Prima
edizione 1944. In Tommaso Campanella, La città del sole, Milano, Adelphi, 1995,
pp. 9-22 e 127-179
Mentre giudica “singolare” l’opera
di Campanella, e loda il suo “ingegno” in quanto “uno dei più singolari di quel
periodo della nostra storia letteraria che Francesco De Sanctis chiama la Nuova
Scienza” e animato da una “vena di [...] lucida pazzia” (p. 152), Savinio
prende le distanze dalla realizzazione pratica dell’utopia: “come modello di
repubblica da imitare, la Città del Sole è
un modello da non imitare” (p. 22).
In sé, tuttavia, l’idea di utopia,
appare moderna a Savinio, non in senso temporale ma qualitativo, perché si
fonda su una concezione di autonomia, di “uomo che pensa con il cervello
proprio” (p. 11), un aspetto di libertà. Se in un regime teocratico, “l’uomo
può ricordare la felicità, la può sperare, ma possedere non la può”; è
affrancandosi dalla teocrazia che la felicità diventa immaginabile: “la
felicità di sentirsi soli arbitri di se stessi” (p. 14).
Nondimeno, ci sono contraddizioni
nella Città del Sole, che “conserva
alcune qualità della Città di Dio” agostiniana (p. 15) e “serba un po’ dello
stile di Dio” (p. 17).
La fonte principale di Campanella è
Tommaso Moro, “modello delle utopie successive. Molto della Città del Sole,
sebbene più nell’esteriore che nell’essenziale, è una replica dell’Utopia scritta più di cent’anni prima”
(p. 147).
A sua volta, Campanella “precorre
il positivismo”, ovvero la “Religione dell’Umanità” di Comte (p. 149).
Il “lavoro come necessità etica”,
riscontrato da Savinio in Campanella, è “fondamentale negli utopisti”, da
Platone a Wells (p. 169).
Se queste sono le basi di un
apprezzamento obiettivo del testo di Campanella, il commento di Savinio si
qualifica di più per l’idioletto di notazioni sparse, atte
a comprendere piuttosto Savinio che Campanella. Leggiamo, così, la predilezione per
l’enciclopedismo (come nel Savinio dell’Enciclopedia);
rilievi frammentari, quali: “condivido l’odio dei solariani per il
nero, [...] colore della falsa serietà” (p. 167).
La conclusione saviniana è che
“l’utopia attua quello che l’uomo desidera ma attuare non può” (p. 178).
[Roberto Bertoni]