vanno di moda i trucioli del baro
le litanie maligne delle ruggini
quando soccorso non arca arcobaleno
né al forziere si aliena la ricchezza.
una legione di acrobati le stille del sangue
quando le amazzoni purificano le chiome
col vento di maggio. è giocoforza non combattere
le falle avvenute dal lontano scarabocchio
della botanica acerba. le serre troneggiano
l’afa del buono dove ingrassano le piante
succulente e labili come un viaggio sacrale
verso il più lento spirito di bacio con spina.
s’inforca la pietà per le lentiggini giovanili
quando la rotta è un apice di raggio
e la paura un tuorlo da farcire.
impaginando l’estasi in un tuono
allora ho il libro da cucire per darlo
alla ginestra più tenace al cibo migliore.
37.
invia il sale all’unità degli occhi
dài soccorso alle lapidi bambine
dove s’intromette il sorso del diavolo
o il cannibale volo della cornacchia
rumorosa. abbi pietà di me che salgo
lungo navate viscide di brina
e conseguente il lamento quotidiano.
nonostante l’avallo dei ciottoli per correre
resta la fiaccola di non capirci niente
né sotto ruota né in apice di gemma.
il mare che azzera le pignatte
non sa fare la polenta della nonna
né la cometa azzurra delle fate
lamentevoli qualora le si lasci spente.
io piango l’avventura della roccia
la scialba calamita del bello fiore
la baraonda dei casi di diamante.
inverno toccherà la ronda dei fantasmi
il mito caro di dirsi fuoriusciti
dalla vendemmia di vendetta. non ci sarò
pertanto per additarmi vinta.
38.
favola ingorda lato di proverbio
tutto contuso il rantolo del santo.
senza speranza il tufo del tugurio
quando domenica si esalta di benedizione.
è giusto il frate che dimora acqua
e pane in un letto di stoppie.
memoria confusa l’arsione di amore
quando la pia indagine del bacio
ciondolava allegrezza sotto l’abaco
di contare le rimanenze e le zattere ferite.
in mano al conclave delle nuvole
abitava una storiella senza senso
né come d’uso si potesse fare
la lirica del petto senza soffrirne.
39.
invecchia la primavera in un arancione di gambi
la briciola del passero avvera la pietà
se da domani scricchiola l’inverno
e il paese doma la cicala
patriottica e ribelle.
di già palese l’eredità tombale
quando chiunque tace sulle sevizie
subìte in età solare. la massima mansione
è sanatorio d’astio quando qualora qualcuno
sorride d’ilarità finale. gaudio da scoglio
somigliare l’angelo traguardo nel dado fido.
il tutto il mio saluto arriverà premura d’angelo
finalmente la gerla di una mole di fiori
dove qualcuno riderà ragazzo
ed io simile sarò. scherni d’innesti non saranno
i fratelli trascurati dalla baia del porto
dove si foggiano gli orfani. tamburi di norme
le direttive del cielo o la barzelletta blasfema.
40.
dove cicala il mondo l’elemosina
grandezza stimmata del vuoto
caracolla nel diluvio delle lacrime.
qui un’identità è un coma castellano
invaso dalle onde delle meduse
senza occorrere dire la bellezza
qual fu un aneddoto felice.
fa conserva la rondine del nido
e la barcaccia del cielo sfinito
non aiuta le lucciole del cespuglio.
in mano alla mignotta che intristisce
viene dal cavo la resa marmorea
il nodo in panne di trovar la pace.
[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]