Del resto
tutto il libro è antinomicamente costruito su Phantasia e Ratio,
dimensioni del pensiero intenzionalmente poste di continuo sotto questione per
essere di volta in volta ribaltate rispetto alla loro modalità abituale ed
essere ricondotte ciascuna ai loro opposti, sicchè Phantasia, in sé intrisa di figuralità, si inquina con la più evidente realtà fenomenica, e Ratio, obbediente alla coerenza
distintiva, mostra la sua originaria e incancellabile matrice
generativa, che è confusiva e assolutizzante. Per questo le distinzioni
logiche correttamente operate e i voli iperreali audacemente ostentati si
annullano aforismaticamente in una frase o in una parola susseguente, senza
tema di suscitare obiezioni.
Sta in
questo continuo e inaspettato scambio paradossale tra immaginazione e realtà il
valore originale della poetica di Rosa Pierno, già ampiamente ed efficacemente
manifestatosi in TRASVERSALE e nelle sue altre precedenti opere. La
letteratura, e in particolare la poesia, è autorizzata ad operare le più
arbitrarie trasfigurazioni della realtà e può sovvertire le procedure logiche
abituali senza alcun timore di
esagerare. La poesia di Rosa Pierno, proprio in quanto condensata prosa
poetica, raddoppia questa autolegittimazione, cogliendo quasi sempre il lettore in contropiede. Tanto più quanto
più la prima parte di ogni componimento si presenta in forma di enunciato
presto smentito dalle successive considerazioni, sovversive di quella
congruenza logica che conseguenzialmente
ci si aspetterebbe. L’Autrice, invece, abilmente aggira le aspettative,
mettendo in atto, al contrario, una delogicizzazione disorientante,
heideggerianamente costruita su un pensiero esclusivamente analogico (“rade
radure snervate diserbate, promettono nuovi nascimenti”), su una
dialettica-antidialettica che consente il reciproco implicarsi dei contrari e
non il loro reciproco escludersi (come
accade invece nel terzium non datur).
In ARTIFICIO,
proprio perché si tratta di un dichiarato ARTIFICIO (che per Hegel era migliore
di ogni realtà), con la scrittura è possibile tutto. Del resto, una legittima affermazione
contraddittoria sembra comparire proprio nella sezione finale, ASSOLUTO: “Posso
dirti si o no in ogni istante. Ma anche sì e no insieme.” (p. 114).
Il
canzoniere di Rosa Pierno, il suo DELL’AMORE, si costruisce su un repertorio
classico amplissimo - dai latini agli stilnovisti, dai rinascimentali ai manieristi,
fino ai modernissimi - che trapela in
citazioni criptiche o palesi (il dantesco “E crolla come marionetta coi
rescissi fili crolla”; il catulliano “ Mille e mille volte sarà necessario ripetere
che t’amo” ; l’ariostesco “L’amore suo insegue, non più l’amante”), o nell’uso di costruzioni retoriche speciali. Un
repertorio classico, è vero, tuttavia reinterpretato e rivisitato alla luce
delle esperienze linguistiche della contemporaneità che vengono accentuate da
alcune efficacissime strategie operate dall’Autrice sulle proprietà della
lingua, e con la manipolazione della parola: la generalizzazione ottenuta
mediante la omissione dell’articolo determinativo, ad esempio; oppure la replicanza o la ricorsività delle
figure prescelte (Reginella, il Cavaliere , la Damigella); l’esplorazione dei
tropi e delle tradizioni popolari con il folclore elevato linguisticamente a
configurazioni poetiche per semplice enuntiatio
(“Campanelle e trombette nacchere e tamburelle”); la reiterazione delle formazioni grammaticali e sintattiche; il tutto che sta
per la parte (“Il mare che sta per l’onda”) e non la parte per il tutto; la peculiarità
di epiteti e perifrasi arricchite di assonanze e allitterazioni (“torbide
convesse fosse”); l’uso delle locuzioni figurate. La scrittura, in ARTIFICIO, é
più che mai téchne, nel senso più
classicamente e compiutamente poetico, dunque, dedita alla conservazione del
perdurante e alla ricerca del fluttuante.
Una
scrittura che non si esime dal dare un senso alle cose come vengono
subitaneamente colte, pur senza
indulgere al puro soggettivo “sentire”.
Tant’è vero che esse, le cose, sono di lì a poco, disensate. Tra senso e non
senso, in ARTIFICIO il permanente è permutante, lo stabile è transitorio,
l’invariante è variabile. ARTIFICIO si
rivela un testo ad alta teatralizzazione in cui le emozioni sono ragionate e
le passioni geometrizzate. Ma anche dove
le ragioni sono dissennate. Rosa Pierno, procedendo nel suo intento disinsensante,
che riesce ad ottenere proprio attraverso
il suo modo contrario, cioè
l’intenzionale produrre l’espressione insensata, giunge con apparente
semplicità a quei paradossi liberatori, di tipo erasmiano, come li definisce Gilberto Isella, che, di tutta
l’opera, ne costituiscono la nota
identificatoria principale. L’atto di scrittura diventa così un atto
conoscitivo che transita dalla sensorialità essenziale al corrispondente luogo
mentale, reso, attraverso il poetico, pensabile, riconoscibile, metariflesso.
La questione della verità e del vero non è certo secondaria in questa densa
raccolta. Ma la verità a cui non si giunge mai è sempre distante dal senso
comune che crede di averla raggiunta.
Nella parte
seconda, AMORE FOSSILE, la logica, solo in parte logica, di Rosa Pierno diventa dia-logica. Il poeta non
rinuncia ad un tu (l’amante amato e nulla amato?), sia pure indifferenziato e
forse irrintracciabile. Dietro le sembianze dell’amante analiticamente
analizzato e onnicomprensivamente accettato-rifiutato, si nasconde la figura
inscindibile degli opposti, buono-cattivo, fonte di gioia-fonte di dolore,
gratificante-crudele, (“Amore mette proni e amore salva”, p. 112).
Si può
quindi concludere questo breve excursus su ARTIFICIO, citandone un verso emblematico:
“Non si può spezzare per solo via logica ciò che ha anche natura illogica”
(p.114).
[Fiorangela
Oneroso]