[Totems at Gyeongbokgung (Seoul 2010). Foto
Rb]
Émile Durkheim, LES FORMES ÉLÉMENTAIRES DE LA VIE RELIGIEUSE (1912).
Parigi, CNRS, 2007
Durkheim studia il fenomeno religioso nelle forme che per la sua
generazione sociologica erano le più primordiali, mentre refuta la
semplificazione di queste manifestazioni religiose e vede anzi in esse,
innovando rispetto a Frazer, la base della religiosità umana, la cui funzione è
quella di rispondere, in ogni religione in modi diversi, “à des conditions
données de l’existence humaine” (p. 39) e di rispondere filosoficamente, tanto
nel totemismo come nelle posteriori religioni politeistiche e monoteistiche,
alle domande che stanno alla radice “de nos jugements, un certain nombre de
notions essentielles qui dominent toute notre vie intellectuelle: [...] notions
de temps, d’espace, de genre, de nombre, de cause, de substance, de
personnalité, etc.” (p. 47).
Nella rivendicazione dell’identità religiosa del totemismo, Durkheim si
fonda non tanto sul soprannaturale e sul divino, quanto su ciò che tutte la
religioni hanno a suo avviso in comune: credenze e riti, nonché la nozione del
sacro in opposizione al profano; e su un elemento centrale, che è la
rivendicazione dell’aspetto sociale: “la religion est une chose éminemment
sociale. Les représentations
religieuses sont des représentations collectives qui expriment des idées
collectives” (p. 49). La definizione è dunque la seguente: “Une religion est un
système solidaire de croyances et de
pratiques relatives à des choses sacrées, c’est-a-dire séparées, interdites,
croyances et pratiques qui unissent en une même
communauté morale, appellée Église, tous ceux qui adhèrent” (p. 96).
L’argomentazione si dipana in un esame analitico del totemismo australiano
e indoamericano e dell’animismo, riscattati ad essere espressioni filosofiche e
cosmologiche, interpretazioni dell’universo e a manifestazioni di un’organizzazione
collettiva, basata spesso sul rapporto tra individuo, clan e comunità
allargata.
In particolare, in queste modalità religiose, “l’âme individuelle n’est
[...] qu’une portion de l’âme collective de groupe; c’est la force collective
qui est à la base du culte, mais incarnée dans un individu dont elle épouse la
personnalité; c’est du mana
individualisé” (p. 389). Per questo si determina l’idea di sopravvivenza
dell’anima; non, come in interpretazioni precedenti, per coincidenza coi
meccanismi del sogno o per motivaioni individuali, bensì per ragioni legate
alla collettività: “il [...] semble qu’on ne peut pas faire des âmes qu’avec
des âmes. Celles qui naissent ne peuvent donc être que des formes nouvelles de
celles qui ont été [...]; c’est la perpétuité de la vie du groupe. Les
individus meurent, mais le clan survit” (p. 395).
Tra le altre, molte notazioni, si ricorda anche l’idea di ambivalenza del
“fasto” e del “nefasto”, due aspetti del sacro, secondo Durkheim, che, come il
bene e il male, travasano l’uno nell’altro: “c’est dans la possibilité de ces
transmutations que consiste l’ambiguïté du sacré” (p. 580).
[Roberto Bertoni]