21/02/15

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 41-45)



41.

sarà così che andrà via l’umano
dal sangue prolisso dell’invano,
la gloria scalcinata dell’infanzia
quando mia madre m’incise il cuore
per una manciata di cipressi plurimi
dove nessuno osa ridere la nenia
di guardarli. in pugno all’osso di mio padre
morto questa cometa resa permuta di sé.
la giuria della foce è il disinganno
protervo quando una rupe in fretta
canuta. la tuta della neve è un pupazzo
che fa cadavere sulla panchina
patente noia della vita china.
il feretro del sole non sa promettere
che regalie di ceneri. il ghetto del sopracciglio
non mi fa vedere che ombre nel breve viale
che sperpera la rosa e la inuma.


42.

resisto da sola in campo corto
in un assesto di storia quasi sbornia
per uno svilente anfratto senza abbracci.
brancolo una neve che mi dia rispetto
un aspetto smilzo per le rondini
finalmente una gincana credula
dove addormentare il tempo.
un urlo bonario di civetta
accrediti il lunario presso dio
con la risposta in apice di cielo.
qui a me di spalle c’è un diamante cieco
valore letargico e mortale. accanto
a un amante mansueto s’issa
la stazza del verdetto.


43.

azzardarmi a piangere ancora
tu che fosti amore di corriera
quando la strada inciampicava
e la cava eterna dell’oro
era la nostra vanagloria.
più piccolo di un putto il tuo soldato
quando preparava la vita con lo zaino
delle belle arti e si baciavano in fronte
i passerotti con le allodole dolenti.
vizzo paracadute non vivo più
che argini divelti verso il lutto
della resina partigiana più forte
della colla. in lutto dal secolo scorso
m’immacolò il dorso della nuvola
così per pietà d’affitto. ora regna
vuoto lo scivolo senza le giostre
o il pegno della rondine a tornare.
immortale il setaccio di mia madre
trova ceneri proprie più nulla da guardare
dal faro che vanifica la luna. ora è morto
il rito e l’alfabeto beato qualora fu bambino
in sella alla trappola divelta. in crollo alla tattica
del cielo la foto di mia madre è sbiaditissima.


44.

elemosina stellare il coro del lutto
dove si trovano gli elenchi delle stasi
e le vermiglie monadi del sale
dove gareggia la miglior giovinezza
e s’inquina l’ufficio giornaliero
tra venuzze di strade senza fine
per l’elegia di nozze senza senso
dove troneggia estate la superba.
venuzze d’altro mondo fare la guida
verso paesi dotti di ossigeno
mangimi per gerundi stare allerta
quando prevale l’enigma di tanto male
tra lo squallore del legno e le formiche
che schedano l’alloro della gioia
in un divario di denaro per assassini
in un urlo di silenzio per l’avaria
del tetto senza amore. incudine di satana
vederti morire da sotto le squame del serpente
per addii di gruppo dove si muore
in assoluto candore. viltà del sale
il peso del romanzo giallo su nel viale
che sale alle panchine. italiano il chiodo
sulla fronte dove si appende amore
e la condotta anemica del dubbio. inediti
viali di leccornìe le fate.


45.

dove sarà il figliastro dell’ombra
che mi percuote le notti
che brama la bava del diavolo
e volteggia sulle cosce del Vesuvio.
intaglio aritmetico baciarti
ora che vuoi morire all’abituro
dove ha furore la darsena nervosa.




[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]