07/08/12

Nicola Lagioia, RIPORTANDO TUTTO A CASA

Torino, Einaudi, 2000. Riedito nel 2011.
 
Si è parlato in varie sedi di questo romanzo di Lagioia, una rievocazione degli anni Ottanta, interpretati come affarismo, corruzione, attività illecite coperte da professioni all’apparenza rispettabili; e deterioramento, a causa della presenza della droga, della vita associata del Meridione, nel caso specifico l’ambientazione è a Bari.

Questi elementi individuano a ben vedere un’attualità pressante e non certo scomparsa. I personaggi dell’avvocato Lombardi che difende interessi legati allo spaccio dell’eroina; l’arrampicamento sociale di altri imprenditori; le fortune improvvise di quel decennio, poi precipitate nel nulla.

Il settore di borghesia delineato è caratterizzato da spese inopinate, esibizione di benessere, infrazione delle regole mascherata da perbenismo.

Infine c’è una battaglia per il predominio del mercato delle sostanze tossiche, che vede prevalere le mafie straniere su quella locale.

Uno degli aspetti sconcertanti, quanto presumibilmente credibili, è la naturalezza con cui l’universo della rispettabilità e quello dell’illegalità si mischiano e comunicano per canali separati ma indispensabili l’uno con l’altro.

C’è una divergenza tra la generazione degli adulti e quella dei ragazzi protagonisti, il narratore in prima persona e i due amici, uno dei quali, Giuseppe, verrà coinvolto nella droga al punto di dover seguire un lungo percorso di disintossicazione liberazione durato quindici anni. Vincenzo, erede di famiglia più signorile di quelle degli amici, e al contempo più in rotta degli altri due col padre avvocato di grido, compie, tra gli altri, un atto di viltà e tradimento, non rivelando quanto sa sul mercato della droga che potrebbe salvare Giuseppe dalla caduta. La storia d’amore del narratore con Rachele cade nel nulla quando, nella casa di eroinomani che frequentano, assistono alla morte di un coetaneo per overdose. Una generazione che sembrava animata dal desiderio carnevalesco della festa e da un atteggiamento sfrenato verso la vitalità, è così resa nella tragedia che ha vissuto.

Tornando sul luogo dei fatti di quei giorni di scuola e contattando gli ex adolescenti di allora, il narratore pone un ponte col passato, ma anche una frattura, come liberarsi di quello che è ormai un’epoca finita come formazione giovanile personale di una generazione, ma perdurante nella precarietà e nelle basi socioeconomiche della collettività nel presente.

Il libro è scritto con uno stile letterario, ovvero espressivo e non modellato sull’appiattimento linguistico, anzi alla ricerca di metafore originali e con un discorso indiretto libero particolare che esplora anche dimensioni psicoanalitiche pur restando su un tono brioso e vivace che alleggerisce e consente di traferire al lettore con efficacia il quadro drammatico. Lagioia dichiara in effetti: “[…] credo che un buon libro sia sempre, di per sé, contro il potere, perché usa necessariamente, per sua natura, un linguaggio antitetico rispetto a quello dominante, che oggi per intenderci è il linguaggio pubblicitario, inteso ovviamente in senso lato” [1]

NOTA

[1] La responsabilità dell’autore: Nicola La Gioia, “Nazione indiana”, 30-3-2010.

 
[Roberto Bertoni]