[The loved one (Porte de Glignancourt, Paris, 2012). Foto Rb]
L’AMATA. LETTERE DI E A ELSA MORANTE. A cura di Daniele Morante, con la collaborazione di Giuliana Zagra. Torino, Einaudi, 2012
L’amata, il titolo scelto da Daniele Morante per l’epistolario che
raccoglie una vasta scelta di lettere di
e a Elsa Morante, appare singolare non
solo perché l’amata in questione, come traspare da parecchie lettere, pensava di
non essere amata o di non esserlo abbastanza, ma soprattutto perché sembrava
avere difficoltà ad accettarsi nelle vesti femminili di oggetto d’amore.
Mettendo al centro
dell’epistolario la complessità dei rapporti che si intrecciano intorno al
sentimento amoroso declinato nelle sue
più diverse forme, dall’ eros, alla passione, dall’amicizia alla compassione,
dalla simpatia all’empatia, il curatore ha compiuto una coraggiosa scelta
controcorrente che infrange le regole canoniche del genere
epistolare, ha escluso infatti tutti i
carteggi in cui il sentimento amoroso non affiora.
Pur presentando una vasta scelta
di circa seicento lettere estratte da un archivio di cinquemila documenti,
l’epistolario non è esaustivo, eppure, proprio il fatto di essere selettivo, ne
rende avvincente e non scontata la lettura. Essa ci restituisce, infatti,
immagini inedite della scrittrice e dei suoi corrispondenti (Moravia,
Debenedetti, Visconti, Pavese, Natalia Ginzburg, Pasolini, Calvino ecc.),
permettendo al lettore di abbandonarsi al piacere della lettura e, soprattutto,
di viaggiare alla scoperta di nuove inesplorate sponde. Proprio perché non
completo e privo di epistole formali o di occasione, il libro consente infatti
di entrare immediatamente nel cuore delle passioni, di addentrarci in una
dimensione di cui non possediamo alcuna mappa e che può inaspettatamente
condurci in una direzione del tutto inaspettata. Attraversiamo zone in ombra,
terreni perigliosi e fragili, ma che possono illuminarsi di colpo dei colori
anche dei luoghi più amati, approdando nella vita più intima della scrittrice.
Entriamo nelle stanze d’affitto in cui Elsa ha abitato quando era giovanissima,
nella casa di via dell’Oca, nello studio di via Archimede e in quello di via
del Babuino, la seguiamo negli anni della vita adulta in luoghi vicini o
lontanissimi, sino alla dimensione della vecchiaia, scoprendo via via che
siamo costantemente a confronto con una personalità molteplice o meglio
con la moltitudine di personalità che la hanno abitata.
Il carteggio con Luisa Fantini,
che comprende lettere che vanno dal 1933 al 1942, mostra le difficoltà di una
giovinezza assillata dalla miseria, dai debiti sino al punto da subire un
sequestro dei mobili, cui la giovane Elsa cerca di far fronte con lavori mal
pagati, compilando tesi di laurea o dando lezioni private. L’amicizia con la
sua corrispondente, che era illustratrice e disegnatrice di libri per bambini,
ci mostra una giovane scrittrice che non si arrende alle difficoltà, pronta a
spronare l’amica a non farsi schiacciare da una dimensione piccolo borghese e
provinciale, esortandola a venir fuori dall’inerzia e a tentare strade più
coraggiose. Oltretutto questo carteggio, come quello con Renata Debenedetti o
con Leonor Fini, mette in evidenza l’importanza che nella vita di Elsa Morante hanno avuto anche le
amicizie femminili.
All’amica Elsa confessa le
difficoltà di un rapporto d’amore appena agli inizi, quello con Alberto
Moravia. Sin da subito il rapporto con Moravia appare caratterizzato da fughe e
ritorni, distacchi e riavvicinamenti, scenate e dispetti, come ammette nella
lettera del 14 luglio 1938: “sono sempre innamorata di A. il quale mi vuole
bene ma ogni tanto scappa via verso i più lontani paesi. Poi dice che bisogna
finirla e poi mi prega di non finirla per carità. Ecc. Ora poi ho scoperto che
io non sto stare al mondo e da quel momento siamo diventati una specie di
favola perché in qualunque luogo e in mezzo a qualunque consesso rispettabile
non finisce mai di farmi delle prediche e di arrabbiarsi a vuoto perché io al
mondo non ci saprò mai stare” (pp. 58-59).
Sembrano appartenere anche al
primo periodo della loro relazione quei furibondi litigi in pubblico che
diventeranno frequenti negli anni successivi, per quanto all’inizio Elsa assuma
anche nei confronti di Alberto
quell’atteggiamento di “disperata dedizione” che segnerà i suoi amori più
difficili. L’espressione “disperata dedizione” è usata da Moravia in una sua
lettera.
A Luisa, Elsa rivela in che
modo vorrebbe alleviarlo dalla noia che pare offuscargli la vista e impedirgli di vedere la bellezza del mondo:
“Vorrei, non so come dirti,
fargli sentire delle parole bellissime, una musica tanto potente da riuscire a
spiegargli che cosa è la vera bellezza della vita e del mondo. Lo vedo
aggirarsi in quella sua specie di sotterraneo, agitarsi, dare schiaffi,
annoiarsi e per quanto mi sforzi non riesco a portarlo via di là” (p. 59).
All’epoca già famoso e
“ricco”, Moravia la introduce sin da subito nell’ambiente culturale romano
dove Elsa cominciare a frequentare
“grandi pittori e poeti”. Ma più che permetterci di ricostruire un mondo nel
quale Elsa all’inizio si muove con grande imbarazzo e in seguito con grande
fastidio, le lettere testimoniano il continuo interrogarsi sul senso della
vita, in un incessante lavoro introspettivo in cui gran parte ha anche
l’analisi dei sogni. Di lì a non molto, tuttavia l’attaccamento nei confronti di Moravia sarà sostituito
dall’atteggiamento opposto, e questa volta sarà Alberto a disperarsi, come il
protagonista de Il disprezzo uscito nel
1954, la cui vita coniugale sembra rispecchiare almeno in parte quella
dell’autore.
Un amore giovanile carico di
passione, ma anche di sentimenti fortemente ambivalenti è quello che ci rivela la
corrispondenza con e di R.T.M., di cui non è stato sino ad ora possibile
risalire alla vera identità. Richard era un giovane inglese molto bello, ricco
e affascinate, “prossimo” all’ambiente
diplomatico britannico, come avvisa una nota. Con la giovane scrittrice
condivise una passione erotica intensa e esaltata dal sole del sud e dalle note
delle canzoni napoletane, corteggiandola assiduamente, ma senza credere
veramente nelle doti artistiche della sua dearest
Elsie.
Era inevitabile che una
passione tanto sfrenata si tingesse di
gelosia al punto che Richard non
usa mezzi termini per definire il
comportamento molto libero della giovane donna,
arrivando a sospettare che si facesse pagare dai suoi numerosi amanti.
Sferzanti anche le critiche dell’innamorato nei confronti del diretto rivale Albert,
definito sprezzantemente “rovescio di d’Annunzio, suo gemello”, che lei sta ad “adorare al Caffè”. Anche
questo legame amoroso sembra caratterizzato da fughe e da ritorni, sino alla
lettera drammatica dell’8 giugno 1940 in cui R.T.M., costretto a lasciare Roma
e l’Italia in guerra contro la Gran Bretagna, non vorrebbe una separazione che
appare ormai come definitiva.
In appendice al capitolo primo, Giuliana Zagra
mostra quanto importante sia stato per Elsa Morante il legame con Richard, per
il quale compone tre poesie ritrovate tra le sue carte, e come esso abbia lasciato tracce
significative anche in Menzogna e
sortilegio. Nel manoscritto compare infatti la dedica “a R.T.M. Maestro dell’ineffabile” accanto
all’altra dedica “a F.L. che fu un disgraziato”.
F.L., avverte la studiosa, sta per Francesco Lo Monaco, padre biologico di
Elsa. Grazie all’opera degli studiosi
che per anni si sono occupati dei manoscritti e delle carte morantiane, come
dimostra il catalogo della mostra Santi,
sultani e Gran Capitani in camera mia. Inediti e ritrovati dall’Archivio di
Elsa Morante, a cura di Giuliana Zagra (Biblioteca Nazionale Centrale di
Roma 2012), la ricerca morantiana sembra proiettata verso nuove prospettive.
Tali studi, insieme alle lettere de L’amata,
permettono infatti una comprensione più
ricca e circostanziata dell’opera di Elsa Morante e della sua biografia,
sfatando molti luoghi comuni e
evidenziando la complessità di esperienze e l’ambivalenza di sentimenti che ne
costellano la vicenda esistenziale.
La pubblicazione del carteggio
con Moravia mostra, per esempio, grande stima e soprattutto un legame che non
si è mai spezzato. Moravia è spesso capace di prendersi a cuore la sorte
dolorosa della sua prima compagna di vita, additando gli errori e le
esagerazioni di un carattere potentemente passionale pronto a dimenticarsi di
sé, come appare nell’amore prima per
Luchino Visconti e poi per il giovanissimo pittore americano Bill Morrow, per i
quali Elsa si prodiga sino a sacrificare se stessa. Da questi amori emerge un
sentimento di generosità pronto a tutto pur di fare il bene dell’amato, a
rinunciare alla propria vita personale, addirittura alla propria arte e alla
propria identità femminile.
Visconti appare sin dalla
prima lettera tormentato dalla negatività, Parigi gli sembra “devitaminizzata”,
i teatri “senza interesse e
inconcepibilmente mediocri”, vi vede una specie di “narcosi” che lo
rattrista. Anche nella lettera del 22 agosto del 1950, il regista sottolinea le
cose “sgradevoli” e “noiose” che gli
“piombano sulla testa”, e riconosce di
essere in uno “stato di depressione” che gli provoca una generale indifferenza.
Il primo giorno di gennaio del 1951 per rendere omaggio al Conte, non solo
mandandogli mazzi di rose e facendogli altri regali, Elsa si firma con due
nomi, Antonio e Carmela, perché, come ammette in una lettera successiva, possa
essergli a tutti i costi vicino, e attribuendo la causa della distanza di Visconti a suo ’”oblomovismo”.
Quanto più il regista appare
distaccato e sofferente per le circostanze esteriori, tanto più Elsa si prodiga
in tutti i modi pur di cancellare i sentimenti negativi da cui lui si sente
oppresso. Continua a mandargli regali e fiori e a rallegrarsi per il suo
lavoro, gli invia poesie e gli racconta dei sogni. In un’altra lettera assume
un’identità fittizia facendo finta di scrivergli insieme ai suoi gatti e firmandosi E.M.,
Agata Arturo e Mandolino, e oltre al suo amore gli ripete il desiderio di
vivere insieme a lui e di avere da lui un figlio. Il rimorso per avergli
scritto quella lettera, la sensazione di averlo offeso, la spinge a riprendere
la comunicazione attraverso il giovane Arturo, il nome assunto questa volta per
giustificare il suo precedente contegno e attribuirlo al difficile carattere di
E.M.:
“In mezzo alla gente [xxx] scostante, fredda
[…] ha avuto un giorno la felicità […] d’incontrare una persona di cui, per
poter dire che cosa è, si può dire solo che è un angelo. E la […] tua amicizia
era una felicità troppo bella per lei e non poteva essere vera. Essa non ha
saputo meritarsela” (pp. 257-258).
Nella minuta di una lettera a
Moravia, forse attribuibile al 1950, Elsa riconosce d’essere consapevole che si
tratta di una passione “veramente strana e quasi inaudita” (p. 147), nelle cui
spire sembra essere irretita, ma di cui non riesce a fare a meno.
Anche nel periodo in cui la
Morante appare affascinata dal giovane pittore americano Bill Morrow, Moravia
sembra mostrare una forte preoccupazione per lo stato in cui la scrittrice si
trova a causa del complesso rapporto d’amore instaurato con un ragazzo poco più
che ventenne, anche lui omossessuale e
afflitto da gravissimi problemi psichici. Anche in questo caso, Elsa appare
posseduta da un sentimento o da un complesso che non riesce a tenere sotto
controllo e da cui appare dominata. Sembra infatti dedicarsi interamente a
lui nella speranza di imprimere alla sua
vita un altro destino. Ma il giovane non poté essere salvato, come riconoscerà
nella poesia Addio, che introduce Il mondo salvato dai ragazzini.
Anni prima l’occhio acuto di
un poeta che aveva frequentato assiduamente la psicoanalisi era stato in grado di scorgere la patologia
di tale atteggiamento psicologico, additando l’errore e ponendo al centro il
vero mito personale per il quale la scrittrice avrebbe dovuto vivere. In una lettera del 30 giugno del 1953 Umberto
Saba aveva scritto:
“Cara Elsa,
ho letto il tuo raccontino. Mi
è piaciuto, e non mi ha annoiato mai, nemmeno un momento. Ma non è di
“letteratura” che volevo parlarti. Tu non ti sei identificata affatto (come
credi) al fanciullo Andrea, ti sei identificata e PROFONDAMENTE, alla madre
siciliana. È in questo eterno rapporto tra la madre e il fanciullo che devi
cercarti [xxx](almeno in quello che scrivi) e devi cercarti dalla parte
della madre. La tua nostalgia di essere un ragazzo è - in realtà - la
nostalgia di non aver messo al mondo un ragazzo; lo cerchi nell’arte perché
[xxx xxx] non l’hai voluto nella sua fisicità. Non vuol dire, cara amica: tutte
le vite sono, in un senso o nell’ altro, delle vite mancate: l’arte è lì a
soccorrere a queste mancanze” (p.127).
[Rossana Dedola]