03/09/12

Ermanno Olmi, IL VILLAGGIO DI CARTONE


Italia 2011. Con Fatima Alì, Ibrahima Faye El Hadi, Alessandro Haber, Rutger Hauer, Michael Lonsdale, Irma Pino Viney, Souleymane Sow.


Il parroco di una chiesa che viene chiusa, un anziano già scosso da questa decisione presa in qualche luogo dell’autorità al disopra della sua testa, si trova a convivere, la stessa notte della sconsacrazione, con degli extracomunitari clandestini, aiutando per carità cristiana e amore per il prossimo un ferito, una partoriente, tutti coloro che hanno bisogno e cercando di proteggerli dall’intrusione delle forze dell’ordine.

Sebbene ciascuno dei clandestini abbia una storia concreta che emerge a tratti dai dialoghi reticenti durante lo svolgersi della pellicola, ciascuno pare piuttosto impersonare funzioni simboliche, con una recitazione straniante e teatrale nello scenario spoglio della chiesa deprivata dei simboli attivi della religione.

Viene invocato Caino. C’è un’allusione a Giuda nella decisione di uno dei migranti di consegnare un collega alla polizia. Il più colto degli ospiti pare una reincarnazione del Buon Pastore. Si ha una rivitalizzzazione attualizzata di elementi del Vecchio e Nuovo Testamento.  

Vero, quindi, quanto dichiara il regista a proposito di questo film: “è ricco di simboli, come ogni racconto allegorico […]. La realtà è assolutamente scenografica, non c’è alcuna pretesa di realismo. Non è un film realistico, è un film con cui si cerca di comunicare la sublimazione di un’idea” [1].

La necessità del sostegno mutuo pare la nota dominante, assieme alla requisitoria per l’incomprensione da parte degli altri (cioè noi, la società in cui i migranti pervengono) delle dinamiche che li hanno sospinti a questi lidi, in cui si è perso il senso autentico della parola di Dio, come sembrerebbe indicare la lettura del quaderno con citazioni delle Scritture, ritrovato sulla spiaggia, di uno di loro deceduto.

Vengono emblematizzate varie tipologie, scarnificate dai riferimenti ai fatti della cronaca giornalistica e trascinate a interpretare la condizione umana: la prostituta eticamente nobile, la ragazza difesa contro chi vorrebbe punirla per essere rimasta incinta, il savio, la gente comune.

Uno dei partecipanti a questa storia di sofferenza ed esclusione decide di tornare in Africa. In effetti la requisitoria contro L'Occidente è accesa. Il concetto di Olmi, secondo le sue stesse parole, è che “la storia deve cambiare prima che essa cambi noi, l’uomo ha disatteso i propri doveri verso il prossimo, non si può continuare così” [2]. Sarebbe pretestuoso e difficile dargli torto.

Sul piano stilistico, il nitore e l’economia di mezzi, oltre che la bravura degli attori, costruiscono un film di spessore estetico, lento, serio; impegnato, anche nei confronti del mezzo cinematografico, a sottrarsi a tentazioni commerciali.


NOTE

[1] Intervista a cura di E. Salvadori.

[2] Ibidem.

[Roberto Bertoni]