includimi alle cimase delle case
rondine perfetta. fai di me un argine
di occaso per morire sonnambula.
già sul collo sento lo zaino di bombe
per le ossute crocevie di morire
finalmente con la patina di sorridere
le gite di fanciulli senza fine.
dammi il coraggio di credere alla stazione
dove si arruola l’occaso della nuca
la casa ottusa che non serve più.
meringa di me ero bambina
senza la gara di reggere il sole
ma piangere per sempre sotto lo stabbio
di gatti alla malora. indagine di azzurro voglio la dritta
di andarmene mangiata dalle onde dal vento più cattivo.
resto per una mania di persecuzione
senza coraggio di arridere al tonfo
come fanno gli atleti della sorte.
invadimi il sentiero di crepare finalmente eroe
del caso sposato con la cenere. invece sto a casa
urlo di alcova verso la teca morta.
sono caduta nell’eremo di pece
condanna con il cappio della storia
alunno senza nanna per tornare.
il leggio del prete consuma le ossa
dà da credere erudita la fossa
finalmente senza lacci la concordia.
Veronica l’addobbo della pietà
mi dice no con la tunica stracciata.
52.
nonostante il buio della roccia
vado consunta a cercarti,
nella scansia della madre
la farina si è avvelenata.
lunatica padrona la mia stanza
tutto desta diavolesco,
le muse non hanno le esche per essere
amate. a muso duro uscirò da dietro
per non farmi pescare. chissà se basterà
il ciliegio per reggere la falla
così perfida da fare litigio.
le bambole si ammalano vestite
come i fiori finti sembrano vivi
carichi di polvere.
brancolano le giostre che nel vento
diventano vecchie darsene di ruggini.
angeli resi inutili aspettano all’angolo
godendosi la vacanza cattiva
di nullafacenti amori la terra d’accordo.
53.
rancida la mania di rispetto
le spore che vanno e vengono per
far nascere i fiori di pasqua. sulle cimase
ripidissima la venia di chiedere perdono
verso l’occaso e l’alba gemellari.
in un tono da statuto ho visto
l’erba piangere gli stenti delle brine.
un osanna di sperpero il tuo cuore
sensato nel massimo bene
degli specchi che non ti ingannano.
io sono invece una pietà stenta
incline alla bestemmia
alla cenere che stermina se stessa.
in tempo di basto inchino il viso
verso la cerimonia della fatica
la viperina sfinge del corpo nudo.
in mano alla vergogna civettuolo il mondo
ma la bravura accasa lo scontento
vetustà del tedio darsi la morte.
54.
pietà ritorna in fase di collasso
era l’inverno che mi salassava
il ventre e la nomea del sale
a far verdetto. nel sale che fa rantolo
la nebbia si adotta la scodella del viandante,
fosse cortese il panico la pallida aureola
del mio sconforto partorito dal torto di restare
residuo di vita traballante straccio.
in braccio alla maniglia della rondine
apro il mio risucchio la povertà guardinga
di sfatare chissà quale maestria d’orizzonte.
oggi si piange per sempre sul sereno
sul labiale di chiedere il chiaro
per una bastevole entità di nicchia.
in pietà di chiodo arrivi santo
il traliccio che insinua malinconia
la trebbia di starsene morenti
sotto la reggia della gioventù sfinita.
55.
la luce dell’erba stando in cantina
dove si affaccia la verità del drago
e pialla il gomito la fossa.
intruglio di cometa credere in dio
nella faccenda che squaglia il sasso
e lo rimembra assoluto.
i cortili scolastici hanno il canestro
malizioso d’amore. la luna mortale
stemma di meringa la gara di fare
gol all’ultimo minuto dove s’intralciano
dio e la sentinella del campo. addio
ti dico con la cialda vuota
e la manciata di un eremo cortese
in mezzo al senso del vero incanto.
segugio di me il fare meta per connettere
un angelo disperso verso il simulacro del
vento che scortesia avviene. non darmi
inverno anche tu che premi verso la stesa
dei fiocchi di neve. da subito verso
la giungla delle miniere si siede il veto
dell’angelo il gerundio malfermo delle unghie.
l’esito postremo di chi mi chiama strazio
per la fasulla inutilità del fato. in culla
sull’addendo delle foglie vo tracimando
cenere.
[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]