Germania,
Svizzera, Portogallo, 2013. Con Bruno Ganz, Martina Gedeck, Jack Huston, Jeremy
Irons, Mélanie Laurent, Lena Olin, Charlotte Rampling
Tratto dal romanzo omonimo di Paul Mercier, pseudonimo
dello scrittore svizzero Peter Bieri, questo film del regista danese Bille
August ci ha colpito, non meno del romanzo, pur se gli adattamenti corrono
sempre un rischio di semplificazione, per le stesse qualità che alcuni critici
hanno adoperato per giudicarlo negativamente: la lentezza riflessiva; la problematica
personale che non inficia, al contrario a noi sembra rendere più credibile, la
denuncia del fascismo; la scelta di attori attempati, che a nostro parere
conferisce maggiore umanità; il respingimento della tanto oggi commercialmente,
e a nostro parere ingiustamente, ammirata rapidità d’azione e serie di vicende
avventurose [1]. Ciò che
invece qui domina è la malinconia, la revisione di una vita a confronto con un’altra,
infine la tragedia della persecuzione e del sospetto durante il regime fascista
di Salazar e di Caetano.
La fabula è significativa anche perché si tratta
della storia di un libro che influenza la vita di una persona al punto da cambiarla.
In breve, e saltando le convoluzioni dell’intreccio piuttosto fitto, il
professore svizzero di lettere classiche Raimund Gregorius salva una giovane
dal suicidio afferrandola mentre sta per gettarsi da un ponte. Intelligentemente,
e in contrasto con altri film consimili, non ne nasce una storia tra i due, anzi
lei scompare lasciandosi alle spalle un libro, L’orafo delle parole, di Amadeu Inàcio De Almeida Prado, la cui lettura
spinge Raimund a recarsi a Lisbona, alla ricerca dell’autore. Attraverso un’inchiesta
tra i familiari e gli amici, scopre che l’autore è deceduto nel 1975. Antifascista
di famiglia altolocata, Amadeu era stato coinvolto in una vicenda amorosa che,
includendo anche un rivale e dei nemici politici, l’aveva portato alla persecuzione
politica e all’infelicità personale. Vengono contemporaneamente ricostruiti i
fatti salienti della biografia dell’autore del libro e al contempo rivisti i
parametri esistenziali del professore, che oltre a questa investigazione nel
passato vede modificarsi la propria vita personale. La pellicola si conclude on
la domanda di una donna infatuatasi di lui di restare in Portogallo, davanti al
treno che sta per ripartire, e senza che venga fornita la risposta, anche qui
piuttosto intelligentemente.
Le opere pensate e che non si esprimono con
chiasso restano in sottordine, sembrerebbe. Noi, come si sa, per quel che
conta, invece le approviamo e sosteniamo. Il sentimentalismo, piuttosto che un
difetto, va visto come un pregio, in quanto rappresenta le emozioni umane; e non è di
per sé necessariamente una sciocchezza come certi critici sottolineano, quasi esistesse un solo tipo
di sentimentalismo, cioè quello deteriore, mentre qui esso si esprime con
affetto e semplicità, in contrasto anzi col cinismo postmoderno e decantato dei film maggiormente commerciali.
Il film, inoltre, col riferimento, tramite il
romanzo, a Pessoa (in epigrafe nel libro), rimanda anche al Pereyra di
Tabucchi.
Non ultima l’esplorazione della città alta di
Lisbona, un ambiente non hollywoodiano, non banale, ripreso nella sua
quotidianità oltre che coi segni di un tempo architettonico illustre,
tramontato.
[Roberto Bertoni]
[1] Cfr., per esempio,
le recensioni su The Guardian, The New York Times e La Repubblica.
Positive, invece alcune recensioni francesi, cfr. Cineman.
Generali, con una certa contraddizione, gli apprezzamenti positivi del
romanzo (cfr. in particolare Liberation), di cui il film è peraltro una lettura
piuttosto letteraria e ben eseguita.