13/09/12

Alexandra David-Nèel, IL POTERE DEL NULLA




[Detail of a Buddhist temple in Seoul. Foto Rb]


Titolo originale: LA PUISSANCE DU NÉANT (1954), Roma, Voland, 2009


In questo romanzo, David-Néel mise a frutto non solo la penetrazione del Buddhismo, dovuta all’appartenenza in quanto lama di scuola tibetana, ma anche la conoscenza approfondita del Tibet, delle sue tradizioni e del suo folclore, con una storia di perdita, crescita personale, attraversamento del samsara e maturazione, ambientata in un’economia pastorale e tra i mercanti dell’Asia orientale, con il confronto tra città e campagna, tra Cina e Tibet, due realtà che anche nell’ambientazione cronologica incerta del romanzo si compenetrano e al contempo si scontrano, in un conflitto tra i voti premonacali e il richiamo dei sensi e della mondanità; infine con una lettura che, mentre è attenta all’autenticità del mondo rappresentato, è moderna nell’essenzialità del récit, strutturalmente e per la scelta di un intreccio noir innestato sulle peregrinazioni dei due personaggi principali.

Un lama eremita e in fama di magia, Gyelwe Öser, viene ucciso da Lopzang, uno dei due discepoli per rubargli una talismano, un turchese, con cui sostenersi nella fuga d’amore con una ragazza, Pasangma, infelicemente data in sposa dalla famiglia a un anziano che le manca di rispetto e la percuote. Nel tragitto di allontanamento dalla famiglia di lei, ignara del delitto, dovendo restare lontano dai centri abitati per non farsi scoprire, infine incontra la morte, e la punizione, mentre la giovane riesce a salvarsi, rifugiandosi in Cina. Frattanto Munpa, il discepolo fedele al maestro, si mette alla ricerca del collega: il viaggio, non sapendo della morte, lo condurrà in lungo e in largo fino in Cina, al bordo della perdita della fiducia nei poteri magici di Gyelwe Öser, al dubbio sulle convinzioni buddhiste, infine a una nuova vita da mercante. Sarà proprio allora, rinnovatosi, che il destino metterà sulla sua strada Pasangma, risposatasi con un mercante ricco e innamorato di lei. La ragazza gli chiarirà come sono andate le cose.

La conclusione:

“Ombre, fantocci, non era forse così che aveva sentito descrivere gli esseri e le cose di questo mondo? I saggi che la pensavano in questo modo avevano senza dubbio ragione. Lui non pretendeva né di eguagliare la loro saggezza né di contraddirli.
Non era che una piccola ombra insignificante, un fantoccio in abiti da mercante, mosso da una forza proveniente dal nulla, da una inesistente turchese. Ma quel fantoccio voleva vivere, vivere pienamente nel sogno il suo ruolo di mercante.
Con gesto risoluto, Munpa colpì l’aria col frustino e se ne andò allegramente verso la Mongolia a disegnare le immagini del suo nuovo destino, sullo sfondo incolore del Grande Vuoto” (p. 172).


[Roberto Bertoni]