese al tempo della presenza di Singapore nella federazione malese), ma anche dall’interno, da parte cioè di estremisti che fomentarono l’odio con mezzi privi di scrupoli etici, come il rapimento di bambini della propria parte per far credere che ne fosse responsabile la parte avversa, guidando così verso la vendetta e incrementando la spirale degli scontri. L’uscita dalla Federazione Malese fu giocoforza e nel lungo periodo, nonostante i timori per la sopravvivenza di uno Stato così minuscolo tra vicini non sempre amichevoli, si è rivelata, almeno finora, una scelta positiva sul piano economico e in parte sociale.  

Anche questi elementi vengono rappresentati nel film, che possiede, nella parte di invenzione, tratti opposti a quelli storici compresenti, giocando, per esemplificare la situazione e spingere all’immedesimazione, la carta delle emozioni, coinvolgendo i conflitti tra due fratelli cinesi, uno poliziotto imparziale e fedele alle istituzioni, l’altro studente universitario convertito al nazionalismo di cui perirà; tra la madre di un bambino di famiglia malese che viene ucciso nel corso di una dimostrazione senza che il poliziotto onesto intervenga, in realtà perché non nota il ragazzino assalito nella gran calca, ma agli occhi della madre perché non ha voluto proteggerlo; il rapimento della figlia del poliziotto da parte degli stessi cinesi fingendo che l’abbiano messo in atto i malesi.

Si pongono problemi politici, certo, ma soprattutto umani ed etici su come convivere senza sterminarsi e sul multiculturalismo che, oggi in discussione in altre zone geopolitiche, sembra invece l’unica soluzione corretta per Singapore.

È un bel film, epico ma non spettacolare, emotivo ma non smodato, storico ma narrativo.


[Roberto Bertoni]