Edizione
cinese 2013. Traduzione francese di A. Pino e I. Rabut: Parigi, Actes Sud, 2014
Un’anti-creazione, rispetto al
titolo e alla citazione biblica, tratta dalla Genesi, dato che il protagonista e narratore in prima persona narra
la storia dei sette giorni a partire dalla propria morte, dovuta a un’esplosione
di gas in un ristorante, fino al punto d’avvio verso l’incenerimento che
distruggerà ogni traccia dell’esistenza terrena.
In parte secondo la tradizione Buddhista
dell’Asia Orientale, in “ce silence qui s’appelle la mort”, l’anima vaga; in
parte seguendo storie classiche di fantasmi cinesi e un assunto narrativo
surrealista (“comme dans un rȇve”), stenta a riconoscersi appieno, si muove nel
paradosso del corpo che crede di avere ma che è invisibile a chiunque altro; e,
pur nel disorientamento cognitivo (“une mémoire coupée du monde, faite de
fragments disparates, à la fois vide et réelle”), s’incontra con altri
personaggi della sua cerchia, deceduti di recente, e ricorda i fatti più
importanti della vita propria e di altri, riferendo così di una Cina
caratterizzata da alti livelli di disuguaglianza sociale, di povertà economica,
di prepotenze, discordie, gelosie. La moglie l’ha lasciato per avviare una
relazione che favorisse la propria carriera; un innamorato si vende un rene per
pagare la tomba alla fidanzata; ventisette bambini deceduti vengono lasciati
galleggiare sul fiume; e anche nell’aldilà, in attesa di farsi incenerire, ci
sono defunti privilegiati e proletari.
L’alleggerimento compensativo è
dato dalla fibra morale del padre adottivo, che è vissuto di abnegazione per il
figlio raccolto sui binari di un treno in circostanze eccezionali; e da una certa
fiducia nell’amore di coppia, che può riscattare.
Prima di giungere, infine, al punto
in cui, dissolta traccia anche del fantasma residuo, “il n’y a ni chagrin ni
doleur, il n’y a ni rancune ni haine... [...] tous sont égaux dans la mort”.
[Roberto Bertoni]