[Osaka, Takimikoji, 2012. Foto Rb]
Junichiro Tanizaki, Naomi. Traduzione
dal giapponese in inglese di A.H. Chambers. Londra, Pan, 1987
In termini comparativi, l’archetipo dell’adolescente fatale
si ritrova tanto a Oriente che a Occidente, e su tale terreno in relazione con Naomi si potranno invocare Nana di Zola e Lolita di Nabokov. Naturalmente ciascuno di questi tre libri con
propri contesti e sviluppi autonomi all’interno del comune spunto di partenza.
Tanizaki pubblicò Naomi
inizialmente a puntate nel 1924 su un quotidiano giapponese, pubblicazione
interrotta dalla censura per la scabrosità della materia trattata, ma ripresa
su richiesta del pubblico su un’altra rivista alcuni mesi dopo.
Il narratore in prima persona, Jōji, ventottenne, lavora
con mansioni di impiegato in un ufficio rispettabile per una ditta produttrice
di materiali elettrici, proviene da una famiglia rurale, è infatuato
della modernizzazione e dei valori occidentali, più come questione di stile e
comportamento, si direbbe, che per principi profondi. Conosciuta Naomi
quindicenne, somigliante, come si legge nella testimonianza del narratore, a un’eurasiatica
più che a una giapponese tipica, e simile all’attrice Mary Pickford, in un bar
equivoco, decide di sottrarla a una vita di stenti e volgarità per educarla (trasformandosi
in una specie di shawiano Pigmalione, per insistere con comparazioni occidentalizzanti)
a diventare una raffinata signorina da esibire con orgoglio, come egli stesso
dichiara, in società. Le propone di vivere a casa sua, le pagherà gli studi. La
ragazza accetta e segue corsi d'inglese e musica privatamente. La relazione tra i due
ha un che di perverso e innocente allo stesso tempo: convivono da innamorati, ma
il rapporto resta platonico fino a quando Naomi è diciottenne e i due
protagonisti si sposano. Poco per volta Naomi si rivela non solo disordinata e completamente disinteressata a mansioni domestiche, ma anche protagonista di tutta
una serie di avventure galanti con studenti giapponesi e con uomini occidentali, dandosi
sia liberamente che in cambio di doni costosi. Nel background familiare di lei
si rivela la professione di tenutaria di un postribolo della madre e viene in
luce la tendenza di Naomi stessa, quasi con naturalezza, alla prostituzione. Caratterizzano
gli atteggiamenti di Naomi un misto di indipendenza, individualismo ed egoismo,
consapevolezza della propria bellezza e disponibilità a offrire il proprio
corpo senza scrupoli etici. Chi si è innamorato di lei ne esce devastato
psicologicamente. Lo stesso Jōji la caccia di casa, ma dopo un certo periodo,
per iniziativa di Naomi, i due si riconciliano e lui ne accetta la promiscuità. Le ultime parole del libro sono: "Che ci volete fare? La amo".
Ciò che rende questa storia moderna è non solo l’orientamento
di Naomi e Jōji verso modelli occidentali, simbolizzati soprattutto dal ballo, dai vestiti, dalla cucina, dalle interazioni sociali, col chiaro sottinteso che essi, pur
essendo in simbiosi col Giappone di nuovo stampo che si veniva formulando, conducono a deviare da una vita mentalmente sana e operosamente regolare; ma anche la leggerezza e la concisione con cui vicende
così tragiche vengono raccontate, non esente l’ironia. Si tratta di una diagnosi della modernizzazione, accompagnata da un vincolo amoroso che pare troppo forte per sottrarsi persino a dinamiche autolesionistiche. Satira? Realismo? Si resta in sospeso tra queste due possibilità, merito della strategia narrativa dell'autore.
[Roberto Bertoni]