Milano, Mondadori, 2002
Sen difende l’idea di
globalizzazione di per sé come ragionevole e inevitabile, mettendola anche in
relazione a precedenti casi storici. Anzi contesta il concetto di
antiglobalizzazione propria dei movimenti internazionali, che ritiene essi
stessi eventi globalizzati. Ritiene che “le antitesi alla globalizzazione
sarebbero un persistente separatismo e un’irriducibile anarchia” (p. 17). Articola
inoltre il fenomeno globalizzazione come fatto che potrebbe anche svolgersi in
senso contrario all’occidentalizzazione, “nonostante oggi la globalizzazione
sia considerata da molti un correlato del predominio occidentale” (p. 15).
Tuttavia, sulla base delle
convinzioni espresse tramite la concezione che gli è propria, di sviluppo come
evoluzione positiva della qualità della vita e avanzamento dei ceti meno
privilegiati, esprime con chiarezza la tesi che “il tema centrale, direttamente
o indirettamente, è la disuguaglianza” (p. 5), da concepirsi “sia tra nazioni
sia all’interno di ogni nazione” (p. 18).
Sebbene il mondo attuale sia
incomparabilmente più “ricco” per “risorse, […] conoscenza e […] tecnologia” di
ogni epoca trascorsa, è allo stesso tempo “un mondo di estreme privazioni e
disuguaglianze sconvolgenti. È impressionante il numero di bambini malnutriti,
analfabeti e condannati a morire, ogni settimana a milioni, di malattie che
potrebbero essere completamente debellate o alle quali, se non altro, potrebbe
essere impedito di uccidere persone abbandonate a se stesse” (p. 11).
Ne discende la riflessione
sui diritti umani universali, che costituiscono “un’idea unificatrice” (p. 69), anche in civiltà in apparenza diverse come
quella occidentale e orientale. Particolarmente importante è per Sen il
riconoscimento del diritto alla libertà; afferma che “il futuro del mondo […] è
intimamente connesso al futuro della libertà
nel mondo” (p. 133).
Occorre altresì puntare
sulla sicurezza, sulla dignità della vita e sulle pari opportunità. Quanto meno
livelli di nutrizione-base, sanità e istruzione sono collegati allo sviluppo
favorevole, come si potrebbe dimostrare con i casi del Giappone, della Corea
del Sud e della Cina, in cui appunto tali elementi hanno favorito la crescita.
I “valori” assumono rilievo
anche in economia. Secondo Sen “sì, i valori sono importanti per i risultati economici e sì, i valori sono diversi tra regioni” (p. 119).
esempi di diversità (ma anche di somiglianze) potrebbero essere l’etica
protestante weberiana e quella confuciana in relazione al comportamento
rispetto al lavoro in epoche determinate e regioni determinate del pianeta. Però
Sen anche avverte che “è difficile sfuggire all’idea che vi siano forti
elementi di arbitrarietà nel considerare i valori asiatici particolarmente favorevoli
alla crescita economica e a rapidi progressi” (p. 129). Inoltre “l’abbandono di
un vecchio pregiudizio eurocentrista non deve essere scambiato per l’affermazione
di una nuova asimmetria nel giudizio sui valori, a favore, questa volta, dell’Asia
contro l’Europa” (p. 130).
Un aspetto particolare dei
ragionamenti di Sen è quello dell’identità; e concordiamo con la sua tesi delle
identità plurali: “nella nostra vita siamo tutti individualmente coinvolti in
identità di varia natura, in contesti disparati”, il che si riferisce tanto
alla nazionalità quanto ai legami familiari, alle ideologie ecc., tanto che “non
è possibile attribuire a un individuo l’appartenenza
esclusiva - o prevalente, a seconda dei casi - a un unico gruppo” (p. 53).
Da qui la responsabilità di collocarsi e decidere:
“Le diverse lealtà
suscitate dall’appartenenza possono entrare in conflitto sulla priorità da
assegnare, per esempio, alla nazionalità, alla residenza, alla famiglia, all’amicizia,
al credo politico, agli obblighi professionali o alle affiliazioni civiche. Dobbiamo
scegliere e decidere, e l’alternativa a una scelta ragionata è una scelta
irragionevole” (p. 56).
[Roberto Bertoni]