[Mothers and child against the background of a Christian and a secular tower (Seoul, Olympic Park, 2011). Foto Rb]
Lee Jeong Hyang, 오늘 (A reason to live). Corea, 2011. Sceneggiatura di Lee Jeong Hyang. Con Ki Tae Young, Nam Chi Hyun, Song Chang Eui, Song Hye Kyo
Il
titolo coreano di questo film è 오늘 (Oneul),
ovvero, in italiano, Oggi, termine
inteso probabilmente a rendere il contenuto più ampio del titolo inglese (non
solo una "ragione di vita", ma l'oggi diverso da ieri, momento
di riflessione sul passato, espressione di quanto si rivela come attuale), con
un potenziale semantico allusivo e consono in ciò all’estetica del regista e
sceneggiatore, il quale tesse la narrazione per spezzoni cronologici alternati
a quadri retrospettivi non diacronici, invitando lo spettatore a ricostruire la
vicenda a mosaico e lasciando così affiorare di volta in volta dettagli
individuali e collettivi sullo spezzone di vita esplorato.
Da Hae ha perso il fidanzato Sang Woo in un incidente
stradale: un giovane l’ha investito per fatalità, poi una seconda volta
volontariamente, uccidendolo. Un anno dopo la disgrazia, per conto di
un’associazione religiosa cristiana, la donna, regista di professione di
documentari, sta girando una serie di interviste a vittime di violenza
delinquenziale, persone nella fattispecie cui è stato ucciso un parente.
La pellicola, mentre indaga l’inconscio di Da Hae tramite
i flashback dei ricordi del tempo
felice dell’innamoramento, troncato così tragicamente, mette in rilievo gli
atteggiamenti delle altre vittime rispetto al tema del perdono, indicando,
oltre alla varietà delle emozioni e alla difficoltà di accordarlo, come
invece spererebbero i religiosi coinvolti nell’inchiesta, anche le difficili
situazioni familiari, di tenore di vita e di relazioni sociali.
Frattanto s’insinua un terzo elemento, consistente nel
rapporto protettivo della protagonista nei confronti della sorella di un amico
di Sang Woo: questa ragazza è vittima di violenza da parte del padre in una
condizione di ceto sociale borghese, in più la professione del genitore è
quella di giudice, dal che un contrasto stridente tra il comportamento pubblico
e privato.
Accanto al problema del perdono, accordato da alcuni e
non da altri, concesso inizialmente da Da Hae ma poi negato al secondo delitto
del giovane che ha perpetrato l’omicidio ai danni di Sang Woo, in un fluttuare
di tensioni contraddittorie e dolorose, s’incontra la dinamica del rimorso: non
da parte dei violenti, bensì da parte di chi riflette sul ruolo che il caso ha
assegnato, impedendo di salvare una vita, e del cinismo di chi al contrario non
vive la questione etica con problematicità.
Lontano dall’essere pacificante nonostante lo sfondo
morale in parte religioso, ma in parte secolarizzato dalla riluttanza, in
determinate circostanze, a "porgere l'altra guancia" e dalla non
lineare tendenza ad ammettere il risentimento e la crisi interiore provocati
dal trauma della violenza, il film è caldamente umano proprio per
talune incertezze sulla postura da seguire rispetto alla legge dei
Comandamenti, non per questo messi in dubbio in quanto tali, ma indagati da
domande che espongono un conflitto tra le motivazioni psicologiche e quelle
dell’obbedienza alla legge religiosa. Si evidenziano inoltre i meccanismi
carcerari accompagnati da tecniche di riabilitazione sociale per chi
perpetra. Viene notato il meccanismo secondo il quale i familiari delle vittime
che perdonano, o almeno si sforzano di farlo, provano effetti benefici su di sé.
La pellicola si conclude col divieto alla protagonista di
una visita all'omicida per via della condotta istituzionale che deve, correttamente,
impedire contatti tra le due parti per evitare rischi di ulteriore
violenza e promuovere la presa di coscienza individuale di entrambe
separatamente l’una dall’altra, ma da questa norma deriva quanto sia
impossibile chiarire faccia a faccia le problematiche. Il rovello mentale di Da
Hae si alterna al proseguire della vita di tutti i giorni, il che
produce immedesimazione e pietà negli spettatori.
오늘 si avvale di interpretazioni ottime. Colpisce
soprattutto la duttilità di Song Hae Kyo nella parte di Da Hae: un’attrice che
avevamo già visto tra i personaggi principali di Full House, serie televisiva di successo in cui aveva un ruolo
spiritoso che conservava per tutte le puntate con brio e vitalità, ora
altrettanto capace e convincente nella parte drammatica e psicologicamente
carica di sfumature di quest’ultima pellicola.
[Roberto Bertoni]