[“Cut from the green hedge a forked hazel stick / That he held
tight by the arms of the V: / Circling the terrain, hunting the pluck / Of
water […]” From Seamus Heaney, “The Diviner". Location of the photograph: Ashford 2014 (Foto Rb)]
Russell Crowe, The Water Diviner. Australia, Turchia, USA
(2014). Tratto
dal romanzo di Andrew Anastasios e Meaghan Wilson-Anastasios. Con Jai Courtney, Russell Crowe, Yilmaz Erdoḡan, Olga Kurylenko, Cem
Yilmaz
Richiede credulità, o meglio volontà di sospendere
l’incredulità nell’ambito della narrazione e per la sua durata (l’espressione
inglese è suspension of disbelief)
rispetto a due elementi: la telepatia che consente a Joshua Connor, un padre australiano,
di localizzare i figli deceduti sul campo di battaglia di Gallipoli, dove li va
a cercare dopo la fine della Prima Guerra Mondiale nel 1919 (telepatia
giustificata, un che paradossalmente, dalla rabdomanzia del protagonista);
l’amicizia e l’alleanza originatesi tra Connor e Hasan, il comandante del
battaglione turco contrapposto in trincea contrapposto alle forze dell’ANZAC
(australiani e neozelandesi) che persero la battaglia di Gallipoli nel 1915.
Poste queste premesse, si possono notare gli
intenti umanitari del film. La concatenazione degli eventi comprende il
suicidio della madre alla notizia che i figli sono morti in guerra; la
conseguente decisione di Joshua di recuperare i cadaveri per seppellirli in
patria vicino alla tomba della moglie; il rapporto di amicizia con Ayshe, l’albergatrice
turca di una pensione di Istanbul, dapprima ostile per il ruolo delle truppe
ANZAC nei combattimenti, ma poi umanamente coinvolta nel caso pietoso di
dedizione paterna dell’australiano.
L’intreccio secondario, che corre parallelo a
quello principale, è la storia di un’altra perdita: quella del marito scomparso
da parte di Ayshe e del figlioletto (quest’ultimo in buoni rapporti con Joshua
da subito) e la protezione che l’australiano garantisce contro le pretese del cognato
della donna di sposarla. C’è una certa correttezza nel definire tanto la
distanza tra culture e la necessità, a certi livelli, di non interferenza
reciproca, ma anche la generale umanità, al di là delle razze e delle
convenzioni, che consente a tutti gli esseri di comunicare su questo pianeta.
Hasan reagisce in base a tale sentimento nella
decisione di dare una mano a Connor; e poco per volta ne ammira la rettitudine,
al punto di instaurare un rapporto di complementarità, permettendogli di unirsi ai
volontari nazionalisti nella guerra greco-turca (1919-1922), in modo da
arrivare alla destinazione del paesino dell’Anatolia in cui uno dei figli,
mirabilmente sopravvissuto, si è rifugiato.
Lieto fine: il figlio traumatizzato decide di
tornare a casa. Si ritrovano nella pensioncina di Istanbul con Ayshe ancor
vedova non rimaritata. Presto sarà futuro. Sipario.
Belle le immagini del deserto rosso australiano.
Efficace la rappresentazione delle vie della capitale turca. Buona recitazione:
piuttosto introversa, il che conferisce tratti compassionevoli.
[Roberto Bertoni]