05/08/15

Carlo Cassola, UN CUORE ARIDO


1961. Milano, Mondadori, 2007, a cura di Alba Andreini. (Edizione Kindle)


Cassola, in una nota del 1971 citata nell’edizione Kindle, conferma quanto si nota nella critica con frequenza su Un cuore arido del 1961, ovvero il ritorno alla scrittura dell’esistenza dopo le storie resistenziali (tra cui soprattutto La ragazza di Bube del 1960): “l’esigenza di esprimere il mio sentimento esistenziale, tenuta in sordina per tutti quegli anni, tornava a farsi sentire con la stessa forza di quando ero giovane”.

Nella stessa nota, l’autore insiste anche sull’importanza di Thomas Hardy nella formulazione di Un cuore arido, in particolare per via dell’“immaginazione” e della “straordinaria vitalità dei personaggi [...], specialmente di quelli femminili”, che sono effettivamente caratteristiche dei personaggi anche di Cassola.

Lo scrittore vede la protagonista Anna come antitesi della “ragazza romantica”: è “realistica, ha i piedi in terra”, qualità, ci pare, solo in parte confermata dal testo, dato che la sorella Bice si sposa alla fine, diciamo realisticamente, per essere maritata, e con un uomo che ha buone qualità, senza amore profondo, mentre Anna, innamoratasi del soldato Mario, poi coinvoltasi per svuotamento interiore e fallimento della volontà, per delusione, col ricco Marcello (“s’era perduta con un uomo che non amava nemmeno. S’era perduta scioccamente”), respinge la richiesta finale di matrimonio da parte di Mario emigrato in America con motivazione piuttosto idealista: si è data a un altro dopo Mario, quasi, complici i pregiudizi sociali a lei contemporanei, non meritasse l’amore. Infine decide, su basi ancora raziocinanti e idealistiche, di vivere per conto proprio, senza famiglia in una calma acquisita e con fedeltà all’autenticità interiore: “Era ormai una donna quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, e non temeva la solitudine”.

Secondo Giuliano Manacorda, il titolo rappresenta effettivamente l’inaridimento “compiuto del tutto” e “approdato a quella dimensione in cui speranze, passioni, dolori sono diventati oggetto di tranquilli ricordi” (Invito alla lettura di Cassola, Milano, Mursia, 1973, p. 85). È vero che Anna si ritira dalla turbolenza delle passioni. Si può, tuttavia, parlare di inaridimento, veramente, per un’introversione di questo tipo? Non, piuttosto, di difesa dal dolore provato, dall’agone dei vortici che hanno portato pena, di cammino verso una saggezza interiore non ostentata, silenziosa, dignitosa? Il titolo sembra, piuttosto, un’esca tesa al lettore: arido, forse, il cuore di Anna quando si lascia trasportare dalla corrente delle passioni; e rivitalizzato dalla solitudine e dalla serenità, apparente o reale che sia, alla fine. L’aridità è anche un pregiudizio sociale, segnala una differenza dal giudizio della maggioranza, dato che nel romanzo si legge: “Lei era fatta così, non sapeva esternare i propri sentimenti: per questo la giudicavano senza cuore”.

Secondo Rodolfo Macchioni Jodi, in Un cuore arido, “volontà e destino non sono [...] due forze in lotta, ma due forze che tendono allo stesso fine. Che è quello di un’estrema adesione alla vita come pura essenza” (Rodolfo Macchioni Jodi, Cassola, Firenze, Il Castoro, 1967, p. 98). “Il senso del libro parrebbe [...] un omaggio reso alla genuinità della sostanza di là dalle apparenze” (p. 101). Quella di Anna è una “fuga dal mondo” (p. 103) e Cassola, col suo “temperamento lirico [...], respinge la compromissione con la storia” (p. 100).

Al contrario, Edoardo Esposito (“Sulle tracce di una tipologia di personaggio femminile in alcuni testi di Carlo Cassola) dimostra che, nelle storie del periodo di Un cuore arido, Cassola va controcorrente rispetto ai parametri sociologici dell’epoca, in quanto le protagoniste, Anna Cavorzio come Rosa Gagliardi, scelgono la solitudine e il celibato mentre le aspettative sociali erano quelle del matrimonio e della famiglia; verrebbe dunque assegnato alle donne un ruolo emancipatorio da parte dello scrittore toscano. Siamo piuttosto concordi con questo giudizio, più che con quello di Macchioni Jodi relativo alla storicità.

A tale proposito, andrebbe aggiunto che c’è un’attenzione a comportamenti anticonformisti e una denuncia della condizione femminile subalterna, anche molto esplicita in certi casi, più evidente la dichiarazione attribuita al personaggio della zia: “In campagna era così, le donne erano schiave”. O quando il personaggio di Lina afferma: “M’è sempre piaciuta l’idea di lavorare, di diventare una donna indipendente”.

D’altro canto, l’interpretazione esistenziale di Macchioni Jodi è utilmente delineata e approfondita, fedele al testo cassoliano e alle sue intenzioni subliminari. In Un cuore arido, la voce attribuibile all’autore rivela: “La vita, l’essenza vera della vita, era qualcosa d’intangibile. Niente poteva intaccarla: e i fatti, quei fatti di cui si parla tanto, e in cui sembra che consista la vita di una persona, erano in realtà senza importanza, senza significato”.

Al contempo, Un cuore arido, come le altre storie di Cassola, rappresenta uno spaccato significativo di realtà.

Tacciare Cassola di populismo nel senso negativo, a cinquant’anni dalla pubblicazione di Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa (1965; Roma, Samonà e Savelli, 1971), libro in cui si legge che “la solidarietà popolare non è per il nostro scrittore niente più che il riconoscimento istintivo di una comunanza fatale di afflizioni e patimenti” (p. 321), pare a noi non aderente ai testi e alle convinzioni extratestuali di Cassola. In Un cuore arido, il radicamento nel luogo è profondo per i legami familiari e sentimentali dei personaggi, senz’altro, ma anche per un affetto nei confronti del paese e della sua cultura antropologica, e per la politicità diffusa e data come per scontata, che rappresenta il tessuto di sinistra toscano.

Più pertinenti, a nostro avviso, gli altri versanti del giudizio di Asor Rosa su Cassola in generale: “il dolore […] è legge universale, e soltanto chi lo esperimenta fino in fondo può sperare di superare il proprio egoismo e la propria indifferenza” (p. 320); “la poesia è raggiunta tutte le volte in cui si verifica questa profonda compenetrazione di un destino individuale con la legge universale dell’esistenza” (p. 312).


[Roberto Bertoni]