A cura
di E. Sartorelli. Pistoia, Via del Vento, 2007
Utile la cura, da parte di Emanuela Sartorelli, di questo diario di viaggio, stilato
da Sereni durante l’esperienza cinese, organizzata dal Sindacato Scrittori,
assieme ad Arbasino, Bujatti, De Jaco, Luzi e Malerba. L’apparato di note
chiarisce vari riferimenti storici e letterari, ma confronta al contempo le
notazioni di Sereni, in precedenza non pubblicate, con quelle dei colleghi che
scrissero sul viaggio in articoli e libri, dal che si ricavano impressioni
divergenti sulla Cina, mentre altrove si confermano opinioni comuni sugli
autori conosciuti e su luoghi visitati.
Se è pur vero che si ha in Sereni la “ricerca […]
di qualche interiore consenso”, prevale senz’altro lo “spaesamento” (p. 29).
Chi qui scrive è sempre un po’ scosso, oltre che
stupito, dal fatto che, nel confronto con l’Oriente, tanto spesso venga scelta
la via dell’alienità, del “sono diversi da noi”, una caratteristica reale,
certo, per vari versi, eppure non ci pare prevalente nel contatto tra la
cultura europea e quella dell’Est, vuoi perché l’umano accomuna tutti, vuoi
perché bisognerebbe in primo luogo tenersi stretti alla modestia dell’ignoranza
linguistica, nonché, in maggiore o minore misura nei non sinologi in questo caso,
e non orientalisti di professione in genere, che impedisce un confronto
diretto, ostacolando così la comunicazione paritetica, per cui talora quanto
appare differente sarebbe forse abbastanza
simile a un’osservazione più
ravvicinata, inoltre le coordinate orientali specifiche verrebbero in luce,
come appunto nelle pagine di esperti del settore, con nitore e spessore
culturale. Non che l’approccio d’altro ordine non sia piacevole e interessante,
a testimonianza di un interesse che varia dalla curiosità all’apprendimento.
Quanto non troviamo troppo utile, invece, è la delusione per ciò che si trova,
dato che si troverebbe di più se si sapesse di più; e peggio ancora il “fare la
lezione”, per esempio chiedere agli intellettuali cinesi che siano contro il
loro regime e la loro patria, che tradiscano la cultura nazionale in funzione
cosmopolita, e così via. Ad altra sede, in ogni caso, il discorso contrario,
cioè l’atteggiamento orientale nei confronti dell’Occidente. Veniamo a Sereni,
che con quanto sopra c’entra solo fino a un certo punto.
Come già notavamo per Moravia, in Sereni c’è una strana tendenza, anche
nell’ammirazione, a restare in superficie parlando di spettacoli: così i
burattini sono esoticamente “pregevoli” per “sfarzo di luci e di stoffe”; e ove
al teatro degli adulti il testo è tradotto dall’interprete, manca un commento
sui contenuti, che so? un confronto con simili storie della tradizione
occidentale, per lo meno, quasi il testo fosse secondario, notando invece
soltanto, in poche righe, che “si mescolano lirica, dialoghi e monologhi,
canto, musica e acrobazia” (p. 14).
Sereni trova deludente, si direbbe, gli incontri
con la maggior parte degli intellettuali, organizzati dal corrispettivo del
Sindacato italiano, nella fattispecie l’Associazione Scrittori Cinesi.
Sembrerebbe che gli interlocutori siano propensi più a sentirsi in linea con la
politica ufficiale del PCC dopo la conclusione dei processi alla “Banda dei
Quattro”, sebbene si rilevi a volte la loro “sincerità”. Di Pa Chin, Sereni
nota l’avversità alla tecnica, perché, a parere dell’autore cinese, essa “si
forma scrivendo, viene a mano a mano che si prende coscienza di sé nello
scrivere”: Sereni giudica questa
affermazione “la cosa più interessante che gli sentiamo dire” (p. 15). La
divergenza di gusti: l’autore cinese, non citato per nome, che “dice di non
amare Dostoiewski perché angoscioso e angosciante” (p. 17). Da Mao Dun “non si
cava molto più di quanto già non si sappia” (p. 10); e ci sarebbe da domandarsi
perché, a un autore di questa levatura e importanza vengano semplicemente
rivolte domande di prammatica, a sfondo politico, invece di indagare con
commenti e richieste specifiche sulla sua opera creativa. Gli scrittori di
Shanghai sono “gente che ama leggere, ma […] legge un po’ a caso”: il
riferimento è alla lettura di Spartaco
di Giovagnoli (p. 18); e in questo frangente, se i cinesi avessero domandato
agli italiani che testi cinesi avessero letto, avrebbero ricevuto una risposta
di quante letture documentate e sistematiche di opere asiatiche da parte dei
visitatori italiani?
[Roberto Bertoni]