[SAM (Singapore 2015). Foto Rb]
“After Utopia”. Mostra presso il SAM (Singapore Art Museum), 1 maggio – 18 ottobre 2015.
Sottotitolo: “Revising the Ideal in Asian Contemporary Art”. A cura di Tan
Siuli e Louis Ho
È una mostra che segue percorsi
interdisciplinari, sollecitando dagli artisti risposte al concetto di utopia in
un’Asia orientale che si è profondamente modificata negli ultimi vent’anni,
mettendo a repentaglio le concezioni tradizionali e idealistiche, proponendo
nuovi valori, testimoniando al contempo di accadimenti distopici.
I percorsi delineati dai curatori
sono quattro: “Other Edens”, “The City and its Discontents” (che si apre tra
parentesi con una citazione dalle calviniane Città invisibili), “Legacies Left” e “The Way Within”.
Le sezioni esplicative sono
chiare e articolate con concisione e profondità. Da un lato si rimette in gioco
l’eredità coloniale, ma si dimostra al contempo come essa sia oggi superata e
integrata nelle concezioni del mondo degli artisti di quest’area geografica.
Il concetto di utopia, nella sua
identificazione con la natura, ora l’Eden, ora la foresta, ora la città ideale,
viene messo in discussione mentre resta aspirazione a verificarsi, col che la
città è esibita nella sua quotidianità e nell’alienazione, né mancano chiare
rifrazioni del bellicismo.
Numerosi e tutti ragguardevoli
gli artisti, a testimonianza della vivacità del panorama culturale asiatico
contemporaneo: Svay Sareth (Cambogia), Gao Lei, Shen Shaomin (Cina), Jitish
Kallat (India), Davy Linggar, Maryanto, Agus Suage, Yudi Sulistyo, Made Wianta
(Indonesia), Kawayan De Guia, Geraldine Javier (Filippine), Chris Chong Chan
Fui, Anurendra Jegaveda (Malaysia), Shannon Lee Castleman, Donna Ong, Tang Da
Wu, Ian Woo (Singapore), Kamin Lertchaiprasert )Tailandia), “The Propeller Group”,
composto da Tuan Andrew Nguyen, Phunam Thus Ha, Mathew Charles Lucero (Vietnam).
Sarebbe difficile scegliere opere
rispetto ad altre, dato che sono tutte di rilievo ed esteticamente di interesse,
quelle puramente pittoriche in minoranza, mentre prevalgono i materiali misti e
integrati, le tecniche composite, la scultura frammista a oggetti naturali, l’oggetto
e il video.
Tra le opere di maggior impatto
ideologico, e per esemplificare, se ne potranno citare tre.
“Letters from the Forest” di
Donna Ong, è una scrivania vittoriana con parecchi oggetti significativi che,
da un lato, riproduce archivisticamente il tavolo da lavoro di un inglese dell’epoca
da parte di chi oggi rappresenta l’eredità culturale nel suo complesso, recuperando
pertanto anche il passato coloniale a livello di reperto, dall’altro evidenzia
allegoricamente la presenza imperialista: la superficie lignea è coperta di
farfalle in corso di conservazione, con aghi infilato nel corpo.
“Jurong West Street 81” di
Shannon Lee Catleman è un intervento mediatico di interazione con una comunità
di inquilini di stabili singaporensi. L’artista ha persuaso gli inquilini a
stare alle finestre dei palazzi che si fronteggiano e ha ripreso i loro gesti e
alcune parole che pronunciano, a dimostrare che se si guardano gli uni con gli
altri possono superare l’incomunicabilità dei casamenti anonimi dove tutti si
conoscono di vista e non si parlano più.
L’installazione audiovisiva del “Propeller
Group” si intitola, significativamente, “Television Commercial for Communism”.
Si serve delle tecniche della pubblicità, protagonisti sette individui seduti
in semicerchio e vestiti di bianco anziché di rosso, che si atteggiano in varie
pose a difesa del comunismo, mentre il fattore commerciale mette in questione
la deriva consumista e ineguale di paese come Cina e Vietnam negli ultimi anni.
L’utopia e la critica, in breve
si intrecciano e sta allo spettatore riflettere sulle questioni poste dalla
mostra, che, tutte, ci riguardano.
[Roberto Bertoni]