Tan Twan Eng, THE GIFT OF RAIN. Newcastle upon Tyne, Myrmidon, 2007
Si intrecciano vari elementi in questo romanzo
ambientato a Penang, isola della Malesia, durante gli anni immediatamente
precedenti all’occupazione giapponese e poi nella guerra mondiale fino ad
arrivare ai nostri giorni, da cui si procede retrospettivamente verso il
passato quando Michiko Murakami in tarda età visita il pure anziano
protagonista Philip Hutton per ricostruire la verità su Hayato Endo, maestro di
arti marziali di Hutton e fidanzato di gioventù della donna.
Da un lato abbiamo un ritorno al periodo storico,
problema di cui Tan Twan Eng è cosciente dato che dichiara di avere in parte
scritto questo romanzo per evitare l’oblio del passato di fronte a un
atteggiamento di chi pare voler dimenticare senza essere nemmeno essere
pienamente cosciente della località dell’invasione nipponica [1]. La
ricostruzione del periodo è accurata e coinvolgente, tanto in termini di
ambienti e paesaggio, quanto di comunicazione tra le comunità presenti
sull’isola e in particolare sul rapporto tra cinesi e inglesi e tra entrambi e
gli invasori.
Di qui si muove verso il secondo aspetto prominente in
questa storia, l’identità. Il protagonista, per scelta determinata dell’autore,
come egli stesso rivela [2], è nato da un inglese e da una cinese, vive in una
famiglia che dal primo matrimonio è invece interamente britannica, quindi in
parte è diverso anche dai suoi stessi fratelli, in parte viene accettato e al
contempo emarginato dalla famiglia della madre che non aveva inizialmente
accettato con facilità il matrimonio, fino a quando non instaura un rapporto
positivo col nonno edificando una rinnovata fiducia. La doppia identità
permette di esplorare entrambi gli ambienti sociali ed etnici, ma anche di
qualificare un’inappartenenza alla totalità di ciascuno di essi (“I was a child
born between two world, belonging to neither”, p. 54). Tali diversità e
autonomia collocano Philip in un luogo di scelte personali indipendenti. Come gli dice Endo:
“I am certain it has
never been easy, growing up as a child of mixed parentage in this place. But
that is your strength. Accept the fact that you are different, that you are of
two worlds. And I wish you to remember this when you feel you cannot go on: you
are used to the duality of life. You have the ability to bring all of life’s
disparate elements into a cohesive whole” (p. 282).
C’è questa divisione, nondimeno il senso di simbiosi
col luogo è marcato ed evidente non solo nel corso dell’intreccio ma anche nelle
descrizioni di natura che scendono non di rado nel lirico.
Il terzo aspetto è il dilemma etico e il rapporto con
l’imperialismo giapponese in relazione al privato. Philip Hutton diviene
allievo di aikijutsu di Endo,
sviluppando nei suoi confronti non solo la devozione verso il maestro, ma un
più radicato affetto quasi filiale, che viene messo a dura prova quando Endo si
rivela essere stato un’avanguardia di informazioni per i giapponesi poco prima
del loro arrivo e un funzionario al loro servizio. Se sul piano personale tenta
per quanto possibile di proteggere Philip, è al contempo corresponsabile della
morte di vari suoi familiari. La scelta iniziale di Philip è di collaborare coi
giapponesi, contando sull’aiuto almeno a livello personale del maestro, e
sperando così di salvare la famiglia, ma questa illusione si frantuma di fronte
al machiavellismo degli invasori nonché a una malvagità di alcuni dei loro
comandanti che va oltre le regole normali dell’umanità e porta allo sterminio
dei fratelli, della sorella , infine del padre del protagonista, che si
sacrifica per salvargli la vita, barattando la propria esecuzione contro quella
di Philip, il quale nel frattempo, risvegliatosi alla realtà, ha iniziato a
svolgere il ruolo di doppio agente, fornendo informazioni alla resistenza
cinese e uscendo dalla guerra ferito internamente, combattuto tra solitudine e
colpe, in grado di ricostituire la ricchezza paterna nella Malesia
indipendente, visto da alcuni dei suoi concittadini come un ex-collaboratore e
da altri come un salvatore e un antimperialista.
Le sfumature politiche e psicologiche, il confine tra
l’umano e il politico non vengono persi di vista, il che rende questo romanzo
interessante anche perché rappresenta un personaggio non interamente integro e
uniforme, anzi uno che si è compromesso col nemico (il padre, patriottico e
disapprovando i suoi doppi giochi, gli dice “It only takes one letter of the
alphabet to change reason to treason”, p. 137). Philip, almeno in
parte, pecca di ingenuità e viene punito dal corso degli eventi che gli tolgono
i familiari, ma non si è disumanizzato. Alle fine compie finanche un atto
estremo di concedere all’ex maestro una fine onorevole.
C’è un elemento successivo: l’amore che va al di là
della politica e della guerra, eppure condiziona il cammino di chi vi si
affida. Come in un’opera cinese, o nella trama di una storia sentimentale asiatica
moderna, Michiko è al contempo innocente e artefice involontaria della morte
dei suoi due innamorati. Amando Endo che non poteva ricambiarla per ragioni di
famiglia, invia colui che l’amava, un pacifista che si dissocia dalla guerra, a
proteggerlo, ma sarà quest’ultimo a perdere per primo la vita. Lei viene spinta
dalla famiglia a sposare un terzo uomo e divenuta vedova e preda di una
malattia terminale va a Penang per parlare con Hutton.
Non privo di complessità e scritto con linguaggio
letterario questo libro che è stato al contempo un successo di pubblico.
NOTE
[1] Cfr. N. Idar, a cura di, “An interview with Tan Twan Eng”: “The occupation
was such a huge event - I would say the biggest thing that happened to us since
being colonized. But this was a different form of colonization, this was
conquest by an alien force; just imagine, you wake up one day and suddenly
people say ‘Oh yes, you have to speak Japanese now!’ It was a huge trauma. And
yet so many of my contemporaries - my college friends, office mates, were not
interested in it - they said ‘Ah, it’s in the past already.’ A lot of people
still think the Japanese invaded from Singapore, or KL, they didn’t know that
the Japanese came from the east coast. So there was all this unexplored territory
to write about, and I’ve always been interested in history”.
[2] Ibidem.
[Roberto Bertoni]